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Bergamo, Donizetti Opera 2020 – Marino Faliero

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Personaggi privi di sostanza, che si aggirano su una palafitta di metallo freddo, in un susseguirsi di ponti e scale che spesso non conducono all’incontro ma, al contrario, agevolano la fuga l’uno dall’altro. Metafora di una Venezia spoglia del suo secolare incanto e anche immagine di una contemporaneità chiusa in uno sterile solipsismo. Questa – in estrema sintesi – l’idea registica della coppia Ricci/Forte alla base del nuovo allestimento di Marino Faliero di Gaetano Donizetti, trasmesso in diretta su Rai5 dal rinnovato Teatro Donizetti di Bergamo, titolo inaugurale di un’edizione speciale del Festival diretto da Francesco Micheli.

Visto – e ascoltato – in teatro, lo spettacolo, che si avvale della regia di Stefano Ricci, funziona: non solo per i movimenti dei protagonisti, ma anche per la costante presenza in scena di sei ottimi mimi/danzatori, quasi una bizzarra corte dei miracoli. Costoro, guidati dalla coreografa Marta Bevilacqua, si spostano continuamente sull’impalcatura montata in platea, ora contorcendosi, ora atteggiandosi a inquietanti marionette, ora nuotando nell’immaginaria laguna su cui si ergono i pali metallici. Bellissimi i costumi di Gianluca Sbicca, di un kitsch raffinato e prezioso, salvo che per le maschere della festa del primo atto, bianche ma parimenti inquietanti nel loro evocare creature marine. Lo spoglio insieme scenico, opera di Marco Rossi, si arricchisce dello sfondo costituito dall’emiciclo del teatro e trova suggestiva valorizzazione dalle luci di Alessandro Carletti.

Come noto, Marino Faliero fu scritto da Donizetti per il suo debutto parigino nel 1835, auspice Rossini, in un confronto a distanza nientemeno che con I puritani del collega (e rivale) Vincenzo Bellini. Difficile immaginare qualcosa di più diverso dalla trasfigurante stilizzazione dei Puritani: Faliero è capolavoro ambizioso, cupo nelle tinte orchestrali e impietoso nello sguardo che affonda sull’umano, con uno scardinamento di tante convenzioni teatrali per inseguire la prosa scomposta della vita. In comune, i due titoli avevano allora lo stellare cast della prima: Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Luigi Lablache e Antonio Tamburini.

Logico dunque aspettarsi un cast all’altezza di cotanti nomi, tutti collocati nel pantheon ideale della storia delle voci liriche. Nel complesso, le attese non sono state deluse, con la sola eccezione del tenore che, come annunciato anche in diretta tv, ha avuto un problema vocale poco dopo l’inizio del primo atto ma ha onorevolmente portato a termine l’esecuzione. L’americano – a dispetto del nome – Michele Angelini, peraltro chiamato a sostituire l’annunciato Xavier Camarena, ha una voce agile ed estesa e probabilmente tutte le note per cantare l’impervia parte di Fernando. Ma tant’è: il giudizio non può che essere sospeso. Francesca Dotto è un’Elena di grande musicalità e incisiva presenza scenica: la voce è ricca e pastosa soprattutto nei centri, ma anche il virtuosismo appare a fuoco e l’interprete è molto intensa. Eccellenti le prove di Bogdan Baciu (Israele Bertucci) e di Michele Pertusi (Marino Faliero): il primo mette la propria voce a servizio di un’interpretazione austera e convincente, il secondo si conferma il grande fraseggiatore che conosciamo, nobile e accorato nel canto, sempre ricco di sfumature e attento all’articolazione della parola. Molto bene ha fatto Christian Federici nei panni di un altero Steno, così come si sono fatti apprezzare il Leoni stentoreo di Dave Monaco, il lirico e scuro gondoliere di Giorgio Misseri, la pregevole Irene di Anaïs Mejías. Ottimo il coro istruito da Fabio Tartari, così come tutti i comprimari: Stefano Gentili, Diego Savini, Vassily Solodkyy, Daniele Lettieri, Enrico Pertile, Giovanni Dragano, Angelo Lodetti e Piermarco Vinas Mazzoleni.

In una posizione quantomeno singolare, circondato dall’orchestra e quindi dotato di due spartiti, Riccardo Frizza si conferma direttore ideale per questo repertorio. Anzitutto, tiene egregiamente le fila di uno spettacolo complesso nel suo svolgersi tra palco e platea, con tanto di doveroso distanziamento. Poi, trova l’esatta “tinta” e l’esatto grado di cantabilità per tradurre in suoni la poesia ottocentesca del libretto, secondo una logica teatrale unitaria entro la quale la concertazione inserisce i singoli episodi in una progressione che non lascia mai spazio all’effetto gratuito. L’ampiezza del ventaglio dinamico e cromatico si unisce a una generale giustezza della scansione ritmica con l’esito di tenere sempre alta la tensione drammatica, salvo sciogliersi nella dolcissima effusione di un canto che qui, come in altri capolavori donizettiani, si fa voce e sostanza di un epos intriso di terrestre malinconia. Una nostalgia di felicità che non si proietta in un altrove idealizzato, come in Bellini, ma vive qui e ora. E per questo è ancora più struggente.

Donizetti Opera 2020
MARINO FALIERO
Tragedia lirica in tre atti di Giovanni Emanuele Bidéra
dalla tragedia omonima di Casimir Delavigne
Musica di Gaetano Donizetti

Marino Faliero Michele Pertusi
Israele Bertucci Bogdan Baciu
Fernando Michele Angelini
Elena Francesca Dotto
Steno Christian Federici
Leoni Dave Monaco
Irene Anaïs Mejías
Un gondoliere Giorgio Misseri
Beltrame Stefano Gentili
Pietro Diego Savini
Strozzi Vassily Solodkyy
Vincenzo Daniele Lettieri
Figli d’Israele Enrico Pertile, Giovanni Dragano, Angelo Lodetti
Voce di dentro Piermarco Viñas Mazzoleni
Performer Lucia Cinquegrana, Alessandro Hartmann,
Pierre-Etienne Morille, Luca Parolin, Sara Paternesi, Alessio Urzetta, Emma Zani

Orchestra Donizetti Opera
Coro Donizetti Opera
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Fabio Tartari
Progetto creativo ricci/forte
Regia Stefano Ricci
Scene Marco Rossi
Costumi Gianluca Sbicca
Lighting design Alessandro Carletti
Coreografie Marta Bevilacqua
Assistente alla regia Liliana Laera
Assistente alla scenografia Francesca Sgariboldi
Assistente alle luci Ludovico Gobbi

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
Bergamo, Teatro Donizetti, 20 novembre 2020

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