La Fondazione Arena di Verona ha inaugurato la propria web tv on demand con un concerto (trasmesso in chiaro anche da TeleArena) che nell’agosto 2019 aveva ottenuto un clamoroso successo di pubblico: i Carmina Burana di Carl Orff diretti dal compianto Ezio Bosso. Personaggio che ha suscitato notoriamente riserve e pregiudizi tra gli addetti ai lavori con la puzza sotto il naso, ma che il pubblico ha amato incondizionatamente, sia come compositore che come divulgatore e direttore d’orchestra.
Ora, non è questa l’occasione di occuparsi del compositore, ma per quanto riguarda il divulgatore e il direttore personalmente sto dalla parte del pubblico. Nei mesi precedenti la sua scomparsa, in alcune trasmissioni dalla Rai dedicate a Beethoven, Čajkovskij e Mozart, Bosso aveva dimostrato, al netto di qualche imprecisione e ingenuità, di avere i numeri e le qualità per poter spiegare suggestivamente la grande musica anche ai non addetti. Molto più di un Baricco, tanto per non fare nomi, che a proposito di Carl Orff e dei suoi Carmina è arrivato a sentenziare: “Magari Orff non era nazista, ma se nel 1936 in Germania uno concepisce e realizza un progetto del genere, cos’è? come bisogna chiamarlo?”. Un’autentica scemenza che Bosso non avrebbe mai detto, o scritto. Fa solo ridere che ci sia ancora chi considera il compositore tedesco una figura legata a un passato scomodo e costretto a scontare la piena adesione al gruppo di Francoforte, nato in opposizione alla musica “degenerata” degli avanguardisti. Per fortuna, le questioni ideologiche al pubblico non sono mai interessate e il successo dei Carmina è proseguito senza soste e in modo incondizionato fin dalla prima esecuzione (Francoforte, 1937).
Il fascino di questa cantata scenica è sempre stato legato alla sua natura “barbarica” e a quella particolare atmosfera fra basso impero e medioevo che sprigiona da una musicalità a tratti ruvida, ma non per questo volgare. Nel concerto areniano, Ezio Bosso dimostra di saperne offrire una lettura a suo modo coerente e personale. Senza snaturare il primitivismo del celeberrimo incipit dedicato alla dea Fortuna, la sua conduzione è estranea a ogni retorica, attenta ai timbri, tendenzialmente melodizzante, portata a liricizzare il canto corale, a rispettarne i pianissimo e a esaltare la delicatezza di certi interventi solistici. Non che tutto funzioni alla perfezione: si desidererebbe in alcuni momenti una agogica più mossa e variata, tuttavia si tratta di una lettura nel complesso godibile per l’ampia gamma degli atteggiamenti espressivi.
Un contributo fondamentale alla riuscita dell’esecuzione, oltre alle buone prove del coro diretto da Vito Lombardi e delle voci bianche preparate da Marco Tonini e Paolo Facincani, lo offrono i tre solisti. Nella scrittura ostica riservata al baritono si difende bene Mario Cassi, che sfoggia varietà di toni e buon controllo vocale (tolta qualche incertezza nei melismi in falsetto). Raffaele Pe restituisce l’episodio del cigno arrostito con ironia e misura, senza cercare l’effetto caricaturale a tutti i costi, mentre Ruth Iniesta affronta i suoi interventi con delicatezza espressiva, dimostrandosi pienamente a suo agio nel registro acuto e sopracuto.
Una serata coronata da accoglienze entusiastiche per tutti e da un autentico trionfo per Ezio Bosso.