Secondo titolo dell’Arena Opera Festival 2019, Aida (in replica fino al 7 settembre) viene riproposta con successo nella storica versione del 1913: l’edizione princeps che, con le scene di Ettore Fagiuoli, ha segnato la nascita dell’opera all’aperto a Verona. Ormai un classico da quando Gianfranco De Bosio l’ha ricostruita nel 1982 sulla base dei bozzetti del grande architetto veronese e della documentazione fotografica dell’epoca.
L’impostazione di Fagiuoli, archetipo di tutte le Aide kolossal, colpisce in realtà più per la tendenza a svuotare che a riempire i gradoni dell’arena. L’idea dello spazio scenico è desunta dalle caratteristiche ambientali: l’impianto, concepito in senso architettonico e con rigorosa concezione costruttiva, si integra anche cromaticamente con la struttura marmorea delle gradinate. L’utilizzo di un apparato di otto colonne mobili e componibili (più quattro sfingi e due obelischi fissi) è a suo modo moderno e consente di incorniciare le varie azioni dei personaggi e delineare le diverse ambientazioni: dal tempio nel primo atto all’impianto del quarto, dove su tutta la scena è sospeso un enorme tendone proteso verso il pubblico. In questa ripresa si assiste a qualche cambiamento: per esempio, viene eliminata l’evocazione realistica del Nilo nel terzo atto, e tutta la scena si svolge davanti al tempio di Iside. Nuovo anche il disegno luci, a cura di Paolo Mazzon. Il risultato è uno spettacolo pulito, essenziale, capace – grazie anche al lavoro registico di De Bosio – di rispettare da un lato la componente intimistica di alcune scene e di risolvere dall’altro, senza pacchianerie, quelle più spettacolari attraverso uno studiato gioco di equilibri geometrici. Il gusto naïf, tipico dell’allestimento d’epoca, si fonde di fatto con una più moderna ed equilibrata linearità.
Certo, non mancano qua e là tocchi di una egittologia vistosa, né cadute nella dimensione del peplum cinematografico anni Cinquanta, come per esempio nelle coreografie un po’ datate di Susanna Egri. Tuttavia questa Aida è meno kitsch e molto più viva e attuale di altre produzioni (penso a quella della Fura dels Baus), dove l’inzeppamento spettacolare finisce addirittura per mettere in secondo piano la musica.
Dal podio, Francesco Ivan Ciampa imprime all’esecuzione un andamento vigoroso, spedito e serratissimo a tutto vantaggio della tenuta drammatica e della tensione unitaria. Non che metta in ombra la componente lirica della scrittura verdiana: quando necessario, dall’orchestra emergono morbidezze, profumi tropicali e sensuali malinconie. Nondimeno, aleggia su tutto una urgenza narrativa che sembra assecondare i protagonisti, schiacciati dal peso della storia e degli eventi, nella loro fatalistica corsa verso un destino tragico e già segnato.
Il livello dell’esecuzione, grazie anche alla compagnia di canto, è nell’insieme superiore a quello della Traviata inaugurale. Anna Pirozzi è una Aida che non crea patemi nell’ascoltatore: svetta negli acuti, è intonata, capace di smorzare a tutte le altezze, e canta “O cieli azzurri” in modo ineccepibile, con un do senza incrinature. Espressivamente completa, crea un personaggio dolce ma anche ferino e appassionato. In evidenza pure la prova di Amartuvshin Enkhbat. Il giovane baritono mongolo ormai è una bella certezza nell’attuale panorama lirico: ha un timbro morbido e brunito, è corretto nell’emissione, vanta una dizione da far invidia ai cantanti italiani, ma a fare davvero la differenza è il senso della nobiltà che ogni volta sa imprimere ai padri e ai re verdiani. Il suo Amonasro, anche nei momenti più drammatici del terzo atto, non conosce forzature o cedimenti veristi.
Dialettica espressiva e dizione migliorabili denota invece il tenore turco Murat Karahan, che affronta la parte di Radamès di slancio. Il personaggio a ogni modo regge, perché il materiale vocale è importante, gli acuti facili, per quanto più voluminosi che squillanti, e l’interprete non coglie solo l’aspetto eroico, ma si sforza di attenersi quando richiesto a un’espressione sfumata. Ancora una volta efficace e credibile la Amneris di Violeta Urmana. Il timbro risulta sempre più chiaro e certe declamazioni in zona medio-bassa sono meno incisive di un tempo, ma la proiezione del registro acuto, la correttezza dell’emissione e l’autorevolezza del fraseggio si fanno valere.
Quanto ai due bassi, risulta più convincente il Re di Romano Dal Zovo che il Ramfis di Dmitry Beloselskiy. Bene il Messaggero di Carlo Bosi, funzionale la Sacerdotessa di Yao Bo Hui.
Arena Opera Festival 2019
AIDA
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re Romano Dal Zovo
Amneris Violeta Urmana
Aida Anna Pirozzi
Radamès Murat Karahan
Ramfis Dmitry Beloselskiy
Amonasro Amartuvshin Enkhbat
Un messaggero Carlo Bosi
Sacerdotessa Yao Bo Hui
Primi ballerini Petra Conti,
Mick Zeni, Alessandro Macario
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Vito Lombardi
Regia Gianfranco De Bosio
Luci Paolo Mazzon
Coreografia Susanna Egri
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese
Allestimento Fondazione Arena di Verona
Verona, 22 giugno 2019