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Ravenna Festival, Trilogia d’autunno 2019 – Carmen

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Una tragedia in nero. L’attore, baritono e regista Luca Micheletti, al debutto nella regia lirica (qui la sua recente intervista a Connessi all’Opera), ha un’idea molto precisa di Carmen di Bizet: la storia di due individualità borderline, il cui incontro-scontro non può che condurre alla morte. Su di loro si concentra dunque tutta la sua attenzione. L’intera vicenda, con il fondamentale apporto dello scenografo Ezio Antonelli, è avvolta da un colore nero denso e a tratti spettrale, reso ancor più icastico dalle luci potenti di Vincent Longuemare; essenziali e allusivi gli elementi scenici. Poche pennellate di rosso feriscono il velluto di una narrazione cupa, a tratti claustrofobica: alcuni fiori tra le mani di vari personaggi; particolari dei costumi, bellissimi, firmati da Alessandro Lai; le poltrone da cinema, mosse nel primo atto per offrire migliore visuale agli sguardi dei soldati sulle sigaraie, affacciate a finestre che sembrano quelle di una prigione. Quelle stesse rosse poltrone, nel secondo atto, svelano che la taverna vicina alle mura di Siviglia non è altro che un bordello e Lillas Pastia, interpretato dall’attore Ivan Merlo (bravissimo), è un inquietante travestito-maîtresse. Il suo ruolo diventa centrale per Micheletti: Lillas Pastia è spesso sulla scena e, in un certo modo, accompagna e protegge Carmen. Quest’ultima sembra assistere anche da spettatrice all’incombente tragedia che la riguarda: nel passaggio tra primo e secondo atto e in quello tra terzo e quarto, non esce di scena ma si rifugia in un camerino ricavato da un palco di proscenio, assorta e turbata insieme.

Siamo in una Spagna oppressa da una dittatura che potrebbe essere quella franchista; le scene si fanno sempre più spoglie mano a mano che si procede verso il finale, quando i due protagonisti, spostandosi lentamente in un moto circolare, sembrano quasi riprodurre il rito della corrida – metafora della vita – calpestando un suolo ricoperto da un telo illuminato di rosso.
Notevolissima la capacità del regista di muovere le masse e di infondere carica teatrale agli interpreti, tutti perfettamente compresi nei propri rispettivi ruoli, secondo una gestualità che amplifica la tensione emotiva e ne rende ancor più tagliente il senso drammatico. Proprio per questo – pur in un siffatto itinerario narrativo – non mancano momenti di commozione e riguardano segnatamente la figura della protagonista, colta nella sua fatale, desolata, solitudine. In una tale prospettiva, non si sente affatto la mancanza di tutto quell’apparato folclorico che accompagna l’universo di Carmen, soprattutto nell’immaginario del pubblico. Per questo, basta la musica.

Dal podio dell’orchestra Giovanile Luigi Cherubini, Vladimir Ovodok tiene ordinatamente le fila del discorso musicale, molto attento alla dimensione coloristica e alla valorizzazione dello strumentale. Una più incisiva sensibilità teatrale avrebbe maggiormente giovato. Tutti gli interpreti, come detto, offrono una prova maiuscola in termini squisitamente attoriali. A cominciare proprio da Luca Micheletti, il cui carisma scenico deflagra nella figura spavalda e corrusca di un Escamillo mai prima d’ora così perturbante. La voce è molto bella, brunita nel suo colore schiettamente baritonale, ampia e possente, ma piegata a un canto morbido, sfumato, attentissimo al valore della parola. Martina Belli è una Carmen la cui naturale, debordante, sensualità viene paradossalmente esaltata dal cupo disegno registico. Vocalmente è molto brava nello scavare a fondo entro le spire di un personaggio irresistibile e tormentato. E dunque, la seduttività del suo canto non fa tanto leva sulla pur fine bellezza del colore vocale, ma su una lettura più cerebrale che viscerale, sulla quale si allunga sempre l’ombra del Fato. Il Don Josè di Antonio Corianò, per contro, è virile e passionale nel canto come nel gesto, così come la liliale Micaela di Elisa Balbo, che nella voce dolce e luminosa sembra proiettare il candore gentile dell’animo e della figura.

Molto bravi tutti gli altri personaggi. Alessia Pintossi è una Frasquita scenicamente e vocalmente perfetta (si produce peraltro anche in un sensuale flamenco), mentre il timbro scuro e tornito di Francesca Di Sauro, Mercédès, crea una bella tensione con la voce di Carmen. Rosario Grauso è un ottimo Dancaïre per disinvoltura e canto e Riccardo Rados si fa apprezzare nei panni del Remendado. Bravissimi anche Christian Federici (Morales) e Adriano Gramigni (Zuniga); hanno ben figurato infine gli attori e mimi Luca Massaroli (Andrès), Ken Watanabe (un bohémien) e Yulia Tkacenko (une marchande). Precisa e a fuoco la prestazione del coro istruito da Antonio Greco.

Ravenna Festival – Trilogia d’autunno 2019
CARMEN
Opéra-comique in quattro atti
di Henri Meilhac e Ludovic Halévy,

dalla novella omonima di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet

Don José Antonio Corianò

Escamillo Luca Micheletti
Le Dancaïre Rosario Grauso

Le Remendado Riccardo Rados
Moralès Christian Federici
Zuniga Adriano Gramigni
Carmen Martina Belli
Micaëla Elisa Balbo
Frasquita Alessia Pintossi
Mercédès Francesca di Sauro
Lillas Pastia / un guide Ivan Merlo
Andrès Luca Massaroli

Un bohémien Ken Watanabe
Une marchande Yulia Tkacenko

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro Luigi Cherubini
Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini
Direttore Vladimir Ovodok
Maestro del coro Antonio Greco
Coro di voci bianche Ludus Vocalis
Maestro del coro Elisabetta Agostini
Regia Luca Micheletti
Scene Ezio Antonelli
Light designer Vincent Longuemare
Costumi Alessandro Lai
DanzActori Trilogia d’Autunno
Assistente ai movimenti scenici Lara Guidetti
Nuovo allestimento
Coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri di Ravenna,
Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Comunale di Ferrara
Ravenna, Teatro Alighieri, 3 novembre 2019

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