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Philharmonie di Parigi – Concerto diretto da Antonio Pappano con Martha Argerich

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Di video su di lei ne circolano regolarmente sui social. Ovviamente sempre accompagnati da giudizi tra l’ammirazione e l’adorazione. Non c’è nulla da fare: a 78 anni, Martha Argerich continua a portare del tutto meritatamente il titolo di “leggenda”. Quello dei fan non è solo riconoscimento per un passato glorioso, ma anche stupore per un presente che non ha nulla di ordinario. E poi si sa, la pianista argentina, ritrosa e poco avvezza alle interviste, ha un rapporto speciale con le apparizioni pubbliche, spesso annullate. Manco a dirlo, il suo concerto alla Philharmonie di Parigi era dunque un evento in sé per tutte queste ragioni.

Martha Argerich attraversa, con una certa nota goffaggine, la scena quasi al centro di una sala vastissima ormai dedicata a Pierre Boulez e stracolma per l’occasione (oltre 2400 posti). La tigre sfodera gli artigli appena raggiunge la tastiera e prende le redini della partitura dopo la breve introduzione orchestrale. In programma, il Primo Concerto di Liszt dalla gestazione tormentata così come la forma definitiva: cominciata nel 1832, sarà solo nel 1855 che la composizione vedrà la luce a Weimar con Liszt, ovviamente, al pianoforte. Quattro movimenti, legati l’uno all’altro, lasciando presagire la forma tutta d’un pezzo del secondo concerto. Opera ibrida, questo primo concerto rigurgita di idee e di colori contrastanti. Sotto le dita della Argerich, il discorso musicale è limpido. Come un felino salta da una parte all’altra della tastiera, azzannando la preda: anche nei momenti di massimo impeto e forza, i gesti non rinunciano mai all’eleganza, mostrando che gli anni passano ma la tecnica non fa cilecca. E poi arrivano gli squarci di lirismo, tutt’altro che rari in questo concerto, influenzato, come molte pagine lisztiane, dal modello del bel canto all’italiana. Sa “cantare” la pianista che fa sgorgare pure melodie dalle dita. Uno scroscio di applausi incandescenti, appena interrotti dall’unico bis: la prima delle Kinderszenen di Schumann, “Von fremden Ländern und Menschen” (Da paesi e uomini stranieri). Ovviamente, il pubblico avrebbe voluto rimanere ancora a lungo, ma per questa sera sarà tutto. Almeno per quanto riguarda la parte pianistica.

Ma certo il concerto non finisce qui. L’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia e il suo direttore Antonio Pappano, ormai “Sir”, non sono solo lì per assecondare l’eterna diva. Se l’orchestra romana dialoga con la pianista in Liszt, mettendosi al suo diapason, ha lasciato intendere sin dal pezzo d’inizio, l’impetuosa Ouverture dell’Euryanthe di Weber, che il ruolo di accompagnatore le sta stretto. E difatti arriva la seconda parte. Pappano ha scelto la complessa Seconda Sinfonia di Schumann, in cui per quasi quaranta minuti si intrecciano stili divergenti, dagli echi del corale bachiano al virtuosismo lussureggiante. Alla faccia della presunta “orchestrazione grigia”, spesso rimproverata a questa sinfonia, la composizione di Schumann è un vero fiume in piena di sperimenti di alchimie sonore che richiedono da ogni strumento una grande maestria. Alla fine, è un trionfo per l’Orchestra di Santa Cecilia che ha scelto un programma compatto, coerente, ma certo tremendamente esigente. Probabilmente, per gran parte del pubblico che era venuto essenzialmente per la Argerich si è trattato di una felice sorpresa.

Cité de la Musique – Philharmonie de Paris
SANTA CECILIA / ANTONIO PAPPANO / MARTHA ARGERICH

Musiche di Carl Maria von Weber, Franz Liszt, Robert Schumann

Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Martha Argerich
Parigi, Grande salle Pierre Boulez – Philharmonie, 4 novembre 2019

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