Dal tetto dell’Opéra de Paris, non esce alcuna fumata a dispetto di un’attesa ormai prolungata, divenuta quasi spasmodica. Il nome del successore di Stéphane Lissner, che non è stato ricondotto alla direzione del più antico dei teatri lirici tuttora in attività, stenta a delinearsi. E le voci si rincorrono senza confermarsi. In questo clima da nebbia fitta, la ripresa de La forza del destino parrebbe quasi uno sberleffo. Certo, si tratta probabilmente solo di una coincidenza del calendario. Ma non sembrerebbe del tutto improbabile supporre che Lissner, tanto criticato per le sue predilezioni registiche che ruotano quasi esclusivamente intorno a pochissimi nomi (Warlikowski, Černjakov, Castellucci…), avesse voluto ricordare a tutti come erano le produzioni con il suo predecessore. Quel Nicolas Joel che di fatti è all’origine di questa regia dell’opera verdiana affidata a Jean-Claude Auvray. L’opposizione frontale tra due estetiche, insomma.
Il pubblico dà però torto a Lissner. Non solo riempie il teatro richiamato dal repertorio italiano, che non si può dire sia proprio il preferito del sovrintendente. Ma dimostra di gradire queste letture rassicuranti, sostanzialmente descrittive. Perché Auvray ha un approccio didascalico. Il suo solo intervento forte è quello di spostare quasi di un secolo l’azione: dal Settecento si passa al Risorgimento. La battaglia di Velletri (1744) cui fanno riferimento tanto il dramma di Ángel de Saavedra quanto il libretto diventa dunque una tappa dei moti di liberazione ottocenteschi. E il regista Auvray non esita a fare scrivere sul muro un “Viva la guerra” che viene corretto in “Viva V.E.R.D.I”. A scanso di dubbi sull’ambientazione. L’idea del cambio di epoca potrebbe pure avere un senso che poi il regista però non sfrutta. E i problemi maggiori sono quelli della recitazione: i cantanti sono allo sbaraglio, senza alcuna guida.
Anche l’orchestra avanza senza un vero timoniere. La direzione di Nicola Luisotti è pasticciata. E la falange dell’Opéra de Paris può sapere dare il meglio o il peggio di sé. Con il melodramma italiano, spesso risulta scombinata. E con La forza del destino la regola è confermata. Ma per fortuna i cantanti (almeno alcuni) impediscono il naufragio. Semplicemente perfetta Elena Stikhina nei panni di Leonora. Il timbro vellutato e una tecnica sicura la conducono a un meritato trionfo. Bravo pure Brian Jagde. Che scivola a volte sullo stile non sempre raffinatissimo. Ma ha dalla sua vocalità e prestanza fisica che lo impongono tanto nei momenti patetici che marziali. Imponente pure il baritono Željko Lučić (Don Carlo) che riesce a far dimenticare un’intonazione non sempre impeccabile. Assolutamente sotto-tono l’incolore Preziosilla di Varduhi Abrahamyan. Invece, brilla il Melitone di Gabriele Viviani da manuale. Rafal Siwek rivela un Padre guardiano grandioso nella grande scena con Leonora (atto II), mentre Carlo Cigni (Il marchese di Calatrava) è una figura paterna autoritaria e vocalmente maestosa. Il coro, preparato da José Luis Basso, si è conferma come una delle migliori forze del teatro parigino.
La nebbia dei piani alti ha questa volta invaso pure il palcoscenico portando decisamente in scena una Forza del destino da routine.
Opéra Bastille – Stagione 2018/19
LA FORZA DEL DESTINO
Opera in quattro atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave e Antonio Ghislanzoni
Il marchese di Calatrava Carlo Cigni
Donna Leonora Elena Stikhina
Don Carlo di Vargas Željko Lučić
Don Alvaro Brian Jagde
Preziosilla Varduhi Abrahamyan
Padre Guardiano Rafal Siwek
Fra Melitone Gabriele Viviani
Curra Majdouline Zerari
Mastro Trabuco Rodolphe Briand
Un chirurgo Laurent Laberdesque
Orchestra e coro dell’Opéra national de Paris
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del coro José Luis Basso
Regia Jean-Claude Auvray
Scene Alain Chambon
Costumi Maria Chiara Donato
Luci Laurent Castaingt
Coreografie Terry John Bates
Coproduzione con il Gran Teatre del Liceu di Barcellona
Parigi, luglio 2019