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Padova, Castello Carrarese – Orfeo ed Euridice

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Anche quest’anno la rassegna estiva “Castello festival 2019”, organizzata dal Comune di Padova, offre alcuni appuntamenti dedicati all’opera. Ex carcere, il Castello Carrarese è divenuto soltanto recentemente un luogo dedicato alle attività culturali: la sua piazza d’armi rappresenta un magnifico spazio adatto alle rappresentazioni teatrali e impreziosito dalla presenza della Specola, suggestiva torre di origine medievale. In attesa degli appuntamenti invernali, la breve stagione lirica estiva padovana prevede due titoli: Orfeo ed Euridice di Gluck e L’elisir d’amore di Donizetti.

La scelta di rappresentare all’aperto la prima versione del capolavoro di Gluck stupisce positivamente. Quasi mito fondativo dell’opera in musica (pensiamo a Peri e a Monteverdi), la favola di Orfeo, complice il poeta Ranieri de’ Calzabigi, segna anche il primo tassello di quella volontà di riforma tutta illuministica promossa da Gluck, che intendeva regolare e rendere verosimile l’opera seria italiana. Librettista e compositore scelgono un intreccio semplice caratterizzato da pochissimi personaggi e da un mito archetipico universalmente noto: la discesa agli inferi del cantore Orfeo alla ricerca della moglie Euridice. Come unica deroga alla favola antica, che si chiude tragicamente, i due autori inseriscono un happy end con la definitiva e liberatoria resurrezione di Euridice.
Orfeo ed Euridice è il primo capolavoro di un’estetica neoclassica castigata, non edonistica, attenta alla parola e al dramma. Un’opera anomala rispetto alle convenzioni del Settecento e, proprio per questo, oggetto di ammirazione e di attenzioni nei secoli successivi. Un’opera modernissima secondo Marco Angius, che ne offre una lettura volutamente innovativa: il viaggio ultraterreno di Orfeo è ridotto a un unico atto, senza interruzione alcuna, scandito nelle tre tappe del suo percorso iniziatico attraverso il regno dei morti. Orfeo diventa un’opera ben poco fiabesca e idillica, che nulla concede a una serena classicità: della partitura gluckiana vengono messi in luce i numerosi momenti angosciosi, la ritualità priva di identità del mito, l’atmosfera gelida e distaccata, sempre minacciosa e ambiguamente sospesa tra vita e morte. L’elemento ieratico e rituale avvicina, al tempo stesso, il capolavoro gluckiano al Novecento e alla tragedia antica: il coro richiama la tragedia greca, mentre il corpo di ballo contemporaneo completa efficacemente un quadro spersonalizzante e anonimo.

Sebbene manchi una vera e propria regia nel senso tradizionale del termine, lo spettacolo funziona grazie a un attento coordinamento tra masse, personaggi e spazio vuoto, assecondando ed esaltando le precise e geometriche strutture drammaturgiche dell’opera di Gluck: i singoli quadri sono tappe del percorso di Orfeo. Il primo è una sorta di threnos in cui il coro svolge una funzione cerimoniale durante la veglia funebre per Euridice: sulla scena è posta una bara intorno a cui si muovono le comparse. Forse eccessivamente didascalica la presenza della Morte con falce inclusa in un quadro in cui viene annunciata la successiva catabasi. Decisamente riuscita la scena infernale: qui il dialogo con le anime dei defunti, che girano in cerchio e parlano dapprima aspramente con Orfeo, ha una consistenza drammatica molto diretta, ben assecondata dagli effetti luce. Aggiungono fascino gli interventi del corpo di ballo sulle note della musica che Gluck ha scritto originariamente per il Don Juan. Infine, l’ultimo quadro descrive l’arrivo nei campi Elisi e il sospirato incontro tra Orfeo ed Euridice: con l’uscita del coro, la scena esalta il drammatico dialogo e le movenze dei due protagonisti. Molto interessante l’uso delle luci che alternano colori polarizzanti come il rosso e il blu a seconda del luogo in cui si svolge l’azione. I costumi, infine, richiamano un’età storica indefinibile che è quella del mito.

Assecondando una prassi attualizzante già ottocentesca, Angius decide di interpolare brani di compositori più recenti o provenienti da altre opere di Gluck. In primo luogo, al posto della sinfonia originaria, viene eseguito il poema sinfonico Orpheus di Franz Liszt. Il contrasto tra il linguaggio musicale romantico e quello classico di Gluck è meno forte di quanto si possa pensare, legando idealmente così la musica di Gluck alle esperienze artistiche successive. La “Danza delle Furie” tratta dal balletto Don Juan, come abbiamo visto, funge da Entr’act tra il quadro infernale e quello paradisiaco, offrendo un momento di virtuosismo per il corpo di ballo. Parimenti, non stona la citazione della Seconda Sequenza di Berio nel momento più drammatico della pièce, la seconda morte di Euridice a sottolineare l’avvenuta sconfitta del personaggio e la necessità di un deus ex machina risolutore.

Omogeneo il cast vocale, tutto al femminile. Le cantanti hanno dato teatralità a un’opera altrimenti statica, povera di avvenimenti o di colpi di scena, assecondando la lettura del direttore. Costantemente sulla scena, Laura Polverelli crea un Orfeo piuttosto trattenuto nell’espressione sentimentale, ma molto efficace nei recitativi e nei momenti più drammatici: la voce risulta brunita e particolarmente vigorosa nel registro medio-basso. Pur nella sua breve apparizione, l’Euridice di Michela Antenucci riesce a mettere a fuoco la ricca gamma di sfumature espressive che, nel giro di pochi minuti, è richiesta per questo personaggio: intenso il duetto con Orfeo, dove la felicità si alterna con la rabbia e la disperazione. La voce, fresca e piacevole, si piega con una certa ricerca di espressività e attenzione al testo. Corretto anche il terzo personaggio, Amore, che acquista un fascino demoniaco e manipolatore nell’interpretazione di Veronica Granatiero, che ne coglie pienamente la natura ambigua e sfuggente.

Buona prova anche per l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Marco Angius. Posta alle spalle dei cantanti, sul fondo della scena, la compagine strumentale accompagna correttamente la rappresentazione, mettendo in luce gli aspetti più moderni e conturbanti dell’opera. L’orchestra asseconda il disegno complessivo di Angius, interessato a una lettura innovativa della partitura sospesa tra anticipazioni moderne e una dynamis antica perfetta nelle sue simmetrie classiche. Particolarmente apprezzata anche la cura dei timbri all’inizio della scena dei Campi Elisi, in coincidenza dell’aria di Orfeo “Che puro ciel”. In un’opera caratterizzata da una così ampia partecipazione corale, il Coro Iris Ensemble diretto da Marina Malavasi si disimpegna sia per le capacità interpretative che per la recitazione.

Un tratto innovativo di questa produzione è la presenza delle coreografie contemporanee della compagnia Lubbert Dass create da Nicoletta Cabassi. L’accostamento con la musica di Gluck è il più delle volte interessante anche se, saltuariamente, i movimenti, troppo rumorosi, hanno coperto la musica e distratto dall’esecuzione. Per il resto, lo stile contemporaneo ha dato i suoi esiti drammaturgicamente più validi soprattutto nella sezione infernale, non convincendo allo stesso modo nel resto della rappresentazione.
In definitiva, questa edizione di Orfeo ed Euridice ha avuto momenti di notevole interesse nel suo tentativo di rendere attuale e moderna un’opera di non facile avvicinamento per il largo pubblico e sul cui libretto grava una sostanziale staticità drammaturgica. Lo spettacolo si è dimostrato omogeneo e ben strutturato, con una lettura innovativa e personale in un consapevole dialogo tra antico e moderno.

Castello Carrarese – Stagione Lirica di Padova 2019
ORFEO ED EURIDICE
Azione teatrale in atto unico (originariamente in tre atti)
Libretto di Ranieri de’ Calzabigi
Musica di Christoph Willibald Gluck

Orfeo Laura Polverelli
Euridice Michela Antenucci
Amore Veronica Granatiero

Orchestra di Padova e del Veneto
Coro Iris Ensemble
Direttore Marco Angius
Maestro del coro Marina Malavasi
Spettacolo sceno-coreografico Lubbert Das
Coreografie Nicoletta Cabassi
In coproduzione con Bassano Opera Festival
Padova, 12 luglio 2019

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