Un mondo liquido e floreale, dove la natura con i suoi colori e financo con i suoi profumi abbraccia i protagonisti e ne restituisce sentimenti ed emozioni, mentre l’acqua ne riflette i profili, come in uno specchio. Affascina e convince la lettura offerta dal regista Davide Livermore di Lakmé, capolavoro di Léo Delibes in scena in questi giorni sul palco della Royal Opera House di Muscat, in Oman. Luogo più mitico che geografico, quest’ultimo, per ogni appassionato d’opera: un teatro magnifico, sorto da meno di dieci anni tra il mare e il deserto, che anche nell’architettura racconta del desiderio di unire attraverso la musica e la cultura. Poi, un direttore artistico gentiluomo, l’italiano Umberto Fanni, e una squadra di validissimi collaboratori, la maggior parte dei quali omaniti. E un programma che si muove sul doppio binario della musica araba e di quella europea, con il melodramma nel cuore, ma pure con significative aperture su altri generi.
Fiore all’occhiello del cartellone di quest’anno è proprio questa produzione di Lakmé, nata dalla collaborazione con altri otto teatri dei cinque continenti e che in Italia potremo rivedere (e riascoltare) a Genova, Verona e Roma. Titolo scelto da Fanni per due motivi su tutti: perché si tratta di autentico capolavoro (inspiegabilmente poco rappresentato nel mondo) e perché ha un’ambientazione orientale che ben si sposa con queste latitudini (l’Oman è molto vicino all’India, teatro della vicenda di Lakmé).
Con questo titolo, la Royal Opera House compie il primo passo della trasformazione da teatro che ospita altre produzioni a teatro di produzione vero e proprio: i costumi disegnati da Mariana Fracasso sono stati infatti realizzati in Italia nell’Atelier Arrigo di Milano e in parte anche in Oman da maestranze locali, che hanno seguito un apposito training con la stilista. Il risultato è tutto da vedere, sia nei colorati preziosismi degli abiti della protagonista e del suo popolo, sia nell’eleganza molto british dei colonizzatori.
La regia di Livermore, complici le scene di Giò Forma e il light design di Marco De Nardi, riesce nell’intento di raccontare la storia rispettandone lo spirito ma senza scadere nell’oleografia o, peggio ancora, nella banalità. Trovando anzi una cifra stilistica del tutto singolare, costituita da un lato da una notevole pulizia ed essenzialità nell’architettura del palco, con sipari neri a disegnare con geometrica precisione gli spazi di movimento dei personaggi; dall’altro, rendendo omaggio all’arte locale con un sipario elegantemente ispirato alle decorazioni omanite, nonché con alcuni grandi schermi rettangolari a led, anch’essi utilizzati come sipari, sui quali vengono proiettate delle vere e proprie opere di video art di D-Wok. Raffinatissime, queste, sovente costituite da immagini di fiori che si sfaldano o cadono verso il basso, irrorati d’acqua piovana, perdendo petali, profumi, colori… sensuale e, insieme, plastica raffigurazione del progressivo dissolversi del tempo e dell’amore. Ma la magia dell’esotismo di Lakmé è giunta al pubblico anche attraverso la fragranza di un delicatissimo profumo creato appositamente per l’occasione da Roja Parfums e irrorato in sala in alcuni momenti dell’opera.
L’acqua è onnipresente nell’allestimento, grazie a un sottile lago che pedane mobili ora svelano, ora ricoprono, in un gioco di specchi tanto semplice quanto affascinante. C’è anche l’effetto di una pioggia sottile, un po’ come quello visto a Parma nel Macbeth di Abbado, ma non portatore di morte come in quell’allestimento, bensì di vita e di gioia. Tale è il prezioso liquido nelle festose scene di popolo (e nella danza dei ballerini, invero non eccellenti), salvo divenire infine l’oscuro lago che fa da sudario funebre al sacrificio della protagonista. Curatissimi i movimenti e i gesti di cantanti e coro, talvolta fermati in vividi tableaux vivants.
Sul fronte musicale, il giovane direttore Jordi Bernàcer, alla guida dei complessi del Carlo Felice di Genova, trova un giusto equilibrio tra le diverse componenti dello spartito, quella sensuale e orientaleggiante, quella più spiccatamente lirica, quella festosa e folclorica; il maestro spagnolo valorizza in modo adeguato la finezza di scrittura di Delibes, conferisce slancio all’empito melodico e vigore al ritmo di danza, accompagna sempre con sensibilità i cantanti. Che sono nel complesso eccellenti. A cominciare dalla protagonista Elena Mosuc, che presta a Lakmé la sua voce luminosa e ambrata, sensibilissima nel seguire la curva melodica di Delibes, secondo un’interpretazione profondamente interiorizzata e offerta al pubblico con infinite sfumature, fino a un finale semplicemente commovente. Perché è solo un’artista a tutto tondo, meglio se soprano lirico come Mosuc, che può rendere ragione della complessità di un personaggio che non è possibile ridurre unicamente al marcato virtuosismo di celebri pagine come “l’aria delle campanelle” (peraltro risolta in modo encomiabile dal soprano rumeno). Sergej Romanovsky, al netto di qualche lieve incertezza in acuto, è un Gérald virile e appassionato, dotato di voce brunita e morbida, che piega a un’interpretazione di notevole partecipazione emotiva, con sfoggio di una bella varietà di colori e dinamiche. Il timbro vellutato e la squisita sensibilità di Raffaella Lupinacci disegnano una Mallika ideale, mentre il basso Nicolas Cavallier è un Nilakantha autorevole e di voce possente in tutti i registri. Ottimo per timbro pastoso e omogeneo e precisione d’interprete Alessandro Luongo nei panni di Frédéric, così come si segnala la straordinaria prova d’attrice dell’inossidabile Elena Zilio (Mistress Bentso). Molto bene hanno fatto tutti gli altri: Francesca Sassu (Miss Ellen), Francesca Benitez (Miss Rose), Francesco Pittari (Hadji), Antonio Mannarino (un mercante cinese che, in verità, sembrava più un tirolese), Giuliano Petouchoff (Un indovino), Roberto Conti (Le Kouravar). Bene ha fatto il coro istruito dal giovane Francesco Aliberti, anche se la pronuncia francese è migliorabile. Vivissimo il successo da parte del pubblico della prima, con una standing ovation alla protagonista.
Royal Opera House Muscat – Stagione 2018/19
LAKMÉ
Opéra-lyrique in tre atti di Edmond Gondinet e Philippe Gille,
dalla novella di Pierre Loti Rarahu
Musica di Léo Delibes
Lakmé Elena Moşuc
Mallika Raffaella Lupinacci
Gérald Sergey Romanovsky
Nilakantha Nicolas Cavallier
Frédéric Alessandro Luongo
Miss Ellen Francesca Sassu
Mistress Bentson Elena Zilio
Miss Rose Francesca Benitez
Hadji Francesco Pittari
Un mercante cinese Antonio Mannarino
Un indovino Giuliano Petouchoff
Le Kouravar Roberto Conti
Orchestra e coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Jordi Bernàcer
Regia e coreografia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Mariana Fracasso
Light Designer Marco De Nardi
Video Design D-Wok
Nuova produzione della Royal Opera House di Muscat
in coproduzione con National Centre for the Performing Arts of Beijing,
Los Angeles Opera, Opera Australia e Fondazione Arena di Verona
in collaborazione con Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro dell’Opera di Roma,
Cairo Opera House e Astana Opera
Muscat, 28 marzo 2019