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Milano, Teatro alla Scala – Rigoletto

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E bis della “vendetta” fu. Uno scatenato Leo Nucci nei panni di Rigoletto galvanizza il pubblico della Scala (invero fino a quel momento non troppo caloroso) e gli regala il bis della celeberrima cabaletta che chiude il secondo atto del capolavoro verdiano. Un Rigoletto giovane, perché targato Accademia della Scala, ossia interpretato – con l’eccezione del protagonista – dai giovani che seguono i corsi promossi dall’istituzione e che rappresenta il punto di arrivo di un itinerario di studi che vede coinvolti anche grandi artisti e professionisti scaligeri nelle vesti di docenti. Proprio come Nucci che, insieme a Luciana D’Intino, ha svolto il ruolo di docente preparatore della compagnia di canto. Ma anche un Rigoletto per il quale possiamo usare l’aggettivo tradizionale: anzitutto per la messa in scena, ripresa di un allestimento firmato da Gilbert Deflo nel 1994, con le sontuose scene di Ezio Frigerio e i magnifici costumi di Franca Squarciapino. E tradizionale pure nelle scelte musicali, ossia con tutti gli acuti (e i tagli) di tradizione, quindi lontano anni luce da certa filologia che, nel nome di una rigida adesione al dettato musicale, sacrifica talvolta anche l’emozione.

Leo Nucci, a 77 anni compiuti e con la straordinaria carriera che ha alle spalle, si identifica completamente con il personaggio e, in un certo senso, vi si sovrappone. Così, poco importa se talvolta il declamato scivola nel parlato, se l’intonazione non è sempre perfetta e se la voce ha perso corpo e smalto. L’interprete è notevolissimo e il carisma scenico resta immutato. Sembra quasi esercitare un effetto magnetico sul resto della compagnia di canto, catalizzandone le energie.
Qui spicca in particolare la Gilda di Enkeleda Kamani, figura esile ma voce di bella consistenza e timbro luminoso, omogenea, ben proiettata. Soprattutto, il giovane soprano si è mostrato capace di riscattare l’immagine bamboleggiante di certa tradizione per offrire invece il ritratto di una donna più consapevole di sé. Il Duca del cinese Chuan Wang esibisce un timbro tenorile schietto e morbido, con acuti sicuri anche se non sempre squillanti, belle sfumature e una apprezzabile disinvoltura scenica. Così come si fanno apprezzare lo Sparafucile di Toni Nežić, la Giovanna di Valeria Girardello, l’altero Monterone di Giorgi Lomiseli, nonché la sensuale Maddalena di Caterina Piva, la cui voce di mezzosoprano è più consistente nella zona centrale e acuta.
Tra la “vil razza dannata” dei cortigiani spicca il Marullo di Ramiro Maturana, ma bene ha fatto pure Kim Hun quale Borsa. Completano adeguatamente il cast Lasha Sesitashvili (il Conte di Ceprano), Marika Spadafino (Contessa di Ceprano), Hwan An (usciere) e Francesca Pia Vitale (paggio). Ottimo il coro istruito da Salvo Sgrò.

Sul podio dell’orchestra dell’Accademia della Scala c’era Daniel Oren (per inciso, impegnato in un vero tour de force in questi giorni, tra Milano e Verona): la sua è una lettura capace di mediare tra la giusta tensione narrativa e la volontà di valorizzare lo strumentale, con una costante attenzione alle ragioni del canto. Penso ad esempio al turgore degli ottoni nel Preludio orchestrale o al lancinante lamento degli archi nella scena che segue l’aria del Duca e precede l’invettiva di Rigoletto. Penso alla capacità di sostenere il respiro della melodia e a quella di sbalzare con vigore ritmico i numerosi passaggi in cui l’ispirazione verdiana letteralmente deflagra in momenti di assoluto, altissimo teatro musicale. Perché tale è il senso più autentico del teatro di Verdi, massimamente qui, ovvero in un capolavoro che segna una svolta nella storia del melodramma ottocentesco.

Peccato che l’allestimento si sia incaricato di spegnere quel fuoco, di sopirlo sotto le luci calde (bellissime, firmate da Marco Filibeck), nel profluvio d’oro delle architetture palladiane, nei colori lucenti dei costumi, nella leziosa eleganza della festa del primo atto. Una carezza per gli occhi, una lucida maschera che nasconde la scandalosa, irriverente, a tratti disturbante volgarità del soggetto. Scandaloso all’epoca in cui fu messo in scena e potenzialmente scandaloso anche oggi, se ci fosse un regista in grado di coglierne la sostanza. In realtà, Deflo pare esserlo, stando alla lunga e interessante intervista inclusa nel programma di sala. Peccato poi che tali colte riflessioni si traducano in una recitazione in fondo stucchevole, con qualche bella intenzione e molti stereotipi (basti dire che, per buona parte di arie e duetti, i cantanti si limitano a stare fermi sulla soglia del palco, muovendo tutt’al più le braccia). Certo, questo tipo di spettacolo probabilmente piace a una (buona) parte del pubblico dell’opera, ai laudatores del “bel tempo che fu”. Tuttavia, fa una certa impressione assistere a un tale Rigoletto a poche settimane da una potente messa in scena, nello stesso teatro, di Die tote Stadt di Korngold. Ma questa, ha fatto notare qualcuno, è la Scala di Pereira, quella dell’et et, non dell’aut aut, quella dove possono coesistere tradizione e innovazione, repertorio e titoli inusuali, grandi vecchi e giovani promettenti. Vedremo cosa porterà il futuro.

Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2018/19
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi

Rigoletto Leo Nucci
Duca di Mantova Chuan Wang
Gilda Enkeleda Kamani
Sparafucile Toni Nežić
Maddalena Caterina Piva
Giovanna Valeria Girardello
Monterone Giorgi Lomiseli
Marullo Ramiro Maturana
Matteo Borsa Kim Hun
Ceprano Lasha Sesitashvili
Contessa di Ceprano Marika Spadafino
Paggio Francesca PiaVitale

Coro e Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Oren
Regia Gilbert Deflo
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino
Coreografie Gildo Cassani
Riprese da Loreta Alexandrescu
Luci Marco Filibeck
Milano, 5 settembre 2019

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