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Milano, Teatro alla Scala – Manon Lescaut

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La caduta del regista. Metaforica e… reale. La prima di Manon Lescaut di Puccini, in un Teatro alla Scala gremito di pubblico, sarà ricordata (anche) per la scivolata del regista David Pountney nella buca del suggeritore. Prontamente riacciuffato dagli altri artisti, Pountney è tornato sul palco sano e salvo a prendere applausi ma anche copiosi fischi e contestazioni, provenienti soprattutto dal loggione. Il pubblico fino a quel momento si era mostrato invero freddino, con timidi applausi a salutare le varie conclusioni d’atto, salvo poi tributare applausi calorosi al cast e vivaci contestazioni ai responsabili dell’allestimento.

David Pountney sposta l’azione dal Settecento originale a un fine Ottocento molto evocativo grazie alle suggestive luci di Fabrice Kebour, agli eleganti costumi di Marie-Jeanne Lecca, nonché alle belle scene di Leslie Travers che ambienta l’intera vicenda in una stazione ferroviaria che ricorda molto la parigina Gare d’Orsay. E il treno diviene così uno degli elementi centrali nella narrazione del regista inglese, essendo l’altro la presenza di diverse giovani e giovanissime figuranti di bianco vestite che incarnano Manon e che talvolta compaiono in scena. Come all’inizio, quando, da uno spoglio vagone merci, Manon assiste al primo incontro con Des Grieux, affidato per diverse battute a una di queste figuranti che muove le labbra mentre il soprano vicino canta. I treni vanno e vengono nella stazione/locanda di Amiens del primo atto, mentre il secondo si svolge proprio a bordo delle lussuose carrozze del treno di Geronte; alcune vetture sono poi unite alla carena della nave in partenza “per le Americhe” e fungono da prigioni per le prostitute in attesa di essere imbarcate. Con l’ultimo atto, la desolazione dell’immaginario deserto di New Orleans si materializza in alcune dune che sommergono i ruderi della stazione del primo atto, con l’orologio simbolicamente caduto nella sabbia. Nelle sue note di regia, Pountney considera la stazione “simbolo dello sconvolgimento sociale del XIX secolo; oltre a essere il luogo dell’instabilità, dello spostamento e della caduta delle antiche certezze (…), ha fornito l’immagine più distintiva della sessualità sfrenata: il treno che romba lanciato nel tunnel a tutto vapore!” (sic). Ciò detto, la regia non sembra funzionare, sia per una serie di incongruenze tra indicazioni del libretto e azione dei personaggi, sia per alcune scelte sinceramente poco chiare (ad esempio, i macchinisti che entrano in scena per spostare un gazebo a fine primo atto mentre protagonisti e coro stanno cantando…).

Fortunatamente, le cose vanno meglio sul fronte musicale. Coerentemente con quanto fatto in passato con altri titoli pucciniani, Riccardo Chailly ha scelto di eseguire la prima versione del capolavoro, andata in scena a Torino nel 1893. Tra le numerose differenze rispetto alla versione corrente, spicca il concertato del Finale primo, espunto prima dell’esordio scaligero nel 1894. Chailly offre una prova di notevole intensità per cura dello strumentale, gusto per il bel suono e capacità di cucire una narrazione serrata e incalzante. Il direttore non spinge troppo sui contrasti dinamici, ma ammorbidisce il suono e ne fa tappeto ideale per il canto, mantenendo sempre un sicuro equilibrio con il palcoscenico e mostrando una bella duttilità di fraseggio. Particolarmente emozionante il magnifico Intermezzo, dove invece la tensione sembra esplodere con particolare vigore, mentre nel terzo atto l’ottima orchestra scaligera trova sonorità cineree che ben restituiscono la condizione psicologica dei protagonisti.

Maria Josè Siri, se non esibisce un’accesa sensualità, brilla invece per bellezza e omogeneità di un timbro chiaro e luminoso, che dà di Manon un ritratto liliale e, per certi versi, ancor più conturbante. L’interprete, poi, è attentissima al dettato musicale e fortemente partecipe sul fronte emotivo. Marcelo Alvarez è un Des Grieux dal timbro maschio e brunito, che ben si presta a disegnare il giovanile trasporto del personaggio; tuttavia, la sua prova non convince pienamente per le continue prese di fiato e per un certo timore nell’affrontare gli acuti (che nella difficile scrittura pucciniana sono tanti e insidiosi), molti dei quali al limite del grido. L’interprete, poi, non va oltre una certa qual genericità. Convincono invece il Lescaut ottimamente cantato di Massimo Cavalletti e l’autorevole Geronte di Carlo Lepore, dotato peraltro di un timbro molto bello e ampio. Marco Ciaponi schizza con efficacia e gusto i tre diversi personaggi di Edmondo, del lezioso Maestro di ballo e del lampionaio. Molto bravi tutti gli altri: Emanuele Cordaro (l’oste), Daniele Antonangeli (un sergente degli arcieri), Gianluca Breda (un comandante di marina), con una menzione speciale per il musico di Alessandra Visentin, circondata da un pregevole stuolo di cantori (Barbara Lavarian, Roberta Salvati, Silvia Spruzzola, Julija Samsonova, Maria Miccoli). Come sempre, sugli scudi la prova del Coro della Scala istruito da Bruno Casoni, mentre appropriate sono parse le coreografie affidate a Denni Sayers.

Teatro alla Scala – Stagione 2018/2019
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti di autore anonimo
(cui collaborarono Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Ruggero Leoncavallo,
Domenico Oliva, Marco Praga, Giacomo Puccini, Giulio Ricordi)
Musica di Giacomo Puccini

Manon Maria José Siri
Lescaut Massimo Cavalletti
Des Grieux Marcelo Álvarez
Geronte Carlo Lepore
Edmondo/Il maestro di ballo / Lampionaio Marco Ciaponi
L’Oste Emanuele Cordaro
Un Musico Alessandra Visentin
Sergente degli arcieri Daniele Antonangeli
Un Comandante di Marina Gianluca Breda
Musici Barbara Lavarian, Roberta Salvati (sop. primi)
Silvia Spruzzola (sop. secondo)
Julija Samsonova, Maria Miccoli (contralti)

Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia David Pountney
Scene Leslie Travers
Costumi Marie-Jeanne Lecca
Coreografia Denni Sayers
Luci Fabrice Kebour
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 31 marzo 2019

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