Milano, Teatro alla Scala – Idomeneo
Punto di partenza cruciale per lo sviluppo e l’affinamento del personale linguaggio artistico mozartiano, Idomeneo è uno dei titoli più travagliati del catalogo del Salisburghese. Commissionato nel 1780 dal principe elettore di Baviera Karl Theodor a un Mozart ventiquattrenne, messo in scena al Residenztheater di Monaco nel gennaio del 1781, la sua gestazione fu parecchio laboriosa, con continui tagli alla partitura e al libretto, ripensamenti, espunzioni, riscritture. Ispirato al consueto modello dell’opera seria all’italiana, tratto da una precedente tragédie lyrique di Antoine Danchet musicata da André Campra, per l’occasione i testi furono affidati all’abate Giambattista Varesco, musicista, poeta e librettista originario di Trento, cappellano di corte dell’arcivescovo di Salisburgo. Dramma per musica in tre atti, aderente alla struttura dell’opera metastasiana, con notevoli innovazioni: coreografie, danze e brani puramente orchestrali; l’utilizzo del coro in funzione non solo decorativa, ma anche drammatica attiva; la presenza di recitativi accompagnati per stabilire un nesso tra un’aria e l’altra ma, soprattutto, un inusitato realismo psicologico, destinato a fungere da fulcro nelle successive composizioni mozartiane.
Dopo la versione minimalista del 2005 di Luc Bondy, ripresa nel 2009, Idomeneo torna al Teatro alla Scala in una nuova produzione Sturm und Drang a firma di Matthias Hartmann. Grazie anche alle belle, monumentali scene di Volker Hintermeier, dominate da una colossale testa di toro (chiara allusione al Minotauro), lo scheletro di una nave, gigantesche ancore arrugginite, enormi conchiglie e pali metallici dove campeggiano inquietanti bucrani, il regista tedesco suggerisce l’idea di una Creta arcaica e austera, cupa, dai toni accesi e crudi, quasi preromantica. Sostanzialmente due sono le idee di fondo di questo allestimento: la prima è la presenza costante e incombente della paura della vendetta divina del dio Nettuno, qui incarnata da danzatori dipinti d’argento, creature demoniache da incubo inviate dalla divinità marina per condizionare la vita di Idomeneo, tenendolo in loro potere e influenzando ogni sua azione, in scena sin dall’ouverture: una trovata dopotutto efficace ma, alla lunga, stucchevole. La seconda è il lacerante conflitto interiore vissuto dal protagonista, psichicamente borderline, evidente in particolar modo nel finale: dopo aver consegnato al figlio la propria corona, sembra spaesato e per nulla in pace con se stesso, vivendo male la perdita di sovranità. Per il resto, la regia si muove nel solco della tradizione, relegando spesso e volentieri i cantanti al proscenio, senza precise indicazioni su come muoversi o recitare. Anonimi, in alcuni casi tendenti al brutto, i costumi atemporali firmati da Malte Lübben, un campionario trito e ritrito di cappotti, stivali, anfibi, pepli ed elementi in pelle. Suggestiva e di forte impatto l’illuminazione curata da Mathias Märker, giocata sull’alternanza tra luci fredde che squarciano il buio e altre dorate e calde, che bagnano il palcoscenico riverberandosi nella sala teatrale e suggerendo l’idea di un Mediterraneo assolato. Variegate le coreografie di Reginaldo Oliveira, di sapore animalesco durante l’ouverture, dove emergono i ballerini solisti Marta Romagna e Samuele Berbenni, ma abbastanza banali e grottesche nella ciaccona che chiude l’opera.
A seguito del forfait del vegliardo Christoph von Dohnányi, torna sul podio della Scala Diego Fasolis, uno dei decani della musica storicamente informata, già apprezzato nelle ultime stagioni meneghine come esecutore di titoli del Settecento. Riducendo i tagli alla partitura già decisi a suo tempo da von Dohnányi e Hartmann ed eseguendo circa centosettanta minuti di musica, Fasolis predilige una lettura estremamente vibrante ed energica, caratterizzata da sferzate di sonorità asciutte e guizzanti, incisive e nitide. Con un’attenzione filologica al singolo dettaglio, la narrazione si dipana con vigoria, tensione e con uno speciale occhio di riguardo per le dinamiche, perlopiù rapinose e incalzanti.
Bernard Richter è un protagonista aitante, dalla vocalità tenorile gagliarda e salda in acuto, di bel timbro schietto venato di suggestive inflessioni del colore dell’ebano, in grado di piegarsi in delicate mezzevoci, per esempio nella frase “Oh Creta fortunata! Oh me felice!” che conclude il suo ultimo recitativo, pronunciata quasi in un soffio. Il tenore svizzero mostra, poi, sicurezza e fluidità nel canto d’agilità, soprattutto nell’aria del secondo atto “Fuor del mar ho un mar in seno”. Piace il mezzosoprano Michèle Losier nel ruolo en travesti di Idamante. Sin dall’aria d’esordio “Non ho colpa, e mi condanni” l’artista canadese si distingue per uno strumento timbricamente sopranile, morbido nell’emissione e che corre con facilità, ben sfogato nelle note alte, nonché per una musicalità rifinita. La dolente, languorosa Ilia del soprano Julia Kleiter, in possesso di una voce luminosa a tratti asprigna in acuto, canta con facilità e correttezza, compita con raffinatezza e una buona dizione, dando vita a una principessa troiana aristocratica ma fredda, eccessivamente asettica e distante.
Lo stesso non si può dire per la sua rivale in amore. Parte impervia quella di Elettra, affrontata nel corso del Novecento dalle più disparate vocalità con esiti più o meno convincenti (si menzionino, per dovere di cronaca, almeno Edda Moser, Leyla Gencer, Julia Varady, Hildegard Behrens, Carol Vaness, Edita Gruberova e, in anni più recenti, Barbara Frittoli, Anja Harteros ed Eleonora Buratto). Oggi giganteggia una ex allieva dell’Accademia scaligera, Federica Lombardi: strumento matronale, pieno e di colore ambrato, emesso omogeneamente, brunito nel registro medio-grave e corposo in quello acuto, grazie anche a un fisico statuario la Lombardi è un’interprete carismatica, istintuale e volitiva, che domina la scena come una leonessa. Tra i momenti meglio riusciti della matinée, vanno sicuramente annoverate le due arie “Tutte nel cor vi sento” e “D’Oreste, d’Aiace”, quest’ultima accolta da scroscianti applausi a scena aperta, affrontate entrambe con piglio battagliero e con scioltezza nella resa della frastagliata linea di canto sillabica.
L’Arbace di Giorgio Misseri brilla per la voce luminosa e garbata, ben proiettata negli estremi acuti, e per il gusto nel porgere la parola; una menzione di merito per l’aria del terzo atto “Se colà ne’ fati è scritto”. Eccessivamente veemente il Gran Sacerdote di Nettuno del tenore Krešimir Špicer, dalla vocalità senza ombra di dubbio di peso ragguardevole e ben espansa, ma periclitante nella salita alle note alte. Icastico l’intervento dal palco reale del basso Emanuele Cordaro (La Voce), in possesso di uno strumento autorevole e morbido. Corretti Silvia Spruzzola, Olivia Antoshkina (Due Cretesi), Massimiliano Di Fino e Marco Granata (Due Troiani).
Come sempre impeccabile il Coro del Teatro alla Scala, diretto con dedizione e cura da Bruno Casoni, potentemente incisivo in special modo nel Finale secondo (“Corriamo, fuggiamo”), intriso di pathos, e nel gioioso “Scenda Amor, scenda Imeneo”.
Al termine, festante successo per tutti, con punte di roboante entusiasmo per Federica Lombardi, Diego Fasolis, Michèle Losier e Bernard Richter. [Rating:3.5/5]
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2018/2019
IDOMENEO
Dramma per musica in tre atti
Libretto di Giambattista Varesco
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Idomeneo Bernard Richter
Idamante Michèle Losier
Ilia Julia Kleiter
Elettra Federica Lombardi
Arbace Giorgio Misseri
Gran Sacerdote di Nettuno Krešimir Špicer
La Voce Emanuele Cordaro
Due Cretesi Silvia Spruzzola, Olivia Antoshkina
Due Troiani Massimiliano Di Fino, Marco Granata
Solisti ballo ouverture Marta Romagna, Samuele Berbenni
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Direttore Diego Fasolis
Maestro del coro Bruno Casoni
Basso continuo: cembalo Paolo Spadaro Munitto
Basso continuo: violoncello Simone Groppo
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Malte Lübben
Luci Mathias Märker
Drammaturgia Michael Küster
Coreografo Reginaldo Oliveira
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 19 maggio 2019