Nel giorno dei funerali di Franco Zeffirelli, il pubblico del Teatro alla Scala ha reso omaggio al grande regista con un minuto di silenzio su invito del sovrintendente Alexander Pereira. Affacciatosi sul palco della prima de I Masnadieri di Giuseppe Verdi, Pereira ha ricordato le 21 opere e le 20 produzioni teatrali realizzate dal regista per il teatro milanese, dal Turco in Italia con Maria Callas del 1954, alle due produzioni di Aida, per un totale di oltre 500 recite. Ma la notizia del giorno, quella commentata da tutti i giornalisti e gli appassionati, era un’altra: la prossima fine del mandato di Pereira e la scelta, da parte del Consiglio di amministrazione del teatro, del francese Dominique Meyer quale suo successore. Contro ogni previsione, che dava Pereira per riconfermato fino al 2022, anno di scadenza dell’incarico dell’attuale direttore musicale Riccardo Chailly. Una scelta pare voluta dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, a fronte di una spaccatura nel Cda. Una scelta, si sussurrava nel Ridotto della Scala, rispetto alla quale Pereira non intende restare inerte. Vedremo cosa porterà il futuro.
Per il momento, il presente ci porta a riferire di una prima contestata dal pubblico, con buu e fischi al termine dello spettacolo indirizzati in particolare a direttore, regista e baritono. I Masnadieri mancava dalla Scala dal 1978, quando la diresse un non ancora venticinquenne Chailly, chiamato a sostituire un indisposto Gianandrea Gavazzeni. Questa volta, sul podio c’è Michele Mariotti e la sua lettura appare lontana da un certo modo di intendere il Verdi giovanile, tutto fuoco e contrasti dinamici: il direttore pesarese frena i turgori della scrittura verdiana nel segno di un’asciuttezza nel dettato musicale, di una precisione e pulizia negli accompagnamenti, di una sapiente attenzione allo strumentale. Ma il risultato, a mio avviso, è convincente solo in parte, perché una simile scelta va talvolta a scapito della tensione narrativa, che è fondamentale in Verdi e in particolare nelle opere del Verdi degli “anni di galera”. La direzione di Mariotti è di alta routine, ma ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più in termini di originalità dell’approccio.
Si potrebbe a questo punto disquisire della qualità de I Masnadieri: fior di critici e studiosi l’hanno bollata come opera discontinua e convenzionale. Soprattutto se confrontata con il contemporaneo Macbeth. La causa principale di tale discontinuità andrebbe ricercata nel libretto di Andrea Maffei, ispirato a una tragedia di Friedrich Schiller, libretto letterariamente prezioso ma drammaturgicamente debole (e sappiamo quanto il genio di Verdi, per esprimersi pienamente, avesse necessità di un’organizzazione “teatrale” dell’azione). In realtà, all’ascolto in teatro, l’opera si rivela più interessante del previsto per una innegabile qualità della melodia, unita a un chiaro sforzo di aderire alla verità della parola, che fu costante in Verdi. Inoltre – ed è questa la qualità più pregnante di tale lavoro – sulla vicenda e sulla musica si stende un’aura di dolente e invincibile malinconia che è la quintessenza dell’epos verdiano, così intriso di pessimismo sulla condizione umana. Quello stesso pessimismo che accomunava il compositore a un altro gigante dell’Ottocento, ovvero Alessandro Manzoni che, come noto, fu, insieme a Shakespeare, la passione letteraria del Nostro. Tuttavia, mentre il Gran Lombardo, da fervente cattolico sublimava la contemplazione della realtà in una superiore visione di fede, il laico Verdi non poteva che restituire la condizione dell’uomo, carico di sofferenza e di colpa, ma accompagnato da uno sguardo di dolente compassione che rende la sua arte ancor più vera.
Grande attesa circondava il debutto scaligero del soprano americano Lisette Oropesa, che è stata lungamente applaudita. La voce è luminosa e timbrata, il colore molto bello, la linea di canto sempre sorvegliata e ricamata con grande gusto. Il meglio di sé mi pare che Oropesa lo abbia dato nei cantabili, ove la dimensione malinconica della melodia trovava singolare espressione, mentre una qualche imprecisione si è fatta registrare nei passaggi virtuosistici.
Molto bene ha fatto Fabio Sartori nel ruolo di Carlo, figura dal sapore byroniano, protagonista incisivo sia nel dispiegare con passione la melodia, che nel tormento dei recitativi. Eccellente il Massimiliano di Michele Pertusi, qui più che in altre occasioni, il vero, autentico, nobile basso verdiano. Alterna invece la prova del baritono Massimo Cavalletti, che vanta un timbro molto bello per consistenza e pastosità, ed esibisce un buon gusto nel fraseggio, ma ha faticato in acuto. Ottimi i comprimari: Arminio (Francesco Pittari), Moser (Alessandro Spina), Rolla (Matteo Desole). La prestazione del coro istruito da Bruno Casoni, pur positiva, non ci è parsa all’altezza delle notevoli prove precedenti.
Resta da dire della regia di David McVicar, che confeziona uno spettacolo nel complesso apprezzabile e funzionale. Niente stravolgimenti temporali: siamo al “principio del XVIII secolo”, come recita il libretto, e i bei costumi di Brigitte Reiffenstuel, insieme alla scena di Charles Edwards, ce lo ricordano con chiarezza. Sulle note del bellissimo Preludio (sensibile il violoncello solista di Massimo Polidori), assistiamo all’antefatto: un giovane soldato, interpretato da un attore corpulento, è punito dai superiori con vergate al fondoschiena davanti ai commilitoni. Si tratta dello stesso Carlo o forse del drammaturgo Friedrich Schiller: il figurante sarà sempre in scena, spesso con fogli e penna in mano, per prendere nota o piuttosto scrivere la vicenda alla quale assiste e partecipa. Questa si svolge in una sala del castello dei Moor che diventa di volta in volta covo dei masnadieri o foresta, taverna o torre ove è tenuto prigioniero il conte Massimiliano. Col procedere dell’azione, la scena riporta i segni devastanti del passaggio dei masnadieri, così che nell’ultimo atto, tutto è in rovina. Efficace l’idea di affidare a un nutrito gruppo di aitanti attori il ruolo dei briganti, anche se le loro movenze, curate da Jo Meredith, sono talvolta caricate. Plauso alle luci curate da Adam Silverman.
In definitiva, anche questa messinscena rende ulteriore ragione di quanto, con mirabile capacità di sintesi, dicono a Parma: “Verdi è come il maiale, non si butta via niente!”.
Teatro alla Scala – Stagione d’opera e balletto 2018/19
I MASNADIERI
Melodramma tragico in quattro atti di Andrea Maffei
da Die Räuber di Friedrich Schiller
Musica di Giuseppe Verdi
Massimiliano Michele Pertusi
Carlo Fabio Sartori
Francesco Massimo Cavalletti
Amalia Lisette Oropesa
Moser Alessandro Spina
Arminio Francesco Pittari
Rolla Matteo Desole
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia David McVicar
Scene Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Movimenti coreografici Jo Meredith
Luci Adam Silverman
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 18 giugno 2019