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Londra, Royal Opera House – La fille du régiment

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Era il 2007 quando La fille du régiment di Donizetti veniva reintrodotta in cartellone alla Royal Opera House con l’allestimento di Laurent Pelly, dopo quarant’anni di assenza dalla storica rappresentazione del 1966-67 con Luciano Pavarotti e Joan Sutherland. Da allora il titolo è rientrato stabilmente nel repertorio del teatro. Alla sua quarta ripresa, la produzione di Pelly si conferma un successo di pubblico anche se il puro intrattenimento teatrale prende talvolta il sopravvento sul canto.

Ambientata in Tirolo nel 1805, l’azione viene trasposta dal regista in un periodo indefinito durante la prima guerra mondiale. È una concezione estetica unitaria quella di Pelly, che firma anche i costumi, a sua detta fondamentali per l’interpretazione (molto belli quelli dell’aristocrazia così come il costume da educanda primo ‘900 di Marie nel secondo atto), mentre le scene, ideate da Chantal Thomas, servono a suggerire un determinato tipo di movimento alle masse, anche se mettono a dura prova i cantanti visto il numero di piani inclinati in entrambi gli atti. Così vediamo nel primo atto il ventunesimo reggimento francese sostare e marciare su delle grandi mappe piegate su stesse a ricreare le montagne del Tirolo. Marie, la giovane vivandiére adottata e cresciuta dal reggimento, trascorre il tempo a prendersi cura dei soldati stirando camicie e pelando patate. Nella visione di Pelly, Marie è un vero e proprio maschiaccio con pantaloni e stivali da soldato, canotta ingiallita, bretelle e acconciatura vagamente alla Pippi Calzelunghe. La visione di questo come di altri personaggi (Sulpice in primis ma anche la Duchessa e la nobiltà decrepita e snob) è caricaturale ma serve a enfatizzare l’aspetto comico dell’opera così come le caratteristiche essenziali dei personaggi. Marie è infatti una creatura libera, che vive alla giornata, molto istintiva e spontanea. Per le scene del secondo atto Chantal Thomas opta per delle semplici strutture prospettiche e mobilio di legno scuro che creano un clima oppressivo in linea con lo stato psicologico di Marie. Bello l’uso delle luci di Joël Adam nel sottolineare la tensione emotiva o la gioia dei personaggi. Innumerevoli i momenti comici di questa produzione: si vede la biancheria stesa scorrere a tempo di musica, il reggimento piegarsi agli acuti dei cantanti, il notaio sbucare dal camino, Tonio irrompere nel castello in cima a un carro armato e il canto del galletto francese risuonare alla fine del secondo atto. Agathe Mélinand cura l’ammodernamento dei dialoghi (parte integrante dell’opéra comique) tenendo alta l’attenzione del pubblico.

Dal podio Evelino Pidò predilige ritmi spediti e al contempo gestisce intelligentemente le dinamiche nei momenti più lirici. Di pregio l’esecuzione dell’Ouverture, in cui si segnalano gli interventi dei fiati, così come l’Entr’acte e il solo del violoncello nel secondo atto. Il resto della partitura viene eseguito in maniera un po’ discontinua con accompagnamenti troppo fiacchi e appiattiti, o viceversa troppo veloci con conseguenti problemi di insieme tra i cantanti in alcuni duetti/terzetti.

Nel title role troviamo il soprano di coloratura francese Sabine Devieilhe, in una delle sue poche incursioni nel Belcanto (Mozart, musica barocca su strumenti originali e Strauss formano il grosso del suo repertorio a oggi). La sua è una prestazione vocale altalenante e talvolta si ha l’impressione che il ruolo non sia pienamente adatto a lei. Dotata di una voce piccola (che talvolta viene soverchiata da tenore e coro) ma sicuramente agile e molto estesa, Devieilhe emette acuti, salti e trilli con facilità anche se alcuni suoni nel sovracuto sembrano assottigliati e non sempre ben sostenuti (con difficoltà lampanti nel finale di “Salut à la France”). È nelle arie lente e patetiche che Devieilhe svetta in maestria e gusto con pianissimi, mezzevoci, legato di rara bellezza e fraseggio eccellente. Sicuramente meno esuberante e volitiva di Natalie Dessay (prima interprete di questa produzione e un vero animale da palcoscenico), la cantante conferisce al personaggio umanità, dolcezza e grazia che altrimenti verrebbero sopraffatte dai continui sketch da maschiaccio tendenti all’isterismo voluti dal regista.
La star della serata è senza ombra di dubbio il tenore messicano Javier Camarena che ha alle spalle una carriera di tutto rispetto e un repertorio vasto di titoli belcantistici. La voce è sonora, bronzea, con buon squillo e un’estensione notevole che va ben al di là dei famosi nove do acuti (otto scritti in partitura) della temibile aria di bravura “Ah! mes amis”. Qui Camarena ci arriva un po’ concitato e per questo motivo il primo do non è ben centrato, mentre gli altri sono corretti ma non tutti pienamente sonori. Il pubblico comunque apprezza e chiede a gran vigore un bis. Dopo un paio di occhiate complici con il Maestro, Camarena riparte e la seconda esecuzione è nettamente migliore con un canto da manuale, sicuro e con tutti gli acuti ben piazzati e molto sonori. Il teatro esplode in tripudio. È nell’aria romantica del secondo atto “Pur me rapprocher de Marie” che Camarena esibisce tutte le sue qualità, dinamiche, passaggio di registro, chiaroscuro, gestione del fiato nel crescendo finale che si conclude con acuto che buca il teatro. L’interpretazione che dà del personaggio è di un ragazzotto impacciato ma genuino, buono e innamorato. Apprezzabile la dizione.
Pietro Spagnoli esegue il ruolo di Sulpice con correttezza e omogeneità vocale, giocando su una comicità naturale e mai forzata. Enkelejda Shkoza nel ruolo della Marchesa è la mattatrice della serata con una recitazione esilarante e sopra le righe, mentre nel canto sfodera una voce potente e ben proiettata ma con qualche disomogeneità negli affondi al registro medio-basso. Non convince il cameo di Miranda Richardson nel ruolo parlante della Duchessa. Minori e non degni di nota gli altri contributi.
Il coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding talvolta rimane un po’ indietro con i tempi e mostra qualche incertezza, anche se il contributo all’azione scenica è eccellente e i motivi militareschi sono cantati efficacemente.
Al termine applausi scroscianti e ovazioni con picchi di entusiasmo per Camarena, Devieilhe e il Coro della Royal Opera House.

Royal Opera House – Stagione 2018/19
LA FILLE DU RÉGIMENT
Opéra comique in due atti
Libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Musica di Gaetano Donizetti

Marie Sabine Devieilhe
Tonio Javier Camarena
Sulpice Pingot Pietro Spagnoli
La Marquise de Berkenfield Enkelejda Shkoza
La Duchesse de Crakentorp Miranda Richardson
Hortensius Donald Maxwell
Un Notaire Jean-Pierre Blanchard
Un Caporal Bryan Secombe

Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Evelino Pidò
Maestro del coro William Spaulding
Regia Laurent Pelly
Scene Chantal Thomas
Dialoghi Agathe Mélinand
Costumi Laurent Pelly
Luci Joël Adam
Coreografie Laura Scozzi
Ripresa coreografie Karine Girard
Allestimento della Royal Opera House
In coproduzione con Staatsoper di Vienna e Metropolitan Opera di New YorK
Londra, 8 Luglio 2019

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