Nonostante siano passati 16 anni dalla sua prima rappresentazione, Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart nell’allestimento firmato da David McVicar si conferma uno dei titoli più di successo del repertorio della Royal Opera House di Londra dell’ultimo ventennio. La produzione, ormai giunta all’ottava ripresa sotto la supervisione di Bárbara Lluch, continua ad affascinare grazie a una ricerca estetica a tutto tondo seppur nei confini della tradizione.
Il contrasto tra luce e tenebre, giorno e notte, sole e luna, è un elemento portante di questo allestimento come è evidente dalle prime battute: durante l’esecuzione dell’ouverture, nell’oscurità totale, figuranti entrano in teatro portando delle sfere illuminate, un presagio forse del trionfo finale della luce sulle tenebre e del percorso di illuminazione del principe Tamino e della sua giovane amata. Le scene curate da John Macfarlane sono perlopiù caratterizzate da strutture imponenti che creano un effetto tetro e opprimente ma che, grazie a movimenti scenici, lasciano intravedere sprazzi di luce ma anche un cielo notturno con delle costellazioni. I colori dominanti dei fondali sono il nero, il blu scuro, il rosso sangue e il giallo ocra. Una luna gigante cala in scena durante la prima aria della regina della notte, mentre una ruota gigante a simboleggiare il sole viene trascinata in scena sul finire del secondo atto quando il fondale scuro diventa progressivamente luminoso. Un altro effetto visivo d’impatto sul pubblico è la navicella alata dei tre fanciulli che sorvola o atterra sul palcoscenico. La scena della foresta è molto evocativa grazie a un grande albero rosso e a delle comparse con maschere animalesche. La componente animale è presente anche in apertura del primo atto, laddove un grande serpente, trascinato da delle comparse, insegue Tamino come previsto da libretto. La simbologia di matrice massonica viene richiamata senza morbosità dall’occhio della provvidenza che domina il fondo scuro del palazzo di Sarastro e dal sole e luna che adornano il suo prezioso abito. Fin qua il regista rimane fedele alle intenzioni di librettista e compositore, discostandosi invece in tutto o in parte dagli aspetti più delicati del libretto che potrebbero destare implicazioni razziste o sessiste: il moro cattivo Monostatos è rappresentato in maniera politically correct come un viscido cortigiano incipriato, ma non di colore, mentre i rimandi al ruolo subalterno delle donne, seppur mantenuto nei testi, viene smorzato dall’effettiva caratterizzazione di Pamina come personaggio determinante nella realizzazione di Tamino.
Le luci di Paule Constable creano dei meravigliosi effetti a chiaroscuro che richiamano i quadri di Georges de La Tour o di Joseph Wright Derby. John Macfarlane firma anche i costumi settecenteschi dove dominano le tinte pastello, fatta eccezione per il nero delle dame e della regina della notte, o per il rosso e oro dei costumi di Sarastro. Unica incoerenza stilistica è il costume anacronistico di Papagena, dovuto a una scelta del regista, per cui questa non è una vecchia inizialmente, ma piuttosto una giovane e frivola ragazza anni ‘60 con tanto di pellicciotto e occhiali da sole. Una trovata simpatica ma obiettivamente senza senso.
Dal podio, il direttore inglese Leo Hussain predilige leggerezza, compattezza e sofficità dei suoni prestando grande attenzione agli interventi giocosi dei fiati a enfatizzare il carattere fiabesco dell’opera. Meno efficace è invece la resa dei momenti solenni come il triplice accordo dove l’orchestra appare appositamente frenata. Si segnalano invece per drammaticità espositiva gli interventi dei tromboni durante il duo degli armigeri. Di pregio i cantabili così come gli effetti di eco e pre-eco e gli interventi solistici del flauto.
Il cast vocale di questa ripresa è completamente rinnovato rispetto alle riprese passate e nel complesso regge il paragone. Vito Priante è un ottimo Papageno. Il baritono italiano intrattiene con naturalezza, grazie a una comicità mai esagerata che tiene sapientemente sotto controllo l’aspetto buffonesco per far prevalere invece aspetti del carattere dell’uccellatore, quali la genuinità popolare, l’edonismo e anche la codardia. Priante sfoggia una voce sonora, tonda, pastosa e molto ben proiettata.
Al suo debutto al Covent Garden, Elsa Dreisig conferisce dolcezza e grazia al personaggio di Pamina, anche se questo avviene talvolta a discapito della drammaticità. Il soprano franco-danese sorprende per limpidezza del suono, morbidezza nell’emissione e assenza di qualsiasi forzatura nel registro medio-acuto. Nell’aria del secondo atto “Ach, ich fühl’s”, Dreisig brilla per dolcezza del fraseggio e purezza timbrica mentre il duetto del primo atto con Papageno è uno dei momenti musicali più riusciti della serata, per bellezza espressiva e comunicatività.
Il tenore inglese Benjamin Hulett è un Tamino credibile, la cui eleganza nel porgere la parola e lo stile quasi corale del canto ben si addice alla natura aristocratica del personaggio. Il timbro è duttile e i suoni sono ben emessi. Tuttavia, sarebbe stata auspicabile una maggior ricerca del fraseggio nell’aria del ritratto del primo atto che risulta un po’ piatta.
L’arduo compito di interpretare la Regina della notte spetta al soprano finlandese Tuuli Takala, che centra con sicurezza tutti i sovracuti nell’aria “Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen” oltre a rendere con credibilità la sete di potere e la cattiveria di Astrifiammante.
Andreas Bauer Kanabas è un Sarastro dall’ottima presenza scenica che conferisce umanità e saggezza al personaggio del gran sacerdote, anche se una certa cautela nei gravi inficia la resa complessiva dei momenti più solenni come nell’aria “O Isis und Osiris”. Corrette anche se eccessivamente caratterizzate le prove di Yaritza Véliz e Rodell Rosel, nei panni di Papagena e Monostatos. Perfettamente in sintonia il terzetto delle dame (composto da Kiandra Howarth, Hongni Wu e Nadine Weissmann), le cui voci si armonizzano molto bene in sala senza nessuna sbavatura. Funzionale ma prevedibilmente debole d’intensità il trio delle voci bianche dei genietti. Vigoroso e autorevole il canto dei due armigeri Andrés Presno e Julian Close.
Puntuali, compatti e duttili i brevi interventi del coro della Royal Opera House diretto con gusto e precisione dal maestro William Spaulding.
Applausi calorosi vengono riservati a tutti gli interpreti con picchi di entusiasmo per Dreisig, Takala e Priante.
Royal Opera House – Stagione d’Opera e Balletto 2019/20
DIE ZAUBERFLÖTE
Singspiel in due atti di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina Elsa Dreisig
Tamino Benjamin Hulett
Regina della Notte Tuuli Takala
Sarastro Andreas Bauer Kanabas
Papageno Vito Priante
Una vecchia (Papagena) Yaritza Véliz
Monostatos Rodell Rosel
Prima dama Kiandra Howarth
Seconda dama Hongni Wu
Terza dama Nadine Weissmann
Oratore Darren Jeffery
Primo sacerdote Harry Nicoll
Secondo sacerdote Donald Maxwell
Primo armigero Andrés Presno
Secondo armigero Julian Close
Tre genietti Sholto McMillan, Sam Lyne-Hall, Inigo Guthrie
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Leo Hussain
Maestro del coro William Spaulding
Regia David McVicar ripresa da Bárbara Lluch
Scene e costumi John Macfarlane
Luci Paule Constable
Coreografie riprese da Angelo Smimmo
Produzione della Royal Opera House
Londra, 4 novembre 2019