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Londra, Royal Opera House – Death in Venice

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Dopo oltre venticinque anni di assenza, Death in Venice di Benjamin Britten ritorna sul palcoscenico della Royal Opera House di Londra, grazie a un nuovo sontuoso allestimento firmato da David McVicar all’interno di un ciclo di opere dedicato al grande compositore inglese. Sulla scia del successo di critica e pubblico di Billy Budd la scorsa stagione, c’era molta attesa per questa produzione, con diverse recite sold-out da settimane. Le attese non sono state certamente tradite e le ovazioni tributate a fine recita da una sala gremita, testimoniano come anche il teatro musicale del Novecento possa riempire i teatri, se proposto nel modo giusto e con qualità.

Andata in scena per la prima volta nel 1973 all’Aldeburgh Festival e ripresa lo stesso anno al Covent Garden di Londra e al Teatro la Fenice di Venezia, Death in Venice è l’ultima opera di Britten, concepita su misura per il tenore e compagno di vita Peter Pears, primo interprete del ruolo del titolo. Era da molto tempo che Britten voleva dedicare un’opera alla novella di Thomas Mann Der Tod in Venedig, grazie all’amore per la letteratura e alcune tematiche congeniali al compositore quali lo struggimento per la bellezza, l’ordine e l’autodisciplina artistica ma anche il desiderio e l’attrazione. Per portare a compimento il progetto, Britten dovette convincere gli eredi della famiglia Mann, nonché ottenere il beneplacito della Warner, che negli stessi anni produceva la versione cinematografica di Luchino Visconti. Per evitare ogni influenza e accusa di plagio, fu consigliato a Britten dai suoi legali di non guardare il film del regista italiano. Per ultimare la composizione poi, Britten convinse i medici a posticipare un necessario intervento chirurgico, ma stanco e affaticato dalla malattia, non poté curare in prima persona l’allestimento della sua ultima opera. Date le condizioni di salute, i temi della morte e del distacco dalla vita assunsero una connotazione particolarmente personale e simbolica per il compositore, innamorato di Venezia, dove volle tornare nel 1975, poco prima di morire.

Ed è proprio Venezia al centro della produzione di McVicar: una Venezia misteriosa, dai toni noir, ambigua, realistica, brulicante di gente, lussuosa ma anche povera e malsana per via del dilagare del colera. L’allestimento, esteticamente coeso, minuzioso e complessivamente fedele al libretto, può essere definito tradizionale e senza particolari sperimentazioni, ma vista la lunga assenza dal palcoscenico del Covent Garden, la scelta appare di buon senso. Discrezione e delicatezza vengono poi adottate dal regista nel trattare il turbamento del protagonista nel scoprirsi attratto per Tadzio, che in questa produzione è un giovane adulto piuttosto che un adolescente. Non si assiste ad alcun stravolgimento inopportuno o volgare della storia (anche in scene che si presterebbero a facili manipolazioni come quella del sogno con l’apparizione del dio Dioniso). L’impianto scenico, curato da Vicki Mortimer, grazie a colonnati scorrevoli e fondali calati dall’alto cambia di continuo creando di volta in volta le camere e i saloni dell’Hotel des Bains, la spiaggia del Lido (con tanto di mare luccicante al sole, ricreato grazie a un efficace illusione prospettica) e piazza San Marco, con tanto di porticato sullo sfondo a ricordare Palazzo Ducale. Oltre alla spiaggia e all’hotel, la protagonista della scena è una gondola in formato originale che viene spostata da manovratori in scena, con un effetto di galleggiamento quasi se stesse veramente navigando sui canali della Serenissima. Incoerente, visto che la storia si svolge durante la stagione estiva, anche se visivamente molto suggestiva, l’idea di avvolgere la gondola in una foschia notturna tutta invernale. La fedeltà al periodo storico è garantita dai costumi Belle Époque di Vicki Mortimer, curati nei minimi dettagli e appropriati per le diverse circostanze e le diverse classi sociali: sontuosi quelli della borghesia e aristocrazia in villeggiatura, graziosi i costumi da bagno alla marinara dei ragazzini del lido, pittoreschi e realistici i costumi dei popolani veneziani. Le luci di Paule Constable giocano su effetti di chiaroscuro (usati per le scene all’hotel), alternati a una totale e talvolta eccessiva oscurità (presente nella camera dello scrittore a Monaco, i viaggi in gondola, il sogno dionisiaco e in generale nei momenti di travaglio emotivo), o a una luce calda nelle scene ambientate in spiaggia. Lo spettacolo vede anche un ruolo preponderante della danza che si fonde con la musica e la poesia in modo sinergico. La famiglia polacca e i ragazzini del Lido sono tutti danzatori-mimi per i quali non c’è canto o comunicazione verbale, così come voluto dal compositore. Le coreografie, che spaziano dal classico al neoclassico, al contemporaneo, sono curate da Lynne Page e hanno come protagonista assoluto un danzatore del Royal Ballet, Leo Dixon: biondo, atletico, longilineo, Dixon incarna alla perfezione l’ideale di bellezza apollinea. Di particolare suggestione sono le scene delle gare volute da Apollo, dove Tadzio viene incoronato vincitore e issato in alto dai suoi compagni, o la scena finale dove il giovane polacco cammina con gestualità statuaria verso il mare mentre Aschenbach spira sulla sedia.

L’esecuzione musicale è impeccabile: dal podio, Richard Farnes, restituisce la complessità della partitura con una pulizia e ricerca di colori e sfumature tutta cameristica. I soli di pianoforte ad accompagnamento dei recitativi così come i soli di arpa, clarinetto e delle numerose percussioni (vibrafono e glockenspiel in primis) si incastrano perfettamente senza alcuna sbavatura degna di nota.
Dal punto di vista vocale, seppur sul palcoscenico si alternino una miriade di comparse e camei, sono solo tre le voci preponderanti, affidate a un tenore (Aschenbach), basso-baritono (per sette ruoli differenti) e un controtenore (Apollo). È una musica, quella di Britten, che lascia completamente esposti vocalmente e richiede un vero e proprio tour de force, specialmente per il protagonista, in scena per tutta la durata dell’opera in una sorta di lungo monologo con interruzioni. Mark Padmore regala un’interpretazione magistrale del ruolo del titolo: il tenore inglese mette a frutto il suo bagaglio liederistico e brilla per eleganza nella declamazione, ottima proiezione, perfetta intelligibilità delle parole, chiarezza e freschezza del suono (anche dopo oltre due ore sulla scena), varietà di sfumature e colori. Particolarmente toccante ed espressiva è l’aria di Fedro del secondo atto. Il basso-baritono canadese Gerald Finley dimostra una grande versatilità vocale e interpretativa nel ricoprire i sette ruoli da antagonista: particolarmente efficace il canto sillabico da buffo del barbiere, il canto spezzato del gondoliere e i passi baritonali del direttore d’albergo. Una vera e propria maratona della caratterizzazione dove si evince un trattamento efficace del falsetto alternato a timbri più vellutati o di potenza. Tim Mead è un Apollo statuario vacanziero dotato di una voce controtenorile setosa e ben estesa. Tra i ruoli di supporto, degna di nota è la venditrice di fragole di Rebecca Evans. Il coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding interviene in maniera incisiva, sia da fuori scena che dai palchi di prima fila, una scelta questa molto teatrale che conferisce solennità e drammaticità a certi momenti musicali.
In sintesi: al netto di qualche minima incongruenza registica, una produzione eccellente con interpreti di rango e un’esecuzione musicalmente appagante nella sua complessità.
Al termine, applausi scroscianti e standing ovation accolgono tutto il cast con particolare calore per Padmore, Finley e Dixon. Consensi unanimi vengono riservati a tutto il team creativo. Scommessa vinta dunque, quella di riportare Britten stabilmente in cartellone al Covent Garden.

Royal Opera House – Stagione 2019/20
DEATH IN VENICE
Opera in due atti
Libretto di Myfanwy Piper
Musica di Benjamin Britten

Gustav von Aschenbach Mark Padmore
Tadzio Leo Dixon
Il viaggiatore, il bellimbusto attempato, il vecchio gondoliere,
il direttore dell’hotel, il barbiere, il capo dei suonatori ambulanti,
la voce di Dioniso Gerald Finley
La voce di Apollo Tim Mead
Il portiere dell’hotel Colin Judson
La venditrice di fragole Rebecca Evans

Orchestra della Royal Opera House
Direttore Richard Farnes
Maestro del coro William Spaulding
Regia David McVicar
Scene e costumi Vicki Mortimer
Luci Paule Constable
Coreografie Lynne Page
Nuova produzione della Royal Opera House
Londra, 21 novembre 2019

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