Successo trionfale, al Teatro Carlo Felice di Genova, per Simon Boccanegra, seconda produzione della stagione 2018/19. Il titolo operistico più scopertamente legato al capoluogo ligure è stato riproposto nel medesimo allestimento che ha inaugurato la Stagione 2015/16, in una coproduzione con La Fenice di Venezia e il Mariinskij di San Pietroburgo. Successo sicuramente meritato. Spettacolo con moltissime luci e qualche piccola ombra. La parte visiva si inserisce nel solco degli allestimenti non didascalici, che fuggono dalla ridondanza e prediligono l’essenziale, mirando a un lavoro per sottrazione. Il libretto “che porta il nome di Piave” – così scriveva Giuseppe Verdi – rimaneggiato da Arrigo Boito, di per sé non ha didascalie doviziose: siamo ancora lontani dal gusto per l’esacerbata minuziosità nella previsione del più piccolo particolare scenico che costituirà, invece, la cifra dei libretti italiani, ma non solo, della fine del XIX secolo e degli inizi del XX.
Così la scena è praticamente vuota: sullo sfondo un grande praticabile a pannelli che si aprono e si chiudono per diventare ora un incombente, tetro palazzo dei Fieschi, ora un grande verone che guarda al mare, ora un’essenziale sala del Gran Consiglio, ora un’opprimente stanza del Doge dal color rosso cupo, unica concessione a un’impostazione cromatica che predilige l’azzurro molto tenue, tendente al grigio. Dietro al praticabile, il mare, altro protagonista dell’opera. Sullo sfondo si scorge la costa, inequivocabilmente ligure, anche se l’immagine non è direttamente riconducibile a uno skyline realistico o ad una determinata località della Riviera.
In Simon Boccanegra, Verdi coglie un aspetto di Genova, quello più cupo, più sussurrato e silenzioso, che quasi teme di scoprirsi. Il mare del Boccanegra non è un mare in tempesta, non è neppure luminoso: è il mare dell’io, il mare che sai che c’è, anche se lo vedi solo di sfuggita, anche se rimane sullo sfondo. In questo senso l’allestimento scenico di Andrea De Rosa (ripreso da Luca Baracchini), realizzato in buona parte attraverso un suggestivo sistema di proiezioni curato da Pasquale Mari, si rivela aderente alla timbrica creata da Verdi in orchestra: lo è persino nel ricreare, nel colore del cielo e del mare, quella che in Liguria si chiama “macáia”, per descrivere la condizione climatica particolare in cui soffia lo scirocco, il cielo è coperto ma non rilascia una goccia di pioggia. Pochissimi gli elementi scenici: il seggio del Doge, una panca, un tavolo. Nient’altro, nulla che non sia essenziale. Eppure lo spazio scenico è sempre controllato, compiuto, ottimamente condotto. Di buona fattura i costumi di Alessandro Lai, sobri, nello stile genovese, e al tempo stesso molto curati. Fin qui le luci e non è certamente poca cosa.
Qualche ombra, si diceva. Non convince del tutto, ad esempio, l’idea di mostrare il letto di morte di Maria attraverso la finestra della muta magion dei Fieschi, durante l’aria del basso; convince ancor meno l’idea di far portare in scena da Simone la salma di Maria e adagiarla sulla piazza, mentre il popolo, del tutto indifferente, acclama il primo Doge di Genova: se l’intenzione era quella di cercare la rappresentazione dell’evento morte non come un fatto reale, ma come visione che rimane interiorizzata nell’animo del protagonista, non si può dire che l’effetto sia completamente riuscito. Non convince, allo stesso modo, la presenza del fantasma di Maria Fieschi, ad esempio nella scena del secondo atto in cui il Doge si addormenta, o nella scena finale in cui attorno al Doge appena spirato, abbracciato dalla figlia affranta, si viene a comporre una famiglia che gli eventi narrati non hanno mai consentito di costituirsi. Tutto questo nell’opera c’è, sia ben chiaro, ma è nella musica, non necessita di essere rappresentato in maniera palese.
Il versante musicale ha punte di assoluta eccellenza che a Genova non si ascoltavano da tempo. Signore incontrastato dello spettacolo è Ludovic Tézier, nel ruolo del titolo: splendido timbro di baritono nobile, voce ampia, rotonda, omogenea nei vari registri, Tézier è un finissimo fraseggiatore, ha il senso della parola scenica, del recitar cantando, del porgere il suono, della magniloquenza del canto verdiano. Un Simone davvero memorabile.
Notevole anche Giorgio Giuseppini nel ruolo antagonista di Jacopo Fiesco: se il registro acuto tende a sbiancarsi, Giuseppini sfoggia note basse molto scure, ma ben emesse, mai cavernose. La sua interpretazione è sempre misurata e “nella musica”. Fiesco è un uomo che crede graniticamente nella sua superiorità sociale e morale: Giuseppini sa cogliere questa caratteristica del personaggio e lo rende in tutta la sua alterigia, evidenziando ancora di più la sua sconfitta nel momento della resa dei conti. In grande forma anche Francesco Meli, cui il ruolo di Gabriele Adorno calza ancora alla perfezione. Bel timbro, ottimo squillo e acuti sicuri, fraseggio accurato, ottima presenza scenica. A lui il pubblico ha tributato un lunghissimo applauso dopo l’aria “Cielo pietoso, rendila a questo core”.
Bellissima figura, nobile ed elegante, sfoggia Vittoria Yeo nel ruolo di Maria Boccanegra (alias Amelia Grimaldi). Nonostante un timbro non particolarmente affascinante, il suo canto è corretto, la voce ben sfogata e sostenuta, il fraseggio convincente, senza mai cadere nel larmoyant che, in questo tipo di ruoli, è sovente in agguato. Il trillo che chiude il grande concertato della scena del Gran Consiglio è eseguito in maniera mirabile. Leon Kim è un Paolo Albiani nell’insieme corretto che si disimpegna bene soprattutto nel prologo e nel primo atto. Professionale il popolano Pietro di Luciano Leoni.
Sul podio, Andriy Yurkevych sceglie tempi piuttosto comodi e rimane coerente alla scelta per tutta la durata dell’opera. Cura molto il disegno orchestrale che, grazie all’ottima prestazione dell’Orchestra della Fondazione, risulta nitido e chiaro. Simon Boccanegra è opera plumbea e Yurkevych orienta tutta la sua interpretazione in questa direzione. Tuttavia si nota, qua e là, qualche difficoltà nella compagnia di canto a seguire tempi così dilatati.
Superlativa la prova del Coro sotto la guida di Francesco Aliberti. Teatro pienissimo e pubblico entusiasta, in particolare per il terzetto Tézier-Giuseppini-Meli.
Teatro Carlo Felice – Stagione lirica 2018-19
SIMON BOCCANEGRA
Melodramma in prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra Ludovic Tézier
Jacopo Fiesco Giorgio Giuseppini
Amelia Grimaldi Vittoria Yeo
Gabriele Adorno Francesco Meli
Paolo Albiani Leon Kim
Pietro Luciano Leoni
Un’ancella di Amelia Alla Gorobchenko
Fantasma di Maria Luisa Baldinetti
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Andriy Yurkevych
Maestro del coro Francesco Aliberti
Regia e scene Andrea De Rosa
Regia ripresa da Luca Baracchini
Costumi Alessandro Lai
Light e video designer Pasquale Mari
Allestimento del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo
Genova, 17 febbraio 2019