A chiusura della stagione 2018/19, la Fondazione Carlo Felice di Genova propone uno dei titoli più amati dal grande pubblico, Madama Butterfly. Si tratta di una produzione concepita per la prima assoluta, nel 2016, del capolavoro pucciniano al Teatro d’Opera di Astana nella Repubblica del Kazakhstan, ma italianissima nei suoi artefici: regia di Lorenzo Amato, scene di Ezio Frigerio e costumi di Franca Squarciapino.
Le note di regia mettono in luce una questione non scontata: come conciliare l’allestimento di un titolo popolarissimo e plurirappresentato con l’esigenza di realizzarlo in un teatro e per un pubblico che non lo ha mai visto prima. Impossibile, quindi, una scelta orientata verso una messa in scena minimale, essenziale o troppo innovativa; molto meglio orientarsi verso una realizzazione più tranquilla e più vicina a quello che il pubblico dei melomani si attende da Madama Butterfly. Che poi, a leggere con attenzione il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, le didascalie sono piuttosto essenziali, scarne nell’esposizione degli elementi scenici, mentre molta cura viene rivolta alla gestualità, all’interazione dei personaggi e ai loro rituali.
L’allestimento targato Amato/Frigerio/Squarciapino guarda indubbiamente alla tradizione, pur concedendosi qualche licenza rispetto alle indicazioni del libretto: ad esempio, il secondo e terzo atto che dovrebbero svolgersi nel chiuso della casa-prigione di Cio-Cio-San, offrono al contrario un’ampia apertura sul fondo scena con relativa collina e pagoda, sacrificando lo shosi (e annessi forellini) da cui Butterfly, Suzuki e il bambino dovrebbero spiare il ritorno di Pinkerton. Niente Budda, niente paraventi, giapponeserie ridotte al minimo. Anche Cio-Cio-San, all’inizio del secondo atto, veste all’occidentale, per indossare il kimono solo al momento dell’agognato ritorno di Pinkerton e per riconquistare, al momento del sacrificio, la sua dignità e la sua identità culturale. Idea felice e assolutamente condivisibile. Desta, invece, qualche perplessità il pugnale portato alla protagonista da un servitore fuori ordinanza e soprattutto la chiusura del sipario dopo il coro a bocca chiusa e l’immediata riapertura sulla stessa scena, con il sacrificio di quel magnifico effetto musicale che genererebbe l’attacco dell’introduzione alla parte finale dell’opera: è vero che la tragedia giapponese nella sua ultima versione è in tre atti, ma qui la cesura è davvero dolorosa. Il bellissimo intermezzo vede Butterfly con le spalle al pubblico inginocchiata sulla collina a guardare in un “lontan troppo fiso”, su cui viene proiettato un accecante sol levante con sottofondo di grattacieli newyorkese: un sogno americano un po’ troppo scontato. Il suicidio di Cio-Cio-San è molto spettacolare come da tradizione e non con il coltello puntato “lateralmente alla gola”, come libretto vorrebbe. Molto bene lo studio e il lavoro sui personaggi. La scena di Ezio Frigerio è imponente e incombe molto sul pubblico, per scelta consapevole e voluta. Curatissimi, ricercati e tradizionali i costumi di Franca Squarciapino.
La parte musicale è condotta da Giuseppe Acquaviva, direttore artistico della Fondazione genovese, con sonorità molto intense che rammentano la complessità e la forza dello strumentale pucciniano. È, tutto sommato, una versione piuttosto monolitica, ma comunque attenta, limpida nell’esposizione di tutte le sezioni strumentali. Qualche sguardo in più verso il palcoscenico non gusterebbe, anche se, nonostante la forza del suono, le voci non vengono mai coperte. Buona la prestazione dell’orchestra.
Nel faticoso ruolo della protagonista figura Maria Teresa Leva. Inizia l’opera in maniera un po’ incerta e così prosegue fino alla celebre aria del secondo atto, che non desta particolare impressione. Poi una svolta davvero stupefacente: il soprano si dimostra fine interprete nel canto di conversazione con Sharpless e Yamadori, struggente senza cadere nel facile patetismo nell’arioso della geisha, travolgente nella scena finale, con una voce molto ben proiettata, accento e fraseggio notevoli.
Stefan Pop gestisce il ruolo di Pinkerton sempre sul forte e mezzo forte: la voce è timbrata, lo squillo c’è; manca qualche sfumatura e latita il versante della sensualità, della seduzione che il personaggio dovrebbe avere. Stefano Antonucci disegna uno Sharpless elegante e di buona professionalità, anche lui in crescita dopo il primo atto. Raffaella Lupinacci sostiene il ruolo di Suzuki senza cadere nel tranello della dama devota e della serva troppo addolorata. Una menzione particolare merita l’ottimo Goro di Didier Pieri, giustamente viscido e insinuante, con bel timbro e adeguate intenzioni interpretative.
All’altezza della situazione la folta schiera dei personaggi minori: Marta Leung, Kate Pinkerton, John Paul Huckle, lo zio Bonzo, Roberto Conti, Yakusidè, Claudio Ottino, Yamadori e il Commissario Imperiale, Sofia Olivieri, la madre di Cio-Cio-San, Lucia Scilipoti, la cugina, Filippo Balestra, l’Ufficiale del registro. Pur in un contesto dignitoso, suscita qualche perplessità la sezione femminile del coro preparato da Francesco Aliberti.
Entusiasmo del pubblico, ma molti posti vuoti in platea.
Teatro Carlo Felice di Genova – Stagione lirica 2018/19
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Cio-cio-san Maria Teresa Leva
Suzuki Raffaella Lupinacci
Kate Pinkerton Marta Leung
F.B. Pinkerton Stefan Pop
Sharpless Stefano Antonucci
Goro Didier Pieri
Lo zio Bonzo John Paul Huckle
Yakusidè Roberto Conti
Yamadori /Commissario imperiale Claudio Ottino
La madre di Cio-Cio-San Sofia Olivieri
La zia Annarita Cecchini
La cugina Lucia Scilipoti
L’Ufficiale di registro Filippo Balestra
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Giuseppe Acquaviva
Maestro del coro Francesco Aliberti
Regia Lorenzo Amato
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino
Allestimento Teatro Astana Opera
Genova, 16 giugno 2019