Nel 2019 cadono i duecento anni dalla nascita di Jacques Offenbach: è dunque un bene che si festeggi questo compositore e lo si faccia riproponendo opere meno conosciute. Il Teatro del Maggio ha quindi deciso di allestire una delle operette in un atto che tanto successo riscossero durante la gestione offenbachiana del Théâtre des Bouffes Parisiens sugli Champs-Élysées. Nella fattispecie si è optato per Un mari à a la porte, che debuttò il 22 giugno 1859, in pieno Secondo Impero, con la sua trama che gira attorno a quattro personaggi: una neo-sposina gelosa, un’amica un po’ frivola, uno scrittore oberato di debiti con creditori alle calcagna, e un marito devoto che, in quanto rappresentante della legge, dovrebbe punire il giovane poeta. Come nell’opéra-comique, anche qui la musica, organizzata in duetti, terzetti, assiemi e un solo pezzo solistico, il Valse Tyrolienne, si alterna a parti puramente recitate.
Cosa unisce dunque l’intento puramente ludico di un tale pezzo alla complessità teatrale e musicale della ben più nota Cavalleria rusticana a cui il lavoro di Offenbach viene abbinato? Si è voluto vedere un’assonanza centrata sulla gelosia, ma alla prova dei fatti sembra una scelta un po’ tirata per i capelli, in quanto nell’operetta la leggerezza stempera anche questo sentimento, che comunque non viene esibito in modo plateale o ripetuto. Ciò che unisce le due opere sembra più un eterno contrasto tra una visione della vita quasi disincantata e senza pensieri di Offenbach, e i sentimenti larger than life di Pietro Mascagni, tra la semplicità musicale della prima e la profonda cultura di cui si nutre la seconda.
Nello spettacolo fiorentino si attua dunque una profonda divisione tra le due parti tra cui sembra quasi non esserci dialogo, a partire dalla regia firmata da Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi. Per Un mari à la porte, Federica Parolini costruisce sul proscenio una piccola stanza ingombra di oggetti al limite del kitsch, che risaltano anche grazie alle belle luci firmate da Luigi Biondi, in un caleidoscopio irrealistico e fantasioso. I personaggi sono abbigliati in modo altrettanto barocco e flamboyant, caratterizzati in una serie di macchiette di cui risultano vagamente prigionieri. La recitazione infatti non è delle più fluide, soprattutto durante i pezzi musicali, risolti in modo a volte impacciato, o meccanico. Lo spettacolo in generale scorre, ma manca di naturalezza e anche un po’ della giusta spigliatezza, con movimenti non sempre pulitissimi, e controscene ripetitive.
Gli interpreti ce la mettono tutta, ma rimane la sensazione di qualcosa di irrisolto. Patrizio La Placa, nella piccola parte di Henri Martel, risulta il più disinvolto di tutti e si dimostra vocalmente a proprio agio nei pur brevi interventi. Marina Ogii è una Suzanne che acquista sicurezza scenica e varietà di accenti nel corso della recita; lo strumento è saldo su tutta la linea, ben proiettato e connotato da un bel timbro brunito. Matteo Mezzaro tratteggia un Florestan dal fraseggio poco variegato e senza troppi colori nella voce, dotata comunque di una buona proiezione. Francesca Benitez è una Rosita un po’ petulante che fatica a emergere sia scenicamente che vocalmente, in quanto lo strumento, anche se dotato di un registro acuto scintillante, tende a perdere mordente in zona centrale.
Valerio Galli dirige questa nuova orchestrazione (le partiture originali di Offenbach sono infatti andate per la maggior parte perdute, in quanto si stampava solo la riduzione canto e piano e per le esecuzioni si usavano le originali parti manoscritte) con sicurezza e disinvoltura, ma gli mancano il brio e la giocosità per far emergere in pieno la brillantezza della musica, tanto che sembra di sentire un lavoro serioso di Gounod o Massenet. Il magistero tecnico è comunque di prim’ordine, sia nel calibrare il suono che nella gestione dei tempi, e i pochi scollamenti col palcoscenico rilevati si aggiusteranno sicuramente con le repliche. L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino si dimostra non pienamente convinta qui, quanto trascinante in Cavalleria. Nella seconda parte anche Galli sembra più a suo agio e dipinge una Sicilia assolata, inizialmente priva di contrasti, ma che piano piano inizia a mostrare tutte le sue crepe e le sue ombre, fino a un finale di notevole spessore dove le piccole pennellate di colore che avevano tratteggiato l’intermezzo diventano veri e propri squarci chiaroscurati. Anche qui però si registra qualche scompenso con le voci, soverchiate talvolta da sonorità eccessivamente turgide.
In Cavalleria la parte scenica si fa più ampia e profonda. Ci troviamo di fronte a una piazza vuota, con le facciate di case e chiese appiattite tra di loro, totalmente scalcinate e prive di decorazione, come appena uscite da un bombardamento. I costumi aiutano a localizzare l’azione agli anni Quaranta del Novecento, appena dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in un momento in cui la vita continua nonostante la guerra abbia fatto perdere tutto. I personaggi appaiono ancora più vivi e palpitanti, come se non avessero altro a cui aggrapparsi se non a loro stessi. Colpisce soprattutto la caratterizzazione di Mamma Lucia, che sembra uscita da un romanzo di Malaparte: non una vecchia chiusa in se stessa e concentrata solo sul figlio, ma una donna forte, totalmente immersa nel lavoro per la comunità, che si lascia andare anche a tenerezze nei confronti di Santuzza; questa emerge invece come una ragazza che sembra stata messa nel mondo a forza, contro tutti e contro se stessa, fortemente destinata al dramma che la porterà nel finale a rivelare la sua gravidanza disperata. Per il resto si vede una Cavalleria piuttosto tradizionale, in cui spesso i personaggi si muovono in modo scontato o vengono gestiti in modo statico secondo codificati cliché operistici.
Il cast in questo caso è dominato da Elena Zilio, che dipinge una Mamma Lucia centrata e coinvolgente, grazie a una presenza scenica magnetica e una incredibile urgenza espressiva. La voce è corposa, anche se dimostra ovvi segni di usura negli sbalzi tra registri. Angelo Villari è un Turiddu ideale per vocalità e presenza scenica. Lo strumento è ampio e squillante, notevolmente saldo su tutta la linea. Non ha problemi a piegare la voce a tutte le possibili inflessioni e dimostra una particolare cura del fraseggio che gli permette di realizzare un personaggio estremamente convincente.
Alexia Voulgaridou costruisce una Santuzza che assomiglia a un piccolo animale ribelle. Il soprano greco dimostra di trovarsi a suo agio in tutta la tessitura e dispiega una voce ampia e dotata di un bel timbro drammatico. Il fraseggio non appare tuttavia sempre a fuoco, e l’interprete risulta qua e là convenzionale nonostante l’impegno profuso nella parte più schiettamente attoriale. Devid Cecconi è un Alfio vocalmente un po’ appannato; anche il fraseggio è poco incisivo, e la presenza scenica a tratti statica. Marina Ogii torna dopo Offenbach per disegnare una Lola traboccante di sensualità, grazie alla voce calda e bene emessa e all’adeguato physique du rôle. Ottimi infine risultano i vigorosi interventi del Coro preparato da Lorenzo Fratini.
Il folto pubblico dimostra di apprezzare lo spettacolo in ogni sua parte, tributando calorosi applausi soprattutto al termine di Cavalleria, con punte di entusiasmo per tutti i protagonisti e il direttore.
Teatro del Maggio – Stagione 2018/2019
UN MARI À LA PORTE
Operetta in un atto
Libretto di Alfred Delacour e Léon Morand
Musica di Jacques Offenbach
Orchestrazione di Luca G. Logi per il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Henri Martel Patrizio La Placa
Suzanne Marina Ogii
Florestan Ducroquet Matteo Mezzaro
Rosita Francesca Benitez
CAVALLERIA RUSTICANA
Melodramma in un atto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci
Dal dramma omonimo di Giovanni Verga
Musica di Pietro Mascagni
Santuzza Alexia Voulgaridou
Turiddu Angelo Villari
Mamma Lucia Elena Zilio
Compare Alfio Devid Cecconi
Lola Marina Ogii
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Valerio Galli
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regia Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi
Scene Federica Parolini
Costumi Agnese Rabatti
Luci Luigi Biondi
Nuovo allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
in coproduzione con Teatro Carlo Felice di Genova
Firenze, 12 febbraio 2019