Chiudi

Festival di Salisburgo 2019 – Œdipe

Condivisioni

All’uscita dello spettacolo, lo spettatore è perplesso e dubitativo. A tutti gli effetti, questa produzione di Œdipe di George Enescu fa cilecca. A tal punto che pare inspiegabile come si possa essere arrivati a tanto. Probabilmente, per l’effetto di accumulazione di una serie di errori e di decisioni sbagliate.

Tanto per cominciare, la regia. Lo spazio scenico grandioso della Felsenreitschule non ammette improvvisazioni: bisogna riempirlo, metterlo in valore. Collocare qui e là una marionetta gigantesca, in uno stile che evoca vagamente Jean Tinguely o Niki de Saint-Phalle, non basta. Anzi, questi elementi sparsi non fanno che accentuare la vasta vacuità del palcoscenico. La direzione attoriale rinforza, come se ce ne fosse stato bisogno, tale impressione di vuoto. I movimenti sono disperatamente lenti senza dubbio per occupare la scena, ma tale lentezza ha lo svantaggio enorme di sottolineare l’assenza di contrasti e di ritmo della musica di Enescu. A questo, si aggiungono gli incidenti della regia: tanti, troppi, e francamente inaccettabili in un festival del rango di Salisburgo. Si può anche tollerare la sostituzione (mancata per l’illusione teatrale) dell’Edipo fanciullo con l’Edipo ormai cresciutello. Ma poi arriva l’Edipo che fa pugilato in un ring, aggrappato a tre corde, lasciando la quarta a terra. E la serata va avanti con tante manchevolezze o totali disastri di questo tipo. A quanto pare, lo spettacolo non era pronto e avrebbe avuto bisogno di prove supplementari.
Molto più grave: il regista Achim Freyer e il drammaturgo Klaus-Peter Kehr sono certo liberi di essere agnostici e materialisti. È un loro diritto inalienabile. Ma allora perché cimentarsi con il mito di Edipo? Che noi ci crediamo o meno, non ha alcuna importanza. Ma per i greci la trascendenza non era messa in dubbio e i loro miti non hanno più alcun senso se gli dei vengono completamente fatti fuori per lasciare il posto solo a storie umane. Nell’errore è pure caduto Alessandro Barrico raccontando una Iliade senza dei. Il combattimento dell’uomo contro il suo destino non lo si può comprendere, evacuando la predestinazione divina: in quel caso, la questione della libertà umana perde la sua essenzialità, come lo mostra il combattimento di Edipo, in short da pugile, contro i sacchi da boxe. Nel migliore dei casi, siamo nel teatro dell’assurdo; peggio, nell’assurdo puro e semplice.

Ci rimane dunque da chiudere gli occhi e sentire la musica o magari ascoltare la ritrasmissione radiofonica. Ma anche in questo caso, il risultato sonoro è problematico. I cantanti hanno tutti bellissime voci e bisogna rendere omaggio al prodigioso Christopher Maltman che ha accettato (e vinta) la sfida di incarnare il ruolo difficilissimo dell’eroe eponimo. Bravissima è pure la Jocaste di Anaïk Morel. Impressionante, dalla voce tuonante e cavernosa, il Grand Prêtre di David Steffens. Purtroppo, il cast ha un difetto maggiore: non si capisce nulla. Il francese è complessivamente incomprensibile e in più punti, anche al pubblico francofono non resta altro che ritradurre i sovra-titoli inglesi o tedeschi per cercare di indovinare qualche parola in quello che suona come una melassa indo-europea inintelligibile.

Il direttore d’orchestra Ingo Metzmacher non pare avere alcuna familiarità con l’opera e va avanti brancolando come se attraversasse una foresta assalita dalla nebbia. Immancabilmente, dalla fossa fuoriesce un flusso amorfo, pesante, incolore. E i Wiener Philharmoniker danno, dal canto loro, la sensazione di leggere a prima vista una partitura che non dominano. Si aggiungano le frequenti sfasature tra il coro e l’orchestra e si ha un’idea, almeno vaga, del supplizio cui sono sottoposti gli spettatori per quasi tre ore.
Riportare in scena Œdipe era certo una buona idea, benché la musica non sia un capolavoro e il libretto in francese di Edmond Fleg appaia stilisticamente datato. Ma si sarebbero dovuti trovare artisti autenticamente impegnati a difendere l’opera. E reclutare il regista di grido non basta.

Salzburger Festspiele 2019
ŒDIPE
Tragedia lirica in quattro atti e sei scene op. 23
Libretto di Edmond Fleg
Musica di George Enescu

Œdipe Chistopher Maltman
Tirésias John Tomlinson
Créon Brian Mulligan
Le Berger Vincent Ordonneau
Le Grand Prêtre David Steffens
Phorbas Gordon Bintner
Le Veilleur Tilmann Rönnebeck
Thésée Boris Pinkhasovich
Laïos Michael Colvin
Jocaste Anaïk Morel
La Sphinge Ève-Maud Hubeaux
Antigone Chiara Skerath
Mérope Anna Maria Dur

Wiener Philharmoniker
Direttore Ingo Metzmacher
Regia, scene e costumi Achim Freyer
Luci Franz Tscheck
Video Benjamin Jantzen
Drammaturgia Klaus-Peter Kehr
Nuova produzione
Salisburgo, Felsenreitschule, 14 agosto 2019

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino