Che cosa spinge una donna a uccidere i propri figli? Questa domanda inquietava gli spettatori duemilacinquecento anni fa come li inquieta oggi: per questo motivo, Medea di Euripide è, come molte altre tragedie classiche, un’opera senza tempo. La scelta del regista Simon Stone di ambientare in epoca contemporanea questa nuova produzione della Médée di Luigi Cherubini è dunque comprensibile, e direi anche condivisibile, vista la sostanziale riuscita dell’operazione, in larga parte da attribuire a un cast bene assortito di veri cantanti-attori, che anche davanti alla macchina da presa risultano convincenti.
Il regista infatti ci offre, oltre alla tragedia come rielaborata nel libretto di François-Benoît Hoffman, alcuni spaccati della vita dei protagonisti che ci spiegano gli antefatti: così quando l’orchestra attacca la sinfonia iniziale, vediamo scorrere sullo schermo che copre il palcoscenico le vicende familiari di Medea e Giasone, all’apparenza una famiglia felice nella sua villa sulla collina di Salisburgo. Costretta a passare da casa inaspettatamente, Medea però sorprende il marito a letto con l’amante. Di qui si passa alla causa di divorzio e alla partenza di lei, che torna nel suo paese di origine, la Georgia (l’antica Colchide). Nel frattempo, Giasone era riuscito a convincere l’amante Dircé del suo amore, anche se un presentimento di pericolo continua a tormentare l’ingenua Dircé. In questa situazione di disagio psicologico la troviamo all’inizio del primo atto, mentre prova l’abito da sposa. Il padre Creonte si rallegra delle nozze, forse assaporando i vantaggi a cui lo porterà imparentarsi con Giasone, che possiede il misterioso vello d’oro. Contrariamente alla tragedia euripidea, nel libretto musicato da Cherubini Medea, come abbiamo detto, è tornata in patria e non è mai presente nel primo atto. Questo sposta il centro della narrazione sugli eventi che seguono, e contribuisce a lasciare nell’ombra la parte precedente della vita di Medea, quando aveva aiutato Giasone a impossessarsi del vello d’oro causando la morte del fratello e forse facendo uso di magia. Ciò fa sì che la riambientazione voluta dal regista non si scontri con la dimensione magica e mitologica che avvolge il personaggio nella tragedia, e risulti del tutto convincente. Da un internet café di Tbilisi, Medea cerca di contattare Giasone per telefono, ma trova sempre solo la sua segreteria telefonica, sulla quale lascia lunghi messaggi che contribuiscono a disegnare il suo stato di confusione mentale. È in questo stato che decide di tornare per rivedere i figli: ma come clandestina viene fermata all’aeroporto e solo dopo lunghi sforzi riesce a convincere Creonte a concederle un giorno. A questo punto si introduce con l’inganno nella festa di nozze di Giasone e Dircé, uccide la sposa e Creonte, e rapisce i figli. La ritroviamo nel terzo atto in un distributore di benzina, incerta su che cosa fare dei bambini, che a ogni buon conto addormenta con un sonnifero. All’arrivo di Giasone, impugna la pompa e cosparge di benzina l’auto, poi entra anche lei e dà fuoco al liquido, uccidendo così non solo i figli ma anche se stessa.
Le scene iperrealistiche di Bob Cousins offrono visioni che a tratti sembrano quadri di Edward Hopper, e accentuano la sostanziale banalità degli eventi, che ruotano intorno al divorzio di una famiglia borghese con un marito donnaiolo abituato a farla franca (poco prima delle nozze, il regista lo coglie con una prostituta in una camera d’albergo). L’ambientazione salisburghese da un lato avvicina ulteriormente la vicenda al pubblico, mentre da un altro sottolinea la peculiarità del dramma di Medea, che non è solo una donna tradita, ma anche una straniera, potremmo dire un’extracomunitaria, che non può accampare i diritti di un normale cittadino e subisce per questo la perdita dei figli con il divorzio. Delle capacità attoriali dei cantanti abbiamo detto, restano quelle vocali. Su tutti domina la Médée del soprano russo Elena Stikhina, al suo debutto a Salisburgo. La cantante sfoggia una voce imperiosa, voluminosa e perfettamente intonata, senza esitazioni nelle parti più impervie soprattutto del terzo atto, in cui è quasi sola protagonista, ricevendo alla fine il meritato tributo di applausi. Al suo fianco, il tenore ceco Pavel Černoch dà un’impressione un po’ scialba, con alcune discontinuità nell’emissione. Più convincente risulta il Creonte del veterano Vitalij Kovaliow, basso sempre affidabile che anche in questa occasione sfodera un volume e un timbro che non deludono le aspettative. Dircé è il giovane soprano italiano Rosa Feola, una cantante dalla voce delicata e piena di sfumature. La musica di Cherubini forse non è ancora del tutto familiare al grande pubblico, ma proprio esecuzioni come questa possono contribuire a renderla meritatamente apprezzata.
E questa produzione non sarebbe stata la stessa senza la bacchetta di Thomas Hengelbrock alla guida dei Wiener Philharmoniker, che offre una lettura molto approfondita della partitura, dando compattezza all’esecuzione con un’oculata scelta di tempi e riuscendo nell’impresa di unire orchestra e palcoscenico non lasciando cadere la tensione nonostante le interruzioni richieste dalla regia per le parti in cui la voce dell’attrice Amira Casar legge i messaggi telefonici lasciati da Medea.
Aggiungiamo che il successo per una volta ha coinvolto tutti, come raramente capita a Salisburgo, e che in questo caso il famigerato Regietheater ha trovato una maniera di sposarsi a musica e libretto che ha soddisfatto, pare, tutti i palati.
Salzburger Festspiele 2019
MÉDÉE
Opera in tre atti (1797)
Libretto di François-Benoît Hoffman
dalle tragedie Medea di Euripide e Médée di Pierre Corneille
Musica di Luigi Cherubini
Mèdée Elena Stikhina
Jason Pavel Černoch
Créon Vitalij Kovaliow
Dircé Rosa Feola
Néris Alisa Kolosova
Wiener Philharmoniker
Konzertvereinung Wiener Staatsopernchor
Direttore Thomas Hengelbrock
Regia Simon Stone
Scene Bob Cousins
Luci Nick Schlieper
Sounddesign Stefan Gregory
Drammaturgia Christian Arseni
Nuova produzione
Salisburgo, Grosses Festspielhaus 10 agosto 2019