Chiudi

Catania, Teatro Massimo Bellini – Madama Butterfly

Condivisioni

È fragile e complessa come un origami, la farfalla che spicca il volo appena si apre il rosso velario del Teatro Massimo Bellini di Catania: l’anticipa un colpo di gong che – se non prescritto in partitura – subito precipita Madama Butterfly in una ricercata atmosfera rituale. Pochi secondi appena, accompagnati da sei figure ieratiche, a tracciare le coordinate dell’esotismo del capolavoro di Giacomo Puccini, l’immagine di un Giappone remoto e affascinante, frutto non soltanto di puntuali ricostruzioni storiche ma, soprattutto, di una visione raffinatamente estetizzante. L’eredità di Lindsay Kemp viene raccolta da Lino Privitera – coreografo prima ancora che regista – con senso della misura e dell’equilibrio, secondo un approccio al tempo stesso tradizionale ma originale. Efficacemente lo supporta l’impaginazione scenica firmata da Alfredo Corno, che filtra il japonisme di fine secolo attraverso la lente aurea della Sezession: tinte chiare, sabbia e ocra, marrone e oro, amplificano ora il triste profilo di un salice piangente, ora un altissimo sipario di bambù che è molto più delle mobili pareti dello shosi, ma si fa frontiera tra Oriente e Occidente, insanabile linea di demarcazione di uno scontro culturale sintetizzato dalla croce, vistosamente al petto di Cio-Cio-San sin dal suo lento scivolare sulla scena. Pochi tratti connotano con efficacia questo contrasto: Sharpless che rovescia il contenuto del thè che gli offre Suzuki o Goro che incassa banconote mentre elenca la sfilata dei parenti. Su tutto domina la presenza degli Ottoké, «l’anime degli avi» che si materializzano durante la lunga notte dell’attesa, sul far dell’alba, e poi moltiplicano e guidano il suicidio di Cio-Cio-San, restituita all’antica fede.

Sul podio, Gianna Fratta guida l’orchestra con piglio fin troppo fermo: imposta una Madama Butterfly di carattere marcatamente sinfonico, alla ricerca di un turgore di suono, di una potenza fonica che tende a schiacciare le dinamiche con il palcoscenico. Mancano certo le sfumature, ma la ricchezza della paletta orchestrale fa deflagrare una grandezza tragica, dirompente e devastante, e raggiunge vette di compiuta espressività nel terzetto tra Pinkerton, Sharpless e Suzuki, che assume i tratti di un’autentica resa dei conti, tsunami emotivo da cui discende, immediata, la catastrofe. È, certo, un’interpretazione estremamente impegnativa, nella quale è assecondata dal coro – preparato da Luigi Petrozziello – morbidamente suadente nel brindisi matrimoniale come nella dimensione misteriosa dell’intervento a bocca chiusa; ma non dalla distribuzione vocale, dall’esito assai incerto.

Si tratta, infatti, di una Madama Butterfly praticamente senza Cio-Cio-San: tanto poco convince Daria Masiero, nel ruolo della geisha giapponese, soprattutto per via di uno strumento vocale povero di smalto, opaco nel registro grave, carente di proiezione in quello acuto. È indubbio che sia arrivata preparata al confronto con un personaggio, tra i più ardui dell’intera storia del melodramma: non mancano le occasioni in cui cerca di recuperare terreno, dall’arrivo della nave nel porto al duetto dei fiori, fino alla scena finale, correttamente compitata. Ma rimane una raggelante inerzia interpretativa di fondo, che fa smarrire il senso – musicale, oltre che drammaturgico – di altrettante occorrenze, rese ineludibili da una storia dell’interpretazione dell’opera fin troppo gloriosa: dalla scena di sortita, che passa praticamente inosservata, fino alla lettura della lettera, del tutto priva di tensione. Solo nel duetto del Finale I rischia di essere persuasiva, ma unicamente perché sostenuta dal promettente Pinkerton di Raffaele Abete: che certo avrà occasioni per approfondire una visione più matura e sfumata del personaggio, ma che sin d’ora sfoggia una vocalità spavalda, un’invidiabile sicurezza nel registro acuto, lo slancio e l’italianità del fraseggio che rendono accattivante il suo «Addio, fiorito asil», nel segno di un trascinante congedo dalla scena.
Complessivamente accettabili tutti gli altri: Enrico Marrucci tratteggia uno Sharpless affidabile, di sicura tenuta scenica e vocale, attento al canto di conversazione nella lunga scena del secondo atto; mentre l’attempata Suzuki di Ilaria Ribezzi si ritaglia un cammeo di pregio a partire dal duetto dei fiori, guadagnando progressiva consistenza e spessore. Si sarebbe voluto più insinuante e incisivo il Goro di Enrico Zara, così come lo Zio bonzo di Francesco Palmieri, pur nella brevità del suo intervento capitale, appare in debito di ossigeno. Gianluca Failla scolpisce con efficacia di tratti uno Yamadori appassionato e fin quasi preoccupato per le sorti di Cio-Cio-San, mentre Salvo Di Salvo affronta senza difficoltà la lettura del contratto di nozze. Confinata al ruolo di Kate Pinkerton, Sabrina Messina è ormai matura per ben più impegnativi e significativi cimenti; qui è icona di una smagliante disinvoltura tecnica e di un inarrivabile charme occidentale: quasi a voler dar ragione al cinico tenente americano…

Teatro Massimo Bellini – Stagione lirica 2019
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini

Madama Butterfly Daria Masiero
Suzuki Ilaria Ribezzi
Kate Pinkerton Sabrina Messina
F.B. Pinkerton Raffaele Abete
Sharpless Enrico Marrucci
Goro Enrico Zara
Il principe Yamadori Gianluca Failla
Lo zio bonzo Francesco Palmieri
Il commissario imperiale Salvo Di Salvo
L’ufficiale del registro Gianluca Failla

Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania
Direttore Gianna Fratta
Maestro del coro Luigi Petrozziello
Regia Lino Privitera
Scene e costumi Alfredo Corno
Luci Andrea Iozzia
Video Daniel Arena
Nuovo allestimento scenico
Catania, 12 maggio 2019

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino