L’ambiguità temporale in cui si situa l’azione del libretto di Turandot, approntato da Giuseppe Adami e Renato Simoni all’inizio degli anni Venti per Giacomo Puccini, permette ai registi molta libertà nelle ambientazioni dell’opera. Nel corso del tempo, qualcuno ha dunque tentato di sottrarla al mero decorativismo, proponendo nuove visioni forti e suggestive: un esempio può essere considerato l’allestimento di David Pountney proposto al Festival di Salisburgo nel 2002, in cui la favola diventava una visione disincantata su un futuro che sembrava uscito dal film Metropolis di Fritz Lang.
La visione distopica scelta da Fabio Cherstich insieme al team AES+F per l’edizione in scena al Teatro Comunale di Bologna e nata da una coproduzione con i teatri di Palermo e Karlsruhe, è dunque legittima, in quanto l’ambientazione cinese rimane, ma viene tutto spostato in avanti di secoli, in un futuro che rende il nostro presente il tempo dei crimini avvenuti contro Lou-Ling, narrati dalla protagonista nella sua sortita. Per convogliare tutto ciò, si sceglie una scenografia scarna, costituita da alcune gradinate rosse mobili su cui si colloca il coro, e un sistema di quattro schermi dove vengono proiettate in continuazione immagini che sembrano uscite da un manga futuristico: vedute aeree di città sconfinate e coloratissime percorse da sciami di auto volanti, uomini in mutande che vengono circondati da esseri alieni, violenze di genere mimate con gesti stilizzati, le teste mozze dei pretendenti ossessivamente riproposte. Il repertorio è dunque vario, coloratissimo, a tratti inquietante, a tratti volutamente kitsch, e si propone come vero elemento connotante della messa in scena, pur con tutti gli eccessi del caso.
Se si staccano gli occhi da queste proiezioni, troviamo un coro pressoché statico e dei personaggi che si muovono come in tutte le Turandot tradizionali, se non meno; il lavoro su di loro è dunque minimo e lasciato alle capacità dei singoli interpreti. Solo alle tre maschere viene riservato un repertorio di movimenti inediti all’inizio del secondo atto, quando si mettono in cattedra a ordinare le proprie ventiquattrore, mentre sognano di evadere. I costumi danno qualche idea in più sull’identità dei personaggi, estremizzando alcune loro caratteristiche: Liù ad esempio è vestita da infermiera, come per accentuare il suo carattere servilistico nei confronti degli uomini a cui è legata, mentre Turandot è agghindata di piccole luci, così da sottolineare la sua ieraticità e irraggiungibilità. In definitiva si tratta di un allestimento più suggestivo che drammaturgicamente pregnante, di sicuro impatto, ma che poco o nulla aggiunge alla storia interpretativa di quest’opera.
Musicalmente non mancano gli elementi da apprezzare. Valerio Galli dirige in modo efficace e partecipe. Vede Turandot come il canto finale della Giovane Scuola, sottolineandone tutto l’elemento tardo-romantico. Sceglie tempi prevalentemente spediti, che si allargano anche in oasi rarefatte e terse, come si può notare negli ultimi interventi di Liù, rendendo l’insieme un buon amalgama teatrale. Sa come lavorare con un’orchestra un po’ recalcitrante qual è quella del Comunale di Bologna, a volte propensa a lasciarsi andare a turgori poco in linea con il dialogo serrato tra palco e buca messo in atto dal direttore, che in tali casi riesce comunque a riprendere le fila con abilità.
Il cast si rivela piuttosto omogeneo, con alcune punte di eccellenza. Hui He debutta nel ruolo di Turandot esibendo notevole spavalderia e sicurezza. Il soprano sa ben dosare la voce, caratterizzata da un buon volume e da un timbro denso e pastoso. La linea vocale risulta piuttosto omogenea e l’emissione ha i suoi punti di forza nei centri e negli acuti. L’interprete tuttavia latita un po’ e le mancano al momento un fraseggio e uno scavo della parola che connotino tutta la dimensione teatrale del personaggio.
Gregory Kunde presta la sua debordante voce a Calaf. Pur non spiccando dal punto di vista interpretativo (non che il personaggio presenti tutte queste sfaccettature), si impone dal punto di vista vocale soprattutto per un registro acuto smagliante, pieno ed esibito con estrema disinvoltura. Qualche suono al centro risulta un po’ artefatto, mentre a fine serata si avverte un leggero affaticamento in alcuni tentativi di smorzature: piccolezze che non inficiano una performance di buon livello.
Mariangela Sicilia unisce nella sua Liù musicalità e intelligenza interpretativa. Lo strumento è omogeneo, molto ben emesso e connotato da un buon volume e da un timbro leggermente brunito e seducente. La linea vocale è sicurissima e sa piegarsi a una varietà di inflessioni con cui il soprano costruisce un personaggio appassionato e intenso, ma mai sopra le righe. La sua confessione “Tanto amore, segreto, inconfessato”, intrisa di malinconica dolcezza, e supportata perfettamente dal direttore, diventa uno dei momenti meglio riusciti della serata.
In-Sung Sim tratteggia un Timur vocalmente corretto, ma non particolarmente incisivo. Lo stesso si può dire di Bruno Lazzaretti, il cui Altoum funziona senza spiccare. Ottimo invece, per declamazione e peso vocale, il Mandarino di Nicolò Ceriani.
Il trio dei ministri risulta poco omogeneo nella resa musicale. Vincenzo Taormina è un ottimo Ping, sia per lo strumento che per il piglio teatrale che riesce a conferire ai suoi interventi. Cristiano Olivieri funziona come Pong, anche se si trova più a suo agio nel registro acuto che in quello grave. Francesco Marsiglia appare invece un Pang opaco e poco brillante. Completano il cast con professionalità il Principe di Persia di Massimiliano Brusco e le ancelle Silvia Calzavara e Lucia Viviana. In tutto ciò, è da segnalare il fondamentale apporto del Coro, preparato da Alberto Malazzi, che si distingue per interventi precisi, corretti e coesi.
Il folto pubblico della seconda recita si dimostra calorosissimo, tributando un grande applauso a scena aperta a Kunde dopo “Nessun Dorma”. La recita si conclude in trionfo, con particolari picchi di entusiasmo per il già menzionato Kunde, Sicilia e Hui He.
Teatro Comunale – Stagione lirica 2019
TURANDOT
Opera in tre atti
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini
Turandot Hui He
Altoum Bruno Lazzaretti
Timur In-Sung Sim
Calaf Gregory Kunde
Liù Mariangela Sicilia
Ping Vincenzo Taormina
Pang Francesco Marsiglia
Pong Cristiano Olivieri
Un mandarino Nicolò Ceriani
Il principe di Persia Massimiliano Brusco
Ancelle di Turandot Silvia Calzavara/Lucia Viviana
Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e Tecnici
del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Valerio Galli
Maestro del coro Alberto Malazzi
Maestro del Coro di voci bianche Alhambra Superchi
Ideazione Fabio Chertich/AES+F
Regia Fabio Cherstich
Video, scene e costumi AES+F
Progetto luci Marco Giusti
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
con Teatro Massimo di Palermo e Badisches Staatstheater Karlsruhe
Bologna, 30 maggio 2019