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Atene, Opera Nazionale Greca – Don Carlo

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È senza dubbio una esperienza coinvolgente la visita alla nuova grande struttura della Fondazione Stavros Niarchos (della nota famiglia di armatori greci che ha sponsorizzato la sua costruzione), realizzata nel 2017 dal “nostro” Renzo Piano. Il nuovo teatro d’opera di Atene (in realtà chiamato dai greci Ethnikì Lirikì Skinì che suona in italiano come Scena Lirica Nazionale) si trova all’interno di questo edificio irregolare dal design moderno, proprio di fronte alla nuova Biblioteca Nazionale della Grecia.
Affacciato in modo spettacolare su un grande bacino artificiale, il Teatro, che si sviluppa in verticale, è rivestito esternamente da alte vetrate. La dimensioni modeste della sala, che può ospitare solo 1.400 spettatori nella sala grande e 400 nella sala piccola (un numero davvero esiguo per una città vasta come Atene) ci fanno comprendere quanto sia ancora “di nicchia” e rivolta solo a un pubblico elitario la visione di questa programmazione. Sala comunque elegante, ma non fastosa e nella consueta forma italica del ferro di cavallo, interamente rivestita di pregiato legno di ciliegio dipinto di rosso.
Pare che il teatro sia sempre esaurito per queste poche rappresentazioni di opere italiane, che si contano purtroppo sulle dita di una mano: solo due titoli nella stagione invernale del “Niarchos” (Sonnambula e Don Carlo) e due nella stagione estiva all’aperto nel bellissimo teatro antico di Erode Attico (Rigoletto e Tosca). Il resto della stagione consta di un Wozzeck di Berg, del Pipistrello di Strauss e del Werther di Massenet, oltre che di altri due titoli operistici di compositori greci: Patissa Ioanna di Yiorgos Vasilantonakis e Mesa Chora (In land) del giovane ateniese Anghelos Triandafillou.
Il pubblico, nella serata a cui abbiamo assistito, era composto anche in platea da molti giovani, sintomo di un interesse transgenerazionale che spesso manca al nostro pubblico italiano. Sembra infatti che gli spettacoli d’opera, forse grazie anche ad allestimenti fastosi e a regie spesso più curate e intriganti, incuriosiscano maggiormente questa fascia di pubblico. Si deve poi ricordare che l’unica scena musicale ancora attiva in tutta la Grecia, compresa la parte insulare, sia proprio questa ateniese, nonostante esistano altri teatri, come il grande Megaro Musikì di Salonicco affacciato sul lungomare della città o la “Piccola Scala” dell’isola di Syros, la capitale delle Cicaldi. Di grande aiuto, poi, per un pubblico neofita i modernissimi traduttori installati sul retro di ogni sedile.

Ma veniamo allo spettacolo a cui abbiamo assistito, quello del 28 dicembre. Decidere quale edizione scegliere del Don Carlo è il primo problema che si pone al teatro che lo voglia allestire: quella francese o quella italiana? quella in quattro atti (forse preferibile) o quella in cinque? Il teatro ateniese opta per l’edizione detta di Modena del 1886, in cinque atti e su testo italiano. I due cast assemblati per le sei rappresentazioni sono molto eterogenei, con una sola presenza italiana (Barbara Frittoli) per alcune recite. L’allestimento, funzionale e di una certa eleganza, è quello che debuttò alla Royal Opera House di Londra nel giugno del 2008 e porta la firma di Nicholas Hytner. Il colore nero prevale in ogni atto, forse per sottolineare il senso di claustrofobia che pervade la vicenda. Ad alcune trovate sceniche innegabilmente efficaci (il rosso dei ventagli e dei papaveri contrapposto al nero degli abiti durante la “Canzone del velo”, i fasci di luce che filtrano da alcune aperture nel finale) si contrappone una resa della scena dell’autodafé risibile e al limite del kitsch.

Marcelo Puente inizia male, con un vibrato stretto che a volte inquina la sua emissione e pregiudica in modo significativo  l’esecuzione dell’aria “Io la vidi”, cantata senza molta partecipazione. Una certa genericità di accento lo accompagnerà per tutta l’opera, anche se a partire dal secondo atto la sua vocalità apparirà più salda e franca con discreti involi all’acuto. Peccato che Puente non curi di più il fraseggio e le dinamiche, eppure saprebbe farlo come hanno testimoniato la bella esecuzione di frasi quali “O prodigio! Il mio cor s’affida, si consola” e soprattutto l’interpretazione del duetto finale con Elisabetta, forse la pagina più sublime dell’opera, cantato con accento ispirato e discreto uso della mezzavoce. Al suo fianco l’Elisabetta di Cellia Costea sfoggia centri sonori e ricchi di armonici. È nel registro alto che la cantante rumena mostra alcuni limiti, con acuti un poco fissi e difficoltà di modulare. Il lato più patetico e fragile di Elisabetta rimane così in ombra, diversamente da quello regale ben sottolineato.
L’avvenenza fisica e le notevoli doti di attrice giovano molto a Elena Zhidkova, una Eboli abbastanza a sua agio nella “Canzone del velo”, ma ai limiti delle proprie possibilità nei momenti più aggressivi del personaggio . Il suo “O don fatale” manca dunque del furore richiesto ed evidenzia non poche difficoltà in acuto. Mezzi vocali importanti sfoggia il Filippo II di Alexander Vinogradov. Il basso moscovita si identifica evidentemente appieno nel ruolo del meditabondo  monarca, peccato che una certa tendenza a inchiostrare il proprio timbro (artificio di cui non avrebbe certamente bisogno) gli precludano un fraseggio più limpido. Dizione perfetta, eleganza scenica e notevoli doti vocali contraddistinguono Tassis Christoyannis; il baritono greco è la vera sorpresa della serata. Nel suo canto tutte le caratteristiche di Rodrigo Marchese di Posa, personaggio complesso, vengono soddisfatte. Con una realizzazione più nitida dei trilli scritti da Verdi per sottolineare il lato galante e cortigiano del personaggio avremmo un Rodrigo quasi perfetto. Il Grande Inquisitore di Rafal Siwek è possente e sonoro: il suo duetto con Filippo II viene dunque ottimamente realizzato.

Alla direzione d’orchestra di Philippe Auguin manca, a volte, la capacità di tratteggiare l’affresco storico che caratterizza la partitura. Il timbro orchestrale e la resa corale non sono rifinitissimi, ma questo potrebbe essere dovuto a carenze peculiari dei complessi a sua disposizione. Il direttore di Nizza prende comunque quota a partire dal quarto atto. La scena di Filippo II, con il celeberrimo “Ella giammai m’amò”, la morte di Rodrigo e l’intero quinto atto sono, infatti, tratteggiati con pennellate larghe e solenni, perfette per  un dramma  intimo qual è il Don Carlo.

Opera Nazionale Greca – Stagione 2019/20
DON CARLO
Opera in quattro atti
Libretto di Joseph Méry e Camille Du Locle,
traduzione italiana di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi

Filippo II Alexander Vinogradov
Don Carlo Marcelo Puente
Rodrigo Tassis Christoyannis
Il Grande Inquisitore Rafal Siwek
Elisabetta di Valois Cellia Costea
La Principessa Eboli Elena Zhidkova
Tebaldo Miranda Makrynioti
Un frate Dimitris Kassioumis

Orchestra e coro dell’Opera Nazionale Greca
Direttore Philippe Auguin
Regia Nicholas Hytner
Scene e costumi Bob Crowley
Atene, Stavros Niarchos Hall, 28 dicembre 2019

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