“Essa diventava per così dire il simbolo divinizzato della insopprimibile Lussuria, la dea dell’immortale Isteria […] la Bestia mostruosa, indifferente, irresponsabile, che come Elena di Troia avvelena tutto ciò che accosta, tutto ciò che vede, tutto ciò che tocca” scriveva nel 1884 Joris-Karl Huysmans nel suo celebre romanzo À rebours, riferendosi all’acquerello di Gustave Moreau Salomè e la testa di San Giovanni Battista: questa citazione ben si addice a descrivere anche il clima di immoralità e deviazione che permea l’opera Salome. La nuova produzione del dramma in un atto su musica di Richard Strauss proposta al Teatro Filarmonico, a conclusione della stagione lirica della Fondazione Arena di Verona, cerca di puntare proprio sulla tematica della perversione, rimanendo però spesso in superficie. In sostituzione del previsto allestimento di Gabriele Lavia, coprodotto anni fa tra il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro Verdi di Trieste, si è optato per una versione psicanalitica firmata dalla regista Marina Bianchi. Nello spettacolo molti sono gli elementi che rimandano all’erotismo: la relazione omosessuale tra Narraboth e il paggio; la presenza di aitanti servitori abbigliati con magliette rosse in rete e anfibi di pelle; la figura di Herodias, virago che entra in scena con uno schiavo al guinzaglio; il tetrarca che cerca di possedere la figliastra. Sono altresì presenti una ballerina, sorta di doppio ed eco della protagonista, e due giovani vestite di nero dalla sessualità fluida e confusa, due donne-maschio che si scambiano effusioni saffiche, figure però soltanto abbozzate e non risolte nella loro totalità. Nonostante un’idea di fondo valida e sensata, essa appare in alcuni punti poco approfondita e sviluppata, facendo così trasparire un’atmosfera di eros asettico e raggelato. Michele Olcese concepisce una scenografia estremamente elegante, con rimandi alla sobria architettura austro-tedesca Sezessionstil: il palcoscenico è occupato da un portico colonnato sormontato da lampadari orientaleggianti, posto di fronte a una parete liscia con delle aperture che permettono di intravedere la sala del banchetto. Sulla sinistra in fondo il cielo notturno è filtrato da una tenda, mentre in primo piano una scalinata porta alla cisterna dove è imprigionato il Battista: è qui che, con un riuscito coup de théâtre, Salome troverà la morte sfracellandosi, scaraventata nel carcere da due soldati. Funzionali le luci disegnate da Paolo Mazzon, giocate principalmente su tonalità lunari, del rosso e del blu; didascaliche le proiezioni video di Matilde Sambo, con immagini quali una grande luna piena, il viso del profeta e forme magmatiche infuocate; dal sapore bondage la Salomes Tanz coreografata da Riccardo Meneghini, con i veli sostituiti da bende e funi che, contemporaneamente, proteggono e intrappolano la principessa. Belli e curati i costumi di Giada Masi, atemporali e di fogge differenti: Salome è avvolta da una vaporosa sottoveste dal colore perlaceo; Herodes ed Herodias indossano pesanti abiti all’antica in velluto, rosso sangue il primo, viola la seconda; il paggio è vestito di pelle nera; gli Ebrei sono abbigliati alla maniera moderna.
Michael Balke si esibisce per la prima volta nella città scaligera, debuttando anche nella partitura. Alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, propende per una direzione espressionista e a tinte forti, di buon impatto e presa sicura. Con una gestualità precisa e scattante, Balke predilige un suono perlopiù corrusco e denso ma mai soverchiante, in grado di stemperarsi, all’occorrenza, in cangianti sonorità evanescenti.
Il soprano Nadja Michael debutta al Filarmonico proponendo il suo cavallo di battaglia, avendolo già cantato in svariati teatri quali la Scala, il Covent Garden, la Bayerische Staatsoper. Visibilmente raffreddata (sebbene non sia stata ufficialmente annunciata indisposta), sin dal suo ingresso incarna una Salome volitiva, potentemente sensuale grazie anche al fisico scultoreo, ferina nelle movenze, insinuante come una vipera e selvaggia come una belva assetata di sangue. Lo strumento vocale è voluminoso, tagliente e non sempre a fuoco nelle note più alte, opaco in quelle gravi; pregnante il fraseggio.
Vocalmente abbastanza incisivo e tonante il Jochanaan del baritono Fredrik Zetterström, a tratti scenicamente poco disinvolto. Sufficientemente mellifluo l’Herodes di Kor-Jan Dusseljee, distintosi per la voce chiara e un’interpretazione prepotentemente sbalzata. Autoritaria e regale l’Herodias di Anna Maria Chiuri, che sfoggia una vocalità ben tornita e un portamento fiero: una prestazione sicuramente notevole. Solido il Narraboth di Enrico Casari, tenore dallo strumento luminoso e ben proiettato, prestante e credibile in scena; corretto il paggio di Belén Elvira. Comprimari accettabili, con una menzione di merito per il vigoroso Alessandro Abis (Un uomo della Cappadocia) e per il marmoreo Primo nazareno di Romano Dal Zovo.
Al termine, festante successo da parte di un pubblico entusiasta.
Teatro Filarmonico – Stagione Lirica 2017/2018
SALOME
Dramma in un atto dall’omonimo poema di Oscar Wilde
nella traduzione tedesca di Hedwig Lachmann
Musica di Richard Strauss
Salome Nadja Michael
Herodes Kor-Jan Dusseljee
Herodias Anna Maria Chiuri
Jochanaan Fredrik Zetterström
Narraboth Enrico Casari
Un paggio di Herodias Belén Elvira
Cinque Giudei Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti, Oliver Pürckhauer
Primo nazareno Romano Dal Zovo
Secondo nazareno Stefano Consolini
Due soldati Costantino Finucci, Gianfranco Montresor
Un uomo della Cappadocia Alessandro Abis
Uno schiavo Cristiano Olivieri
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Michael Balke
Regia Marina Bianchi
Scene Michele Olcese
Costumi Giada Masi
Movimenti mimici Riccardo Meneghini
Lighting designer Paolo Mazzon
Videomaker Matilde Sambo
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 20 maggio 2018