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Verona, Teatro Filarmonico – Le nozze di Figaro

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Ogni epoca rilegge le opere del passato proiettandovi retrospettivamente la propria sensibilità, il gusto estetico e il pensiero filosofico di cui è imbevuta. La nostra, per esempio, soggetta a un nichilismo e un relativismo trionfanti, non sa più concepire l’idea che le commedie della cosiddetta trilogia Mozart-Da Ponte possano approdare al lieto fine.
In un tempo che ha sottratto al linguaggio della filosofia e della religione tutte le idee normative che trasmettevano orientamento e stabilità, sentiamo questi capolavori particolarmente vicini alla nostra sensibilità. Vi individuiamo spunti di riflessione di una modernità e profondità sorprendenti sul potere dell’eros, sull’ambivalenza dell’agire umano, sulla lucidità nel mettere in discussione le clausole che regolano le relazioni interpersonali. Tuttavia la volontà, oggi imperante nel teatro di regia, di trasportare Mozart sotto “la calotta del nichilismo”, dove – come sosteneva Franco Volpi, compianto filosofo – “non v’è più morale o virtù possibile”, induce a forzature spesso inaccettabili.
Quasi tutti i registi optano infatti per riletture che, attingendo all’immaginario e al disorientato sentire del nostro tempo, rivestono i drammi giocosi di disincanto e tinte noir, escludendo ogni idea di riconciliazione e lieto fine: nella loro ottica le prove cui vengono sottoposti i rapporti umani sono tali che questi non possono che uscirne disintegrati. Ma se questo tipo di lettura funziona in Don Giovanni, dove alla fine resta realmente un senso di vuoto e di umanità lacerata, quasi mai i conti quadrano in Così fan tutte e, soprattutto, nelle Nozze di Figaro, come ha dimostrato qualche stagione fa il fallimentare allestimento veneziano di Michieletto dove la Contessa alla fine si suicida.

Lo spettacolo con la regia di Mario Martone nato nel 2006 al San Carlo, visto più volte in altri teatri italiani e ora riperso trionfalmente al Filarmonico di Verona, è estraneo a questo tipo di impostazione e, infatti, imprime ai perfetti meccanismi della “folle giornata” l’esatta dimensione di commedia dove tutto converge verso la conciliazione dei contrasti e l’armonia. Sono passati 12 anni dal debutto a Napoli, ma sembra passato un secolo, perché nel frattempo il modo di recepire e rileggere Mozart è cambiato e va, come dicevo, in tutt’altra direzione.
Nonostante il rischio di passare per tradizionale e quindi sorpassato agli occhi di certa intellighèntia radical chic, l’allestimento conferma, nella ripresa veronese, la validità e l’intelligenza della lettura di Martone. Partendo dall’osservanza dei canoni settecenteschi (evidenti anche nei bei costumi di Ursula Patzak), il regista crea un racconto in cui il testo si specchia nella musica – e viceversa – in un discorso unitario, arrivando quasi a una identificazione tra parola e musica. Anche per questo, come negli altri capitoli della trilogia allestita da Martone – Così fan tutte nel 1999 e Don Giovanni nel 2002 – viene seguita la strada della semplificazione scenica. L’impianto di Sergio Tramonti si risolve in un grande tavolo al centro e una doppia scalinata sul fondo con in cima una terrazza. Il palcoscenico si prolunga verso la platea con due passerelle laterali, consentendo agli interpreti di muoversi, recitare e cantare anche tra il pubblico. Il meccanismo è perfetto: la trama si snoda con una chiarezza più unica che rara, non si perde una parola del testo (perfino nei concertati) e il pubblico resta inevitabilmente soggiogato.
Il lavoro accurato sui protagonisti crea personaggi a tutto tondo e mette a punto un gioco scenico dinamico ed esuberante, dando vita a una “folle giornata” travolgente e inquieta. Al Filarmonico, dove la regia viene ripresa da Raffaele Di Florio, non tutto collima con l’edizione del 2006. Qui, per esempio, vengono meno le allusioni rivoluzionarie che emergevano nel tratteggio particolarmente aggressivo e protervo di Figaro. Ma l’impostazione resta nel complesso la stessa e si apprezzano ancora una volta l’ironia nell’approfondire i temi ambiguamente erotici e l’originalità di molte soluzioni. Penso all’apertura del secondo atto che sfocia nell’aria di Cherubino “Voi che sapete”, avvolta da una misteriosa atmosfera notturna: quasi una anticipazione di quella che contrassegna il grande notturno dell’epilogo.
Si intuisce, insomma, l’intenzione di sottolineare il senso malinconico di una precarietà esistenziale, la consapevolezza che l’inquietudine e il dramma convivono assieme alla leggerezza. Tuttavia il Mozart di Martone contempla lo scioglimento del dramma, non la catastrofe, concretizzando nel finale l’imperativo categorico di una società che è a misura d’uomo perché, pur tra ambiguità e contraddizioni, è capace di cambiare e trasformarsi in positivo. Altro che nichilismo.

Ben sintonizzata con lo spettacolo risulta l’esecuzione affidata alla bacchetta di Sesto Quatrini, che alla guida dell’Orchestra dell’Arena coglie la dimensione esuberante e vivida della commedia, trovando un equilibrio apprezzabile nella definizione delle sonorità e nel rapporto con il palcoscenico. Ne esce un Mozart vitale, dinamico, ma sottratto alla moda dei tempi ultrarapidi, che quasi sempre vanno contro il canto. Rubato e fraseggi sono flessibili, i recitativi intelligibili e mordenti, mentre emerge uno studio accurato dei rapporti strutturali e architettonici. Quatrini predilige la leggerezza e la duttilità che restituiscono nel modo più appropriato a Mozart il sorriso, la malinconia e il loro vario intreccio. La dialettica dei contrasti fra la componente tenera e quella brillante risulta dunque approfondita.

Grazie all’accurato lavoro registico, nella compagnia di canto tutti recitano benissimo e si muovono con spigliatezza. A partire dai due giovani interpreti che formano la coppia dei servi. Una sorpresa è Riccardo Fassi, un Figaro dalla vocalità di basso cantante ben timbrata, soprattutto nel registro medio-grave, apprezzabile nello scavo della parola, inappuntabile nella linea stilistica, irruente senza strafare nel gioco scenico. Nei panni di Susanna, Hasmik Torosyan offre una delle sue prove migliori. Al di là della bella presenza, canta con correttezza, timbro piacevole, fraseggio accurato ed espressivo; sa essere ora brillante ora delicata: un personaggio ben stagliato, insomma.
Convincente pure la coppia aristocratica. Francesca Sassu è una Contessa vocalmente in regola, anche per il giusto stacco timbrico rispetto a Susanna. Limpida e morbida nel canto, esprime la nobile malinconia del personaggio con accento calibrato e adeguata espressione patetica. Christian Senn è invece un Conte genericamente corretto, anche se a tratti un po’ oscillante nell’emissione, espressivamente protervo e incisivo, ma sempre sorvegliato nello stile.
Come Cherubino, Raffaella Lupinacci conquista per l’attrattiva timbrica, la vocalità adeguata e la disinvoltura nel restituire l’estetismo androgino tipico del ruolo. Il Bartolo di Bruno Praticò convince ormai più per le zampate istrioniche che per il canto, mentre Francesca Paola Geretto offre di Marcellina un ritratto attendibile anche sotto il profilo vocale. Corretta e piacevole Lara Lagni come Barbarina, sempre efficace Bruno Lazzaretti nei panni di Basilio. Completano il cast il puntuale Don Curzio di Paolo Antognetti e il divertente Antonio di Dario Giorgelè.

Teatro Filarmonico – Stagione Lirica 2017/18
LE NOZZE DI FIGARO
Opera comica in quattro atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Il Conte di Almaviva Christian Senn
La Contessa di Almaviva Francesca Sassu
Susanna Hasmik Torosyan
Figaro Riccardo Fassi
Cherubino Raffaella Lupinacci
Marcellina Francesca Paola Geretto
Bartolo Bruno Praticò
Basilio Bruno Lazzaretti
Don Curzio Paolo Antognetti
Barbarina Lara Lagni
Antonio Dario Giorgelè

Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del Coro Vito Lombardi
Maestro al cembalo Maria Cristina Orsolato
Regia Mario Martone ripresa da Raffaele Di Florio
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Lighting design Pasquale Mari ripreso da Fiammetta Baldiserri
Coreografia Anna Redi
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese
Allestimento del Teatro San Carlo di Napoli
Verona, 3 aprile 2018

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