Chiudi

Trieste, Teatro Verdi – L’italiana in Algeri

Condivisioni

Nell’anno del 150° anniversario della morte di Rossini il Teatro Verdi di Trieste riporta sulle scene, come penultimo titolo della stagione, uno dei massimi capolavori del pesarese e del melodramma, quell’Italiana in Algeri che già Stendhal considerava come “la perfezione del genere buffo” e che qui mancava dal 2009. Lo fa proponendo un nuovo allestimento coprodotto con la Fondazione Teatro di Pisa e in un’edizione che è un degno e pregevole omaggio al compositore. Se di recente ho qui riferito di un’edizione di Falstaff che aveva uno dei suoi punti di forza in una originalissima rilettura drammaturgica, quest’Italiana è invece un bell’esempio di come si possa creare uno spettacolo godibile e, si passi la ripetizione del termine, originale pur mantenendosi nei solchi di un impianto sostanzialmente classico, andando, piuttosto che reinterpretare, alle fonti stesse: libretto e – nel caso del Rossini comico – partitura. Due modi diversissimi di fare teatro che ottengo il medesimo risultato perché supportati da un’analisi attenta del testo letterario e musicale.

Lo spettacolo concepito da Stefano Vizioli nulla tradisce dell’azione e della macchina concepita da Rossini. Potendo contare sulle coloratissime scene del grande Maestro Ugo Nespolo, fra i padri dell’Arte Povera e la cui produzione si caratterizza per una marcata ironia, Vizioli la integra lavorando con cura su movimenti semplici, su ammiccamenti dei corpi ed espressioni dei volti dei protagonisti; non aggiunge, lascia piuttosto che la comicità scaturisca con naturalezza dal gesto innescato, per così dire, dalla musica stessa. L’impianto scenico è sostanzialmente fisso, una serie di quinte che sono un turbinio di colori accesi, su cui si stagliano indumenti intimi e sagome umane disegnate con tratti che rimandano al mondo orientale; un fondale blu tagliato da segni bianchi come raggi di luce che piovono di traverso dietro a delle dune lignee, un grande sipario vermiglio per segnare i cambi di scena. I pochi altri elementi sulla scena – il trono di Mustafà su un grande soppalco blu, una palma, la nave che porta la bella Italiana venuta in Algeri – hanno lo stile variopinto di certi giochi lignei dei bambini e contrastano con i costumi, firmati sempre da Nespolo, del coro: bianchi caftani e turbanti neri; più colorati quelli dei protagonisti, e tuttavia sobri nelle linee. È una favola caleidoscopica, colorata e fantasiosa, che riflette visivamente la variopinta gamma di colori e situazioni comiche concepita da Rossini.

Alto anche il livello dell’esecuzione musicale, grazie a un cast omogeneo e alla direzione del maestro George Petrou che, bene seguito dall’Orchestra del Teatro Verdi, stacca tempi serrati, dosando tuttavia con cura le dinamiche e sempre attento alle esigenze delle voci, sapendo attingere a una ricca tavolozza di colori orchestrali – molto bella l’introduzione all’aria “Per lui che adoro” – e riuscendo a tenere salde le redini dei pezzi più vorticosi come, ad esempio, il finale primo.

Il Lindoro di Antonino Siragusa si impone sin dall’aria “Languir per una bella” con cui soggioga immediatamente il pubblico grazie a una linea di canto morbida, mezze voci perfettamente controllate a sostenere un fraseggio pulito, ammirevole forse anche più delle agilità pure pulite e degli acuti sicuri della seconda parte del pezzo. Una bella prova di alto livello, riconfermata lungo tutto l’arco della serata, anche nella musicalmente meno affascinante aria del secondo atto. Chiara Amarù disegna una Isabella battagliera, impertinente e quasi verdianamente patriottica in “Pensa alla Patria”, ma capace anche di esibire pianissimi di grande fascino nella già citata “Per lui che adoro”. Può vantare un bel timbro mezzosopranile, brunito, non di grande volume forse, ma in grado di piegarsi alle esigenze della scrittura rossiniana le cui impervietà di scrittura non teme affatto. Ricchissima la quantità di sfumature che trova nella sua lettura del personaggio, senza mai risultare volgare o trascendere i toni. Nicola Ulivieri è un Mustafà che fa del timbro vocale nel registro medio basso e delle doti di interprete i suoi punti di forza. È un seduttore fanfarone e maldestro di rara simpatia – vittima, al momento, dei soli strali di Isabella, e non ancora delle crociate che di recente hanno colpito suoi edulcorati epigoni financo della filmografia disneyana – che non teme le trappole di Rossini e si muove con sapiente prudenza nel registro acuto, in cui la voce tende a perdere smalto. Nicolò Ceriani si riconferma artista versatile e sempre preparato, qui a suo agio, vocalmente e scenicamente, nella parte di Taddeo: perfetto Kaimakan per un cotanto Pappataci. Giulia Della Peruta come Elvira offre un importante contributo alla riuscita della serata, segnalandosi tanto per le qualità del suo strumento che per le doti di attrice, come del resto Shi Zong che affronta egregiamente la parte di Haly, con una pronuncia complessivamente curata e risolvendo bene l’aria carica di eco mozartiane “Le femmine d’Italia”. Silvia Pasini completa degnamente, nel ruolo minore di Zulma, il cast. Come sempre valido il coro diretto da Francesca Tosi.

Teatro Verdi – Stagione lirica e di ballletto 2017/18
L’ITALIANA IN ALGERI
Dramma giocoso per musica in due atti su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini

Mustafà Nicola Ulivieri
Elvira Giulia Della Peruta
Zulma Silvia Pasini
Haly Shi Zong
Lindoro Antonino Siragusa
Isabella Chiara Amarù
Taddeo Nicolò Ceriani

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore George Petrou
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia Stefano Vizioli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
in coproduzione con Fondazione Teatro di Pisa
Trieste, 25 maggio 2018

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino