Dopo la ripresa della farsa La prova di un’opera seria di Gnecco, il Teatro Verdi di Trieste ha tenuto a battesimo, nell’ambito della rassegna dedicata alle opere in un atto, Il castello incantato di Marco Taralli. L’esecuzione in forma di concerto ha avuto luogo nella Sala del Ridotto Victor de Sabata e costitutiva un’anteprima in attesa del debutto ufficiale sulle scene, il prossimo febbraio. Questa scelta ha permesso al pubblico di concentrarsi sulla musica, per quanto l’azione sviluppata nel libretto di Fabio Ceresa, già in passato collaboratore di Taralli, risultasse chiaramente immaginabile. La notte di Natale i giocattoli, affidati dalla Fata del Natale alle cure del Folletto Fiordarancio si animano: le tre bambole Brunetta, Rossella, Biondina, si vantano della loro bellezza facendosi gioco di Piombino, il Soldatino di stagno con una sola gamba, innamorato di Stella, la ballerina del carillon, muta perché il perfido Jack in the box ne tiene in ostaggio la chiave. Come nella favola di Andersen, entrambi muoiono abbracciati nel fuoco del caminetto, ma innanzi a quella morte l’animo di tutti i giocattoli muta. L’intervento della Fata riporta in vita i due amanti e tutti si uniscono in un canto natalizio. Il testo, che fa ricorso a una versificazione classica con rime baciate e assonanze, si tiene fedele ai modi e toni tipici del genere fiabesco, almeno per quanto è stato dato capire da una dizione non sempre perfetta degli interpreti.
Musicalmente, la partitura si pone nell’ambito della tradizione italiana, e lo fa programmaticamente. Taralli infatti non cela questa sua intenzione neppure nelle parole con cui introduce la sua ultima fatica nel programma di sala. Direi che ci troviamo davanti a un esempio di eclettismo stilistico in cui dagli echi rossiniani dell’ouverture (esplicito omaggio del compositore al grande Pesarese) si passa ad accenti mozartiani in alcuni incisi del Folletto, ancora a reminiscenze rossiniane in certi rapidi giochi di parole delle tre bambole, a sonorità tipiche del primo Novecento, avendo tuttavia sempre come chiaro riferimento la musica tonale, in cui non mancano echi che ricondurrei ad esempio alle atmosfere di Columbine Dances di Martinu o passaggi che, come nel canto di Piombino, posso rievocare l’uso delle voci di Zemlinsky (penso a Der Zwerg, tratta da Il compleanno dell’infanta di Wilde). Sostanzialmente dunque non siamo molto distanti da quanto accadeva negli anni Venti, Trenta del secolo scorso; non mi pare cioè, dopo un primo ascolto, che si possa, in tutta onestà, asserire che qualcosa di nuovo sia stato detto. Se poi a questo ecclettismo possa riferirsi la definizione di postmodernismo piuttosto che quella di – oserei dire – neomanierismo (peraltro Eco suggeriva che postmodernismo fosse una forma moderna di manierismo), è questione da sviscerare in altra sede. Resta il fatto che, date le premesse enunciate dall’autore – fedeltà alla tradizione e divertimento – la partitura funziona molto bene, è piacevole ed equilibra con sapienza, leggerezza e una drammaticità che sa caricarsi di composta pietas nella contemplazione della morte dei due amanti. Certamente assistere a una rappresentazione scenica gioverà ad apprezzarla ulteriormente e a mitigare certe acerbità dell’esecuzione.
L’Orchestra del Teatro Verdi (che comprende nell’organico anche un pianoforte), diretta dal giovanissimo Takayuki Yamasaki, è sembrata dare il meglio di sé nell’ouverture e nei passaggi più concitati, suonando a tratti forse troppo pesante rispetto a quelle che sembrerebbero essere le intenzioni della partitura. Il cast ha offerto complessivamente una buona prova. Andrea Binetti è stato un convincente Jack in the Box: musicale, con ottimo senso ritmico; si riconferma un valido tenore lirico Motoharu Takei nella parte piuttosto centrale di Piombino; Ricardo Crampton prestava la sua voce di baritono chiaro al Folletto Fiordarancio, pur non sembrando aderire a fondo alla parte; Selma Pasternak era La Fata del Natale che apre l’opera e ricompare alla fine in una sorta di RingKomposition; ha dimostrato buone intenzioni anche se il timbro non pare particolarmente accattivante. Elena Sabas, Silvia Pasini ed Elena Serra erano rispettivamente Brunetta, Rossella e Biondina e costituivano un trio ben amalgamato che ha saputo caratterizzare in maniera convincente le tre bambole vanitose. Pur sembrando ripetitivi, come sempre si segnala il valido contributo del Coro del Teatro Verdi, con particolare riferimento alle voci femminili, le sole previste in organico, diretto da Francesca Tosi.
Poco il pubblico presente, che non dovrebbe invece disertare le recite di febbraio. I presenti hanno seguito tuttavia con partecipe attenzione tributando applausi convinti ad autore, interpreti e a un’iniziativa coraggiosa del teatro, che speriamo possa in futuro diventare una prassi consolidata, almeno nell’ambito di Sempre Verdi da 0 a 100 (e *+).
Teatro Verdi – Rassegna Sempre Verdi da 0 a 100 (e *+)
IL CASTELLO INCANTATO
Fiaba musicale in un atto liberamente tratta da
Il Soldatino di Stagno di Hans Christian Andersen
Libretto di Fabio Ceresa
Musica di Marco Taralli
Nuova commissione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
La Fata del Natale Selma Pasternak
Il Folletto Fiordarancio Ricardo Crampton
Piombino Motoharu Takei
Jack in the box Andrea Binetti
Brunetta Elena Sabas
Rossella Silvia Pasini
Biondina Elena Serra
Orchestra e coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Takayuki Yamasaki
Maestro del coro Francesca Tosi
Trieste, Sala del Ridotto Victor de Sabata, 29 novembre 2018