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Trieste, Teatro Verdi – Così fan tutte

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Ritorna a Trieste, dove la tradizione vorrebbe si sia svolta la boccaccesca vicenda che sta alla base del libretto di Lorenzo Da Ponte, Così fan tutte di Wolfang Amadeus Mozart. E a voler prestare fede alla citata leggenda, ignorando, per attribuircene la paternità, le fonti letterarie – Ovidio, Ariosto, Casti – potremmo trovare nella scarsità di rappresentazioni che si sono tenute nel corso dei più di due secoli che ci separano dalla prima viennese dell’opera, un’ulteriore riprova del detto nemo profeta in patria: dopo una rappresentazione settecentesca, infatti, l’opera ritornerà nella città che fu porto dell’Impero asburgico, solo nel 1932 e per sole altre cinque successive produzioni sino a oggi. Vi giunge dunque ora in un allestimento realizzato dal Festival dei 2Mondi di Spoleto e coprodotto con Fondazione Teatro Coccia di Novara, che ha nei nomi del registra Giorgio Ferrara e degli scenografi e costumisti, rispettivamente Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, i punti di forza. Nelle rappresentazioni triestine la regia è ripresa da Partizia Frini. La parte visiva è impreziosita dalle belle luci di Daniele Nannuzzi alla cui realizzazione ha collaborato Fiammetta Baldiserri.

Lo spettacolo – già recensito per “Connessi all’Opera” da Andrea Dellabianca – non mantiene tuttavia le promesse. Se l’impianto scenografico è in effetti molto bello e funzionale con i due pannelli laterali in puro stile neoclassico che convergono sul fondale raffigurante un golfo dominato da un trialbero alla fonda e golette, e con evidenti richiami alle stampe e all’iconografia settecentesca, che dettano anche lo stile degli splendidi costumi, è la regia a deludere. Non che vi sia nulla che non funzioni, ma è forse eccessiva la sottomissione al libretto dapontiano, già di per sé non ricchissimo di azione, tutto costruito com’è su parallelismi e situazioni chiastiche che l’ordine dei personaggi in scena tende a rendere ridondanti, correndo il rischio, specie nella prima parte del primo atto, di risolvere il tutto in una stagnante contemplazione dell’impianto illuminista del libretto. La lettura del regista sembra concentrarsi su questi elementi formali – resi con ottimo gusto e curata analisi – ignorando tuttavia tutti quegli spunti che pure abbondano e rendono il testo tanto affascinante quanto inquietante e, alla resa dei conti, attuale. Al gioco del teatro nel teatro pare alludere, ad esempio, la costante presenza in scena di sei servitori, simmetricamente disposti lungo le pareti laterali, a cui è affidato tanto il compito di attrezzisti nei cambi di scena quanto quello di comparse, ma senza che su di esso si costruisca una vera (ri)lettura teatrale. Despina come originale rivisitazione settecentesca del servus callidus in chiave femminile, ad esempio, non è aspetto che venga sfruttato. Il carattere demoniaco della coppia Don Alfonso/Despina che prelude a successive elaborazioni hoffmanniane, le quali sfoceranno nel demoniaco romantico; la critica della filosofia, il cinismo annichilente di cui Don Alfonso è portavoce; il trionfo del libertinismo; la misoginia; l’amore come impulso naturale; il rapporto uomo-donna all’interno della coppia, sono solo alcuni dei temi che scompaiono in uno spettacolo più confortante che stimolante, più contemplativo che provocante, più fanée che vivace.

Dal punto di vista musicale le cose non mi sembrano mutare: anche in questo caso le intenzioni non si tramutano in emozioni, quando non sono apertamente tradite da ben altri problemi. Il cast scritturato dal Verdi presenta una serie di cantanti giovani, molti dei quali debuttanti su queste scene. Fiordiligi è interpretata da Karen Gardeazabal che esibisce un bel timbro e un volume notevole nel registro acuto; non le manca un buon controllo delle mezze voci, ma denota evidenti disagi nella gestione dell’ottava bassa. Quando la tessitura scende – e lo fa non poche volte nel corso delle importanti arie affidate alla sua parte – si evidenziano stimbrature, suoni ingolati e slittamenti di intonazione. Peccato, perché la voce è interessante e ha buone potenzialità.
Vincenzo Nizzardo è il suo amante Guglielmo: bel timbro baritonale e ottima presenza scenica, uniti a una buona tecnica che gli permette di cantare sul fiato e mantenere omogeneo il suono, disegna un personaggio esuberante nel gioco del travestimento, credibile tanto nella fiducia che ripone nella donna che ama quanto nel dolore della disillusione. Aya Wakizono riconferma la bella impressione lasciata dalla sua Rosina rossiniana nella scorsa stagione. Canto sul fiato, emissione in maschera, controllo dello strumento, abbellimenti puliti e belle doti di attrice per una Dorabella civettuola e timorosa delle conseguenze delle proprie scelte.
Ferrando è affidato a Giovanni Sebastiano Sala, che, come i colleghi, arriva a Trieste da precedenti esperienze di rilievo. Tenore leggero dal timbro piuttosto brunito sorretto da una tecnica alquanto sicura, appare a tratti sfuocato, quasi affaticato, nel secondo atto. “Un’aura amorosa” è risolta bene con buone mezze voci, ma con un fraseggio poco interessante rispetto a quelle che sembrano le sue intenzioni, mente in altre pagine abbellimenti e melismi appaino non propriamente puliti, con le singole note più portate – vorrei dire scivolate – che legate.
I due motori dell’azione – Don Alfonso e la sua serva astuta Despina – sono interpretati da Abramo Rosalen e Giulia Della Peruta rispettivamente. Il primo ha un’imponente voce di basso che sa smorzare al piano e piegare a maligne insinuazioni; quando tuttavia canta a voce piena, il fraseggio tende a farsi poco elastico e il legato difficoltoso; risulta corretto, ma non particolarmente incisivo, in un ruolo che forse gli va stretto. Disinvolta e spigliata Giulia Della Peruta, il cui timbro non suona particolarmente fascinoso, ma può contare su una buona preparazione tecnica e bella presenza scenica. In generale, si può dire che gli interpreti dimostrano nella resa dei recitativi secchi una lucidità interpretativa e una sensibilità non sempre corrisposta nei numeri musicali.

La direzione e la concertazione di Oleg Caetani sono state qui meno convincenti che altrove. Solo a tratti il direttore riesce a trarre un giusto colore dall’Orchestra del Teatro Verdi, risultando talvolta pesante. Il disegno generale è confuso e manca di quel ritmo narrativo che abbiamo del resto già evidenziato a proposito della regia, risultando anch’esso corretto ma privo di illuminazioni stimolanti nel fraseggio. Il coro del Teatro Verdi diretto da Francesca Tosi dimostra la consueta preparazione e professionalità nei pochi interventi a esso riservati dalla partitura.
Successo che definirei tiepido e che i silenzi al termine dei numeri musicali sembrerebbero dimostrare riservato più alla musica e al testo, nonché alla simpatia dei personaggi, che all’esecuzione in sé. Mozart si riconferma ancora una volta compositore di estrema difficoltà ed esigentissimo sotto l’apparente semplicità della sua scrittura.

Teatro Verdi – Stagione lirica e di balletto 2017/18
COSÌ FAN TUTTE
(o sia La Scuola degli amanti)
Dramma giocoso in due atti KV 588 su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Fiordiligi Karen Gardeazabal
Dorabella Aya Wakizono
Guglielmo Vincenzo Nizzardo
Ferrando Giovanni Sebastiano Sala
Despina Giulia Della Peruta
Don Alfonso Abramo Rosalen

Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Oleg Caetani
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia Giorgio Ferrara
ripresa da Patrizia Frini
Scene Dante Ferretti
Costumi Francesca Lo Schiavo

Disegno luci Daniele Nannuzzi
Allestimento Spoleto58 Festival dei 2Mondi – Fondazione Teatro Coccia di Novara
Trieste, 20 aprile 2018

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