Uno spettacolo all’insegna della comicità, del colore puro e del gioco teatrale. L’italiana in Algeri di Gioachino Rossini è andata in scena al Teatro Sociale di Rovigo a chiusura della stagione lirica del capoluogo polesano e in coincidenza con le celebrazioni del 150° anniversario dalla morte del compositore. L’allestimento è coprodotto dal Teatro Verdi di Pisa e dal Sociale di Rovigo in collaborazione con il Verdi di Trieste, dove approderà a fine maggio con un nuovo cast e un nuovo direttore.
L’italiana è il primo dei capolavori comici rossiniani. Scritta nel 1813 per il Teatro San Benedetto di Venezia da un compositore appena ventunenne, ottiene un trionfo memorabile, confermando quello del Tancredi al Teatro la Fenice pochi mesi prima. Paradossalmente, questo dramma giocoso nasce quasi per caso: per una defezione di Carlo Coccia, Rossini compone e mette in scena l’opera nuova nel giro di un mese di lavoro. Per accorciare i tempi viene riciclato un libretto di Luigi Anelli, già musicato da Luigi Mosca nel 1808, che pur non vantando particolari meriti letterari risulta accattivante per la sua mancanza di realismo. L’esotismo dell’Italiana in Algeri continua sicuramente una tradizione settecentesca e illuminista, ma ne sviluppa gli aspetti più paradossali e grotteschi. Il libretto sembra addirittura presagire il teatro dell’assurdo di Ionesco con i suoi giochi verbali. Si pensi alla stretta del finale del primo atto, “Nella testa ho un campanello” (tra l’altro, non presente nel libretto per Mosca e, dunque, voluta da Rossini): i personaggi si lanciano in una girandola di suoni (bum, cra, din, tac) portata al parossismo dal fulminante crescendo rossiniano. Lo stesso Stendhal, grande ammiratore di quest’opera, la definisce, con felice espressione, “una follia organizzata e completa”.
Con queste premesse, L’italiana in Algeri è forse la più “novecentesca” delle commedie rossiniane; sicuramente la più farsesca e “meccanica”. Secondo il regista Stefano Vizioli, qui “non ci sono più maschere stereotipate, e non ci sono ancora psicologie ben definite”: l’opera è da considerarsi “un trionfo dell’ambiguità” in cui i personaggi e le situazioni sono inseriti in un gioco scenico, ma pulsano ugualmente di emozioni. Le luminose scenografie di Ugo Nespolo, realizzate con accostamenti di colore puro e innocuamente “futuriste”, creano un adeguato contorno visivo al susseguirsi repentino dei colpi di scena. Non meno importanti le luci ideate da Michele della Mea, che sottolineano, con diverse gradazioni, i diversi momenti della partitura, da quelli più intimi e trasognati ai fragorosi concertati.
Numerose le trovate sceniche, divertenti, mai volgari e in sintonia con la “tinta” musicale: dalla poetica rarefazione che accompagna l’aria di Lindoro “Languir per una bella” (con la scena vuota e due pescatori che lavorano con le reti in una luce soffusa blu a ricordare il mare) al divertente macchiettismo della grottesca cerimonia in cui Taddeo viene nominato Kaimakan (con due sarti che prendono le misure per l’abito timorosi della reazione del Bey), ai movimentatissimi momenti di insieme.
Francesco Pasqualetti dirige l’Orchestra Arché, assecondando il ritmo teatrale della partitura: le strette degli ensemble e i numerosi crescendo sono scattanti e veloci, ma il direttore sa anche fare emergere con grande cura le sottili e raffinate trame strumentali, i giochi di botta e risposta che sono il segreto dell’alchimia musicale rossiniana. La compagine orchestrale asseconda il direttore, distinguendosi anche negli assolo strumentali, a partire da quello del flauto nell’aria “Per lui che adoro” nel secondo atto. Buona anche prestazione del Coro Ars Lyrica.
Per quanto riguarda gli interpreti, occorre sottolinearne le innegabili doti attoriali e l’efficace gioco di squadra che hanno saputo realizzare sulla scena, delineando personaggi attraenti e dotati di un preciso carattere. Antonella Colaianni crea una Isabella che alterna tenerezza, seduzione, fascino femminile e spirito di iniziativa. Il gioco seduttivo nel primo incontro con Mustafà e la celebre cavatina “Per lui che adoro”, di pregnante e allusiva sensualità, sono testimonianza di un’interpretazione adeguata per un personaggio così complesso e motore dell’azione. Anche nell’aria virtuosisticamente più impegnativa, “Pensa alla patria”, la cantante tiene testa alla difficile parte scritta per la Marcolini.
Artista a tutto tondo è anche il basso Alessandro Abis nel ruolo “buffo” di Mustafà. Voce profonda e nobile, Abis sa alternare il piglio autoritario (quasi da opera seria) della prima entrata in scena al progressivo decadere nella goffa condizione di innamorato non corrisposto, regalando un’interpretazione del personaggio originale, che alterna sentimentalismo, ridicolo e umana simpatia.
Lindoro è Diego Godoy: ottimo attore, costantemente in movimento (anche troppo saltellante a volte); pur con qualche problema di intonazione nel passaggio dal registro medio a quello acuto (soprattutto nell’aria del primo atto), il tenore disegna un personaggio accorato e convincente.
Anche Nicola Ziccardi è un Taddeo decisamente teatrale in piena sintonia con Isabella nel duetto del primo atto e perfettamente a suo agio nella divertentissima aria “Ho un gran peso sulla testa”.
I ruoli minori sono anch’essi interpretati con professionalità: Alex Martini è un Haly prestante, ironico e divertito osservatore nella deliziosa aria “Le femmine d’Italia”; Giulia Della Peruta disegna un’Elvira teatrale, efficace, sempre pertinente e divertente insieme alla Zulma di Caterina Poggini.
Il pubblico ha partecipato molto reattivamente allo spettacolo, tributando alla fine le meritate ovazioni agli artisti.
Teatro Sociale – Stagione lirica 2017/18
L’ITALIANA IN ALGERI
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Luigi Anelli
Musica di Gioachino Rossini
Mustafà Alessandro Abis
Lindoro Diego Godoy
Taddeo Nicola Ziccardi
Elvira Giulia Della Peruta
Isabella Antonella Colaianni
Zulma Caterina Poggini
Haly Alex Martini
Orchestra Arché
Coro Ars Lyrica
Direttore Francesco Pasqualetti
Regista Stefano Vizioli
Aiuto regista e coreografo Pierluigi Vanelli
Scene e costumi Ugo Nespolo
Luci Michele Della Mea
Nuovo allestimento Teatro di Pisa e Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Coproduzione Teatro di Pisa e Teatro Sociale di Rovigo
Rovigo, 25 marzo 2018