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Roma, Terme di Caracalla 2018 – Carmen

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Si ripete l’avventura della Carmen “messicana” a firma di Valentina Carrasco per la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma. Avere l’opportunità di rivedere uno spettacolo – recensito lo scorso anno – permette di riflettere maggiormente sui meccanismi che lo regolano, soppesando i pro e i contro di alcune scelte senza l’effetto di stupore o di delusione della “prima volta”, ma soprattutto concede la possibilità di valutare con più attenzione le sfumature interpretative degli artisti. Questi ultimi restano quasi immutati rispetto ad uno dei cast del 2017, fatto salvo per qualche eccezione: Escamillo, Micaëla e Zuniga. Ma la personalità che più delle altre incide sullo spettacolo in termini di cambiamento è quella del direttore. Ryan McAdams è un giovane direttore dalla carriera internazionale, che si è già affermato con alcune prove ottime in Italia, in particolare nel repertorio francese. Basterebbe annoverare Les pêcheurs de perles di Torino per dare conto delle sue notevoli capacità nella gestione dei timbri e delle sonorità orchestrali. Queste capacità sono cresciute con lui, si sono affinate e raffinate, così le esperienze e lo studio lo fanno oggi approdare a una lettura di Carmen netta e scintillante, in cui la linea – tersa come quella di Ingres – troneggia su ogni effetto o semplicemente sul patetismo tradizionale di stampo verista. In questa lettura colpisce il perfetto equilibrio fra le parti, la studiata consapevolezza di una alternanza dinamica di attimi vigorosi e frasi distese, erotismo e sentimento, estasi e morte: tutto il corollario di dicotomie patetiche di cui è disseminata l’opera viene portato a nudo e, grazie a ciò, esaltato, innalzato a esempio mitico e imperituro. L’ingresso di Carmen al primo atto ne è la prova, mentre il coro maschile tende al vigore ritmico come una trasposizione musicale della tensione sessuale che poi si libererà nell’Habanera, le sigaraie rispondono con una melodia sospesa, impalpabile, proprio come il fumo delle sigarette. McAdams è a suo agio nel primo e nel secondo e ci fa percepire lo stacco netto fra i due modi di intendere l’amore (e il sesso) fra uomini e donne: può sembrare un discorso sessista, ma in fondo Carmen si presta a questa interpretazione. La donna è portatrice di una sessualità libera e moderna, mentre l’uomo resta ingabbiato nel suo ruolo di “maschio” sottomesso ai doveri sociali e familiari, che gli permettono sì alcune libertà, ma che lo limitano persino nell’espressione di se stesso. Al contrario, Carmen e persino Micaëla compiono scelte che trascendono i ruoli tradizionali, la prima per affermare la propria individualità, la seconda per riappropriarsi dell’uomo che ama.

La regia di Valentina Carrasco rimane estremamente interessante, piena di dettagli e di azione nelle scene più popolate per cui coro e figuranti non sono mai personaggi immobili, ma quasi sempre costruiscono specchi o amplificazioni dell’azione principale. Tuttavia a distanza di un anno ci si rende conto di quanto l’idea originale abbia perso terreno sul fronte della contemporaneità politica. Nel 2017 il “muro di Trump” faceva scalpore, oggi avremmo bisogno di un porto chiuso, non solo a Carmen, ma a tutti i reietti della società per ottenere il medesimo effetto. L’ago della bilancia si è spostato e le “novità del giorno” sottraggono forza a un allestimento scenico che pure si mantiene affascinante, ma di un fascino più turistico, per cui persino le suggestive proiezioni sembrano cartoline di saluto rassicuranti invece di incombere sull’azione come una minaccia alla libertà stessa degli uomini. Dovremmo riflettere – e non è questo il luogo – sull’atteggiamento delle regie, operistiche in particolare, nella trasposizione degli eventi sociali e politici, su quanto ci sia di concettuale e quanto di sensazionale: solo il tempo, onesto galantuomo, può dare la misura del valore universale di un’operazione tanto delicata.

Sul fronte interpretativo la Carmen di Ketevan Kemoklidze ha conquistato maggiore sicurezza, per cui molti passi sono stati illuminati da un fraseggio scaltro e seducente. Peccato che la maggior parte di essi fosse sempre in mezzavoce o in piano, registri volumetrici su cui l’interprete gioca quasi tutto il ruolo con effetti suggestivi, splendidamente sostenuti dall’orchestra, ma che alla lunga risultano noiosi. Innegabile il carisma scenico e l’erotismo di ogni gesto, a volte quasi troppo liberty per essere vero, mentre è decisamente fuori luogo la frase “L’on m’avait avertie que tu n’étais pas loin, que tu devais venir” cantata tutta “nel naso” a rovinare uno dei momenti più intensi dell’opera. Andeka Gorrotxategui incarna un Don José sanguigno e virile, dal carattere un po’ sempliciotto, ma innegabilmente migliorato rispetto allo scorso anno. Sono diminuiti i passaggi in cui la voce, forse per dimostrare maggiore forza interpretativa, risulta ingolfata e quasi soffocata dall’orchestra, mentre il fraseggio è più a fuoco e anche alcuni acuti hanno acquistato un nitore notevole. Certo, non smorza il finale dell’aria, ma scenicamente è tanto credibile da sembrare un giovane Marlon Brando e gli si perdona qualche smorzatura di meno e qualche scivolone nella dizione francese. L’Escamillo di Simón Orfila canta con timbro scuro e seducente, ma appare meno disinibito scenicamente e qualche passaggio più acuto non risulta proprio sicurissimo, nonostante sia esibito più del necessario. New entry è la Micaëla di Louise Kwong – dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program – il cui timbro è dolcissimo. Dimostra in tutte le sue parti una disinvoltura anche nei passaggi più insidiosi, ma dà il meglio di sé nei cantabili più dolci come nel malinconico duetto con Don José. Il resto del cast è all’altezza delle aspettative, senza troppi entusiasmi.
Merita invece una menzione speciale la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma che ha visto in azione giovani e giovanissimi ben preparati musicalmente e perfetti in scena.

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione estiva 2018
CARMEN
Opera in quattro atti
dal romanzo di Prosper Mérimée
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
Musica di Georges Bizet

Carmen Ketevan Kemoklidze
Don José Andeka Gorrotxategui
Escamillo Simón Orfila
Moralès Timofei Baranov*
Micaëla Louise Kwong*
Dancairo Alessio Verna
Frasquita Daniela Cappiello
Mercédès Anna Pennisi
Remendado Pietro Picone
Zuniga Roberto Lorenzi
* Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Ryan McAdams
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Valentina Carrasco
Scene Samal Blak
Costumi Luis Carvalho
Coreografia Erika Rombaldoni e Massimiliano Volpini
Luci Peter van Praet
Roma, Terme di Caracalla, 29 luglio 2018

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