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Parma, Teatro Regio – Roberto Devereux

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Con il secondo titolo della sua stagione lirica, il Teatro Regio di Parma prosegue un interessante progetto incentrato sulle regine donizettiane coprodotto con il Carlo Felice di Genova e la Fenice di Venezia. Dopo l’Anna Bolena del 2017, tocca a Roberto Devereux, che sul palcoscenico parmigiano era apparso soltanto una volta, nel 1840, tre anni dopo la creazione.
L’opera vide la luce al San Carlo di Napoli il 28 ottobre 1837, durante una delle fasi più nere della vita del suo autore. La carriera di Donizetti, in quel periodo, era una corsa a ostacoli: la censura teatrale non dava tregua, lo sperato posto fisso da direttore del conservatorio partenopeo restava un miraggio, l’ottenimento di un ingaggio nell’agognata Parigi tardava a concretizzarsi. Come se non bastasse, proprio nelle settimane in cui era impegnato nella scrittura della nuova opera, il compositore si trovò nel bel mezzo di una tremenda tragedia famigliare: l’amatissima moglie Virginia morì, poco tempo dopo aver partorito un figlio senza vita. Cercare collegamenti fra la biografia di un artista e la sua produzione è spesso un azzardo, ma non si può fare a meno di pensare che le pene sofferte da Donizetti, in qualche misura, si ripercuotano – e si sublimino – in Roberto Devereux: nella sua tinta cupa, nel suo meccanismo teatrale proteso inesorabilmente alla catastrofe, nello sforzo (riuscitissimo) di stressare le convenzioni formali musical-drammaturgiche per modellare a sbalzo le intime angosce dei personaggi.

Come suggerisce un bel saggio di Giuseppe Martini pubblicato nel programma di sala, Roberto Devereux è un’opera di psicologia e di interni. Tutta la vicenda si svolge nei palazzi della corona inglese, e l’intreccio ruota attorno a un numero esiguo di eventi che accelerano una vicenda già indirizzata verso un destino ineluttabile. La messinscena ideata da Alfonso Antoniozzi (regia), Monica Manganelli (scene), Gianluca Falaschi (costumi) e Luciano Novelli (luci) adotta il teatro elisabettiano come riferimento stilistico: l’ambiente viene epurato da ogni fronzolo, la gestualità degli interpreti si fa espressiva e prosciugata, gli abiti lussuosi evidenziano l’ambientazione cinquecentesca. Il regista non si accontenta però di narrare la vicenda di tragici incroci amorosi intessuta abilmente dal librettista Salvadore Cammarano, ma vuole offrire un ulteriore piano di lettura. Roberto Devereux, infatti, è anche il dramma personale di Elisabetta I, che decide di spogliarsi di un’immagine regale (autocostruita) che l’ha resa sola e infelice. L’intuizione di Antoniozzi è ottima, ma la sua realizzazione lascia perplessi. Per inscenare questo secondo livello narrativo viene imboccata una via metateatrale – risolta con il ricorso a mimi e a strutture teatrali a vista – che allude invece di asserire. Il progetto registico, insomma, resta a metà del guado, ma l’economia generale dello spettacolo non ne risente granché: a conti fatti, si ha l’impressione di assistere a uno spettacolo tradizionale, pure piuttosto elegante, che individua e mette in giusto risalto gli snodi principali dell’opera.

Roberto Devereux è una di quelle opere che conviene montare soltanto quando si dispone di una compagnia di canto solida e bilanciata. E da questo punto di vista a Parma le aspettative non vengono deluse. La parte della leonessa la ricopre l’inossidabile Mariella Devia, che con il ruolo di Elisabetta (unito a quello di Norma) sta vivendo una seconda giovinezza. La limpidezza del timbro, la pulizia dell’emissione, la facilità negli acuti sono quelli di sempre, e se nelle discese al grave la voce talvolta si affievolisce, nel registro centrale si scoprono una varietà e un’espressività di fraseggio magistrali. Eccellente anche Sonia Ganassi, che mette a frutto padronanza dello stile fiorito, calore vocale ed energia interpretativa per affrontare con autorevolezza la parte tutt’altro che innocua di Sara. Stefan Pop si accosta con generosità al ruolo di Roberto, e dimostra che il suo repertorio d’elezione è proprio quello tardo-belcantistico. Della sua prova si apprezzano soprattutto il timbro squillante, la pulizia dell’emissione e la dizione curata, mentre risulta a tratti scolorita l’interpretazione attoriale. Più che il vendicativo marito tradito di Sara, il Duca di Nottingham di Sergio Vitale è il franco amico di Roberto; ma, al di là di una certa unidimensionalità interpretativa, il baritono piace per la voce franca e potente, particolarmente espressiva a livello timbrico per l’inflessione aspra delle regioni gravi.

A tessere la tela musicale dello spettacolo è Sebastiano Rolli, a proprio agio in questo repertorio operistico di passaggio, ormai mondato dagli spinti virtuosismi rossiniani ma non ancora toccato dalla virulenta drammaticità verdiana. Il direttore parmigiano ottiene belle sfumature dinamiche e coloristiche dall’Orchestra dell’Opera Italiana, è preciso nell’inquadrare l’ottimo Coro del Regio, e si offre a guida sicura dei solisti: asseconda e irreggimenta gli slanci, plasma con autorevolezza i brani d’assieme.
Il teatro è pieno, e alla calata del sipario gli applausi sono generosi e meritati.

Teatro Regio – Stagione lirica 2018
ROBERTO DEVEREUX
o Il Conte di Essex
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Salvadore Cammarano,
dalla tragedia “Elisabeth d’Angleterre” di Jacques Ancelot
Musica di Gaetano Donizetti

Elisabetta, regina d’Inghilterra Mariella Devia
Sara, duchessa di Nottingham Sonia Ganassi
Roberto Devereux, conte di Essex Stefan Pop
Il Duca di Nottingham Sergio Vitale
Lord Cecil Matteo Mezzaro
Sir Gualtiero Raleigh Ugo Guagliardo
Un paggio Andrea Goglio
Un familiare di Nottingham Daniele Cusari

Orchestra dell’Opera Italiana
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Alfonso Antoniozzi
Scene Monica Manganelli
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Luciano Novelli
Allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova
in coproduzione con Teatro Regio di Parma e Teatro La Fenice di Venezia
Parma, 15 marzo 2018

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