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Napoli, Teatro San Carlo – Il cappello di paglia di Firenze

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Un gioco drammaturgico-musicale vertiginoso, surreale e divertente. Di comicità leggera ma sottilmente arguto e a tutt’oggi, a oltre mezzo secolo dalla première palermitana nell’anno 1955, di salda tenuta staccato com’è, e a gran velocità, guardando con spirito sincretico ben oltre la fonte primaria del vaudeville ottocentesco di Eugéne Labiche e Marc Michel Un Châpeau de paille d’Italie, nonché attraverso il filtro dell’omonimo film muto di René Clair del 1928, per puntare dritto al centro di un ingranaggio geometrico perfetto, di moderna e abilissima sintesi. Ingranaggio non a caso al via con un’ouverture in bilico fra il Mozart – trattandosi di nozze – della folle journée e il Milhaud di Scaramouche per poi andare a macinare o a incastrare stili e topoi disparati, citazioni celebri e auto-imprestiti per il grande schermo, fra colorature da belcanto, cabalette donizettiane o verdiane e melos pucciniano, recitazione da operetta e canto pieno a numeri chiusi. Il tutto, entro un caleidoscopio di flashback sonori sempre riconoscibili quanto originalmente reinventati quali le rispettive cavatine di Figaro e Rosina, la scalpitante aria di compare Alfio dalla Cavalleria di Mascagni, un temporale in grado di attraversare al contempo la Pastorale di Beethoven, l’Otello rossiniano, il Rigoletto di Verdi e le Valkirie wagneriane, più qualche spunto dalla Butterfly e dal Gianni Schicchi arrivando al primo Novecento di Puccini. E fino a portare in parata parodistica, nella stretta del finale, il proprio tema dello Sceicco bianco.
È Il cappello di paglia di Firenze, brillante farsa musicale in quattro atti composta nel 1945 da Nino Rota su libretto scritto dallo stesso musicista milanese con la madre Ernesta Rinaldi, per la prima volta applaudita al Teatro San Carlo di Napoli nell’efficace allestimento della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, a firma della regista veneziana Elena Barbalich, con scene e i costumi di Tommaso Lagattolla, coreografie di Danilo Rubeca, luci di Marco Giusti, pattinatori, mimi e danzatori della Compagnia Körper più direzione musicale di Valerio Galli, nell’occasione tornato dopo La bohème del 2016 sul podio del coro (preparato da Marco Faelli) e dell’Orchestra del Lirico di Napoli.

In linea esatta con lo stile musicale e le modalità di elaborazione del soggetto, l’allestimento della Barbalich ben mette in moto un meccanismo pronto a innescare con pari dinamismo adrenalinico un corto circuito comico dalla logica centrifuga, perfetto nel compendiare a tinte nette e in formula per lo più bidimensionale segni visivi e richiami gestuali appartenenti all’avanguardia parigina e al cinema degli anni Venti, fra contesti e personaggi ritagliati a meraviglia nella rispettiva specificità di genere e carattere. Al proscenio c’è una grande cornice esterna di lampadine che, un po’ specchio da camerino teatrale, insegna da cabaret o un po’ ribalta alla Chez Maxim’s da Vedova di Lehár, racchiude in sé l’azione a lieto fine come per rapidi fotogrammi con relativi, deliziosi cambi a vista affidati a figuranti in silhouette di marchio strehleriano su fondi blu, violetto o rosa a luce fondente. Ed è quindi al suo interno che si svolge la folle giornata delle nozze del giovane Fadinard, costretto tutto il tempo a correre da un luogo all’altro, fra paradossali equivoci e colpi di scena, scambi di persona e di luoghi, carcere compreso e sempre con corteo nuziale al seguito, nel tentativo di salvare l’onorabilità di una signora (Anaide) alla quale il cavallo del proprio calesse (nell’occasione, un biciclo antico dalla testa equina) ha divorato il cappello di paglia di manifattura fiorentina, regalatole dal marito, mentre lei era in compagnia del tenente e amante Emilio. Un’architettura simmetrica e a chiasmo (Ouverture, Atto I, Intermezzo I, Atto II; atto III, Intermezzo II, Atto IV e Finale) che l’allestimento evidenzia con cura e scatto efficace: nel primo atto, attraverso il liberty stilizzato in bianco e nero, non dissimile dal Don Pasquale ridisegnato quattordici anni fa da Roberto De Simone per il San Carlo, con servitù su pattini a rotelle indaffarata a preparare le nozze; nell’Intermezzo, con il primo piano in fila sulle modiste giustamente “garrule e pettegole” – otto coriste messe a dura prova nel vortice in scala e in acuto sincopato “Svelto, vola vola l’ago” – capitanate dall’ormai storica figura di Daniela Mazzucato, interprete speciale per il genere ma, soprattutto, voce presente nella storica incisione del 1975 per la RCA-Ricordi diretta dallo stesso Nino Rota. Nell’atto secondo la ricerca del cappello, così come indicato dalla capo-modista, ci porta a seguire nella casa in stile Dame aux camélias della baronessa di Champigny (le cui prelibatezze in tavola per i propri ospiti saranno intanto spazzolate dagli invitati del corteo itinerante convinti di trovarsi al “Vitel poppante”, ossia il ristorante delle nozze), con l’apparizione fra il pubblico in platea di un violinista vero (il virtuoso Minardi) interpretato da Salvo Lombardi, archetto fra i migliori nella sezione sancarliana dei primi. Esilarante impennata buffa, quindi, al terzo atto, aperto suggestivamente e a contrasto citando sullo sfondo il mondo felliniano (con una coppia stretta in un ballo e un clown che alla tromba intona il tema di Rota per il film poi balletto La strada) per introdurre il pediluvio del marito geloso di Anaide, il signor Beaupertuis, con scambio comicissimo di scarpe fra lui e il futuro suocero di Fadinard, il Nonancourt dai piedi costantemente doloranti per le calzature in vernice troppo strette, più duetto di fraintesi con il prestante Favinard. Alla fila stanca e malconcia del coro-corteo nell’Intermezzo II subentra un atto IV dalla dimensione asciutta e ancor più fotografica, tanto per la scena della caserma (puntuale come sempre il coro maschile) quanto per il temporale-gioiello in cui piovono dall’alto ombrelli mentre, alla confusione generale fra arresto degli invitati scambiati per ladri e ripristino dell’ordine grazie al cappello di paglia di Firenze regalato dallo zio Vézinet, e dunque in casa fin dall’inizio, la prospettiva punta sulla confusione dei gruppi potenziando le idee-cardine del groviglio e del tanto movimento per nulla.

Passando a valutare i singoli ruoli, al di là dell’ottimo lavoro messo a segno sul fronte scenico da tutti gli interpreti in campo, c’è da segnalare il primato assoluto della squadra maschile guidata da tre voci di primo piano: Il tenore Pietro Adaini, giovane talento siciliano dotato di bel timbro, omogeneità di tessitura, buon volume e di una pregevole cura del fraseggio cantabile, ritaglia un Fadinard romantico e di slancio sincero, notevolmente incline tanto ai rimandi dell’Alfredo verdiano quanto alle sfumature del repertorio pucciniano. Motore eccellente del buffo in caricatura, come prevedibile, il Beaupertuis del baritono Bruno de Simone, scolpito con emissione potente, preziosa tavolozza di armonici e un’infinita gamma di accenti a sostegno di una vis comica irresistibile per suono, gestualità e plasticità di battuta, sia negli interventi a solo che in assieme. Quindi tracotante e tuonante al punto giusto il Nonancourt del basso Gianluca Buratto, nel suo peregrinare da un luogo all’altro costantemente stretto alla pesante pianta di fiori d’arancio così come inseparabile dalla minaccia di mandare a monte il matrimonio della figlia. A complemento si premiano Marco Miglietta per le notevoli tinte pucciniane toccate dando vita all’inconsapevolmente risolutivo zio sordo Vézinet, Dario Giorgelè per Emilio, Roberto Covatta (Felice), Massimiliano Chiarolla (Achille di Rosalba) e in special modo i coristi sancarliani Sergio Valentino (un caporale delle guardie) e Antonio Mezzasalma (una guardia) per il singolare impegno sfoderato sia sul fronte vocale che attoriale. Tra le voci femminili, a parte la presenza eccellente del soprano Daniela Mazzucato nei panni della modista, si è distinta su tutte per solidità tecnica, duttilità espressiva e padronanza nel ruolo la baronessa di Champigny del mezzosoprano Anna Malavasi. Meno convincenti sono invece risultate tanto la non facile Elena di Zuzana Marková, soprano leggero saldo all’acuto ma ancora non completamente a suo agio nel controllare un assai rilevante e comunque interessante corpo di voce al passaggio fra i registri, al pari del soprano Anna Maria Sarra nella sua pur apprezzabile e accattivante Anaide.

Infine concentrata in primis sulla tensione ritmica ci è parsa la rilettura di Valerio Galli sul podio di Orchestra e Coro del Teatro San Carlo, in ogni caso attento a tirar fuori con semplicità i rilievi melodici più schietti, i timbri puri e concertanti o, con maggiore affondo, effetti speciali come la potenza fonica scatenata in cinematografico crescendo con il travolgente e assai efficace temporale. Una tensione ritmica leggera, calibrata senz’altro d’intesa con le linee pulitissime della dimensione registica ma anche, con buona probabilità, in volo consapevole sulla tradizione pensando alla genuinità umoristica e al candore lessicale della stessa lezione musicale rotiana, e del Cappello di paglia di Firenze nello specifico, ben chiara a fronte del farraginoso sperimentalismo coevo già all’indomani della sua scomparsa secondo quanto le cronache ebbero a riportare in merito allo stile: “Di fronte agli affanni e ai tormenti dei grandi musicisti a lui contemporanei – fu osservato – impegnati a scovare nuovi linguaggi prim’ancora di scrivere nuove musiche, Nino è passato con la sua bella innocenza, che non era incoscienza. E si è guardato intorno sorridendo”.

Teatro di San Carlo – Stagione Lirica 2017/2018
IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE
Farsa musicale in quattro atti
Libretto di Nino Rota ed Ernesta Rinaldi
Musica di Nino Rota

Fadinard Pietro Adaini
Nonancourt Gianluca Buratto
La baronessa di Champigny Anna Malavasi
Elena Zuzana Marková
Beaupertuis Bruno de Simone
Anaide Anna Maria Sarra
Emilio Dario Giorgelè
Lo zio Vézinet Marco Miglietta
Una modista Daniela Mazzucato
Felice Roberto Covatta
Achille di Rosalba Massimiliano Chiarolla

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Valerio Galli

Regia Elena Barbalich
Scene e Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Marco Giusti
Aiuto regia e coreografia Danilo Rubeca
Pattinatori e mimi/danzatori della Compagnia Körper
Federico Cirella, Nicolas Grimaldi Capitello, Luca Scala,
Simone Scala, Antonio Nicastro, Giuseppe Villarosa
Allestimento della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari
Napoli, 10 Maggio 2018

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