Inaugurato nel 2016 con un oratorio händeliano e in attesa della trilogia di opere di Händel che, dal 2019, vedrà protagonista Cecilia Bartoli, prosegue al Teatro alla Scala il lodevole progetto di esecuzione di opere del Settecento su strumenti storici con la compagine barocca sorta in seno all’Orchestra scaligera. Quest’anno viene messa in scena per la prima volta sulle tavole del Piermarini La finta giardiniera, dramma giocoso in tre atti composto tra 1774 e 1775 da un diciannovenne Wolfgang Amadeus Mozart per l’antico teatro di corte presso la Salvatorkirche di Monaco di Baviera, il Salvatortheater. Di fronte a un libretto modesto e alquanto convenzionale, sorretto da una trama abbastanza banale e farraginosa, con i sette personaggi in cerca dell’amore tra servette arriviste, marchese credute morte che si celano sotto mentite spoglie, innamorati respinti e nobildonne gelose, il genio salisburghese dà vita a una partitura preziosa, mescendo sapientemente registro serio e buffo, in una riuscita alternanza di molteplici livelli stilistici ed espressivi.
Per l’occasione, viene presentata la produzione del Festival di Glyndebourne che, nel 2014, ha messo in luce il talento del giovane Frederic Wake-Walker, già noto al pubblico milanese per aver messo in scena, due anni fa, un discusso allestimento de Le nozze di Figaro. Il regista britannico firma uno spettacolo frizzante e gustoso, oltremodo ironico e variopinto, basato essenzialmente sull’idea di relazione tra amore e pazzia, tra sentimento e delirio. I personaggi, ben caratterizzati nelle loro psicologie, adottano una gestualità volutamente enfatica e, a seconda delle occasioni, manierata, con movenze che ricordano quelle di un carillon e, nei momenti di inerzia, rimandano alle statuine in porcellana di Meissen. La scenografia di Antony McDonald, ispirata a uno dei padiglioni del bavarese Castello di Nymphenburg, ambienta la vicenda in un decadente Lustschloss, residenza estiva e luogo di piacere che, nel movimentato Finale II, viene distrutto e smantellato da Sandrina e dal Contino Belfiore, lasciando così spazio alla visione di un fondale dipinto con un bosco autunnale. Curati i costumi multicolore di McDonald stesso, di foggia rococò filtrata attraverso il linguaggio odierno di stilisti quali Alexander McQueen e John Galliano; evocativo e atmosferico il gioco di luci di Lucy Carter. Grazie a tutti questi elementi e a gag mai eccessive, viene sbalzata l’immagine di un Settecento frivolo e spensierato, cangiante nelle cromie e pervaso da un sano pizzico di follia.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala troviamo un decano della filologia musicale, Diego Fasolis. Con gestualità precisa e scattante, sempre attento al rapporto buca-palco, il maestro svizzero predilige un Mozart brillante e dinamico, brioso e rapinoso nell’agogica dei tempi, crepitante e smaltato nelle sonorità, dovizioso di notevoli idee interpretative, camaleontico e scevro da un inutile edonismo fine a se stesso. Incisivi e fantasiosi gli accompagnamenti al fortepiano di James Vaughan e al cembalo di Paolo Spadaro.
A causa di un’improvvisa indisposizione, Hanna-Elisabeth Müller ha sostenuto solo l’azione scenica, mentre la parte di Sandrina è stata cantata, a bordo del palcoscenico, da Julie Martin du Theil. Voce piccola e garbata, il cui punto di forza è un registro acuto cristallino e luminoso, il soprano svizzero si impone per una solida tecnica e, soprattutto, per una squisita sensibilità musicale, pregi che le permettono di cesellare minuziosamente la celebre cavatina “Geme la tortorella” e l’aria con cavatina e recitativi accompagnati “Crudeli, oh Dio! Fermate […] Ah dal pianto, dal singhiozzo”, affrontata quest’ultima con foga maggiore, ma pur sempre con gusto ed eleganza.
Accanto a lei, il Contino Belfiore di Bernard Richter si distingue per una vocalità tenorile corposa e ben proiettata, dal timbro brunito, ricca di armonici e ben appoggiata nel registro medio-grave, efficace nella dizione. Se l’aria “Che beltà, che leggiadria” è risolta con naturalezza, si avverte qualche difficoltà nelle agilità del duetto finale, non sempre fluide.
Sugli scudi la prova del mezzosoprano Lucia Cirillo, nel ruolo en travesti del Cavalier Ramiro. In possesso di uno strumento timbricamente chiaro, quasi sopranile nel colore, la Cirillo canta con finezza, musicalità ed estrema raffinatezza, come emerge in particolare nell’aria del secondo atto “Dolce d’amor compagna”, rifinita con morbidezza e delicatezza; pregevoli sono, poi, le variazioni nel da capo dell’aria “Se l’augellin sen fugge”.
Energica e volitiva l’Arminda del soprano Anett Fritsch, ben calata nei panni di un’innamorata gelosa, possessiva e manesca, ai limiti della schizofrenia. Agile e ben sfogata nelle note alte, apparse salde e sicure, nelle due arie “Si promette facilmente” e “Vorrei punirti indegno”, interpretate con piglio deciso, si evidenziano note gravi sorde e appannate.
Scenicamente inappuntabile il Podestà viscido ed erotomane, a tratti camp, di Krešimir Špicer: voce debordante ed estesa, che corre con facilità nell’ampia sala del Piermarini, il tenore croato si disimpegna con disinvoltura nei declamati, nella recitazione e nel fraseggio; si percepisce qualche disomogeneità nell’emissione, principalmente nella salita agli acuti, spesso fibrosi e sforzati.
Piace la Serpetta puntuta di Giulia Semenzato, vocalità sopranile penetrante e argentea nelle note alte, sbarazzina e magnetica quando è in scena grazie anche a un physique du rôle aggraziato; gradevole e pregnante la resa dei due brani “Appena mi vedon chi cade, chi sviene”, cantata con mordace malizia, e “Chi vuol godere il mondo”.
Vigoroso e fresco risulta, infine, il Nardo di Mattia Olivieri: in possesso di uno strumento vocale di buon volume, di grana scura ed emesso omogeneamente, il baritono convince particolarmente nella difficile aria “A forza di martelli”, affrontata con irruenza, puntiglio nel sillabato e tempi spediti.
Al termine, successo trionfale per Diego Fasolis e per i sette solisti e, in misura minore, per il team registico.
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
LA FINTA GIARDINIERA
Dramma giocoso in tre atti KV 196 su libretto di Giuseppe Petrosellini
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Anchise, Podestà di Lagonero Krešimir Špicer
Sandrina Julie Martin du Theil (canto), Hanna-Elisabeth Müller (azione scenica)
Il Contino Belfiore Bernard Richter
Arminda Anett Fritsch
Il Cavalier Ramiro Lucia Cirillo
Serpetta Giulia Semenzato
Nardo Mattia Olivieri
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
Direttore Diego Fasolis
Maestro al fortepiano James Vaughan
Maestro al cembalo Paolo Spadaro
Regia Frederic Wake-Walker
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Lucy Carter
Produzione Festival di Glyndebourne
Milano, 8 ottobre 2018