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Milano, Teatro alla Scala – Il pirata

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Nel mettere in scena Il pirata di Vincenzo Bellini, il Teatro alla Scala prosegue nell’intento di valorizzare alcuni fra i titoli più desueti del repertorio belcantistico. Nella fattispecie si tratta di un ritorno alle origini, in quanto fu proprio il Piermarini a ospitare nel 1827 la prima assoluta del lavoro belliniano, uno dei primi veri esempi di opera romantica. Il titolo mancava dal teatro meneghino dal 1958, anno in cui Maria Callas, Franco Corelli ed Ettore Bastianini diedero vita sulla scena ai tre personaggi principali.

Riccardo Frizza nel dirigere la Sinfonia opta per un’agogica mobilissima e sonorità avvolgenti, distaccandosi da eventuali residui rossiniani per anticipare piuttosto le atmosfere dense e corrusche tipiche del Donizetti più maturo. Con il procedere nell’esecuzione, la lettura si attesta via via su tempi più indugianti, magari meno fantasiosi, ma che hanno il merito di stendere un’opportuna rete di sicurezza nei confronti del canto, così centrale in un’opera come questa. L’orchestra risponde con un suono compatto e un amalgama strumentale caldo e uniforme.

Sonya Yoncheva, a un anno di distanza dall’ottima Mimì nella Bohème firmata da Zeffirelli, torna alla Scala con una di quelle prove che alcuni definirebbero “missione impossibile”. Una sfida, va subito detto, che il soprano bulgaro vince senza riserve. Non si tratta certamente di una vittoria nei confronti dei fantasmi del passato (che in questo caso restano là, irraggiungibili), ma piuttosto di una fulgida dimostrazione della statura artistica di una delle cantanti più meritatamente celebrate e ricercate nell’attuale panorama lirico. Bella, magnetica e disinvolta sulla scena (requisiti oggi indispensabili per assurgere al rango di “diva”), la Yoncheva possiede una voce dal timbro ambrato e seducente, ricca di armonici e sorretta da una tecnica sicura. Il recitativo con cui Imogene si presenta rivela già molto: il sol d’attacco suona pieno e autorevole, mentre nell’arco di poche battute la voce viene spinta, a freddo, a un do acuto solido e brillante. “Lo sognai ferito, esangue” si segnala per l’emissione morbida e per il dominio delle agilità, dove le nitide quartine discendenti vengono sciorinate dall’artista con classe e con l’esperienza derivatale dagli esordi nel repertorio barocco. Colpisce, in un’organizzazione vocale essenzialmente di soprano lirico puro, la presenza di un registro grave tornito, in cui gli affondi più estremi risultano vellutati e intensi. Durante il concertato che conclude il primo atto (forse una delle pagine più efficaci dell’intera partitura), il canto della Yoncheva emerge dall’insieme con magnifico effetto, tracciando una luminosa direttrice attorno alla quale si avviluppano gli interventi degli altri solisti e del coro. Atteso al varco nella scena della pazzia, il soprano non delude grazie alla rifinitura che caratterizza il lungo recitativo, scandito in maniera ineccepibile, e all’aria successiva, quel “sorriso d’innocenza” in cui, nonostante i due la, prima sulla parola “genitor” e poi su “tanto”, risultino lievemente lassi a causa di una comprensibile stanchezza, il legato assume una purezza quasi strumentale. E per finire, una cabaletta al calor bianco, dove gli infernali salti d’ottava e i saliscendi per il pentagramma evidenziano doti virtuosistiche non comuni in una voce di tale spessore.
L’acutissima parte di Gualtiero, com’è noto, fu scritta da Bellini per le straordinarie doti del fuoriclasse Rubini. Pare addirittura che l’autografo originale fosse scritto un tono sopra rispetto alla versione andata in stampa e poi giunta fino a noi. Sebbene “scontata al ribasso” di un intero tono, il tenore si trova comunque a fraseggiare sulla zona del passaggio con frequenti salite al si bemolle e perfino al do e al re sovracuto. Piero Pretti si presenta molto concentrato e ben preparato all’appuntamento con il ruolo del pirata. Minia i recitativi con la massima cura e con dizione adamantina. Profonde la massima espressività nel realizzare la melodia belliniana, anche attraverso un sostegno diaframmatico che gli permette frasi lunghe e legate. La proiezione del suono è assai buona, mentre le puntature ai sovracuti di cui si diceva funzionano meglio sui do, centrati a dovere, laddove il re riesce invece appena più duro e laborioso: bazzecole. In definitiva, una grande e bella prova, convincente nella sua totalità.
Nicola Alaimo esordisce in sordina, letteralmente: la voce risuona poco e il registro acuto sembra velato da una insolita opacità; bene a fuoco invece le agilità. Passata l’aria, il canto di questo Ernesto prende quota e si allinea, per varietà di colori e di dinamiche, a quello degli altri due protagonisti. I suoi momenti migliori sono da ricercarsi nel duetto con la consorte e soprattutto nel successivo terzetto con Imogene e Gualtiero. Anche se è il ruolo stesso a non offrire un reale ventaglio espressivo, si ha tuttavia la sensazione che il baritono resti sempre un passo indietro, quasi fagocitato suo malgrado dal carisma vocale e scenico dei colleghi.
Tra le parti di fianco, spicca l’Adele di lusso di Marina De Liso che dà il massimo risalto possibile alla figura della damigella, mentre l’Itulbo di Francesco Pittari risulta più ordinario e routinier. Bravo, sia dal punto di vista vocale sia da quello scenico, Riccardo Fassi nei panni di Goffredo. Solo discreta la prova del coro, che inizia bene ma la cui sezione femminile si perde man mano in interventi poco precisi e piuttosto chiocci.

Lo spettacolo firmato da Emilio Sagi è elegante, patinato e ruffiano nell’accezione più positiva del termine: un set composto da tre pareti oblique e riflettenti, le due laterali, ciascuna con tre uscite, più il grande soffitto che alzandosi e abbassandosi allarga e restringe il punto di fuga su fondali diversi. L’argento delle scenografie realizzate da Daniel Bianco, le luci dorate di Albert Faura e il bianco/nero dei costumi di foggia ottocentesca (ma filtrati secondo il gusto contemporaneo) creati da Pepa Ojanguren restituiscono un fascinoso quadro visivo nei confronti del quale è praticamente impossibile opporre resistenza. In tutto ciò, il lavoro del regista si riduce a un attento coordinamento degli elementi, in modo che la macchina teatrale funzioni senza intoppi.

Per dovere di cronaca (e per riferire di certo folklore scaligero) si segnala che al termine della recita, fra gli applausi scroscianti per tutti, sonore contestazioni piovute dal loggione hanno funestato l’uscita in successione di Nicola Alaimo, Riccardo Frizza e dei responsabili della parte visiva.  

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
IL PIRATA
Melodramma in due atti su libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Ernesto Nicola Alaimo
Imogene Sonya Yoncheva
Gualtiero Piero Pretti
Itulbo Francesco Pittari
Goffredo Riccardo Fassi
Adele Marina De Liso

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Emilio Sagi
Scene Daniel Bianco
Costumi Pepa Ojanguren
Luci Albert Faura
Nuova produzione Teatro alla Scala in coproduzione con Teatro Real di Madrid e San Francisco Opera
Milano, 29 giugno 2018

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