Chiudi

Milano, Teatro alla Scala – Fierrabras

Condivisioni

Uno spettacolo in bianco e nero. Fierrabras, ultima opera di Franz Schubert giunge per la prima volta sul palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano e, se la musica si rivela di grande bellezza, tuttavia, la produzione, proveniente dal Festival di Salisburgo, non convince pienamente.
Anzitutto, il regista Peter Stein (il cui lavoro è stato qui ripreso da Bettina Geyer e Marco Monzini), con lo scenografo Ferdinand Wögerbauer, si avvale di un impianto scenografico privo di colori, costituito da fondali e da una cornice teatrale che altro non sono che l’ingrandimento di incisioni seicentesche relative all’epoca in cui si svolge l’azione. Ovvero un lontano Medioevo riletto con gli occhi (gli occhiali, per la verità) del Romanticismo. Perché gli occhiali? Perché quelli inconfondibili di Schubert campeggiano al centro della parte alta del sipario, entro un artistico scudo araldico sostenuto da due creature alate. Opera “eroico-romantica” – come recita il sottotitolo – che affonda le sue radici nel poema in lingua d’oc La chanson de Fierrabras e nella leggenda germanica Eginhard und Emma, Fierrabras è ambientata al tempo della spedizione di Carlo Magno in Spagna per riconquistare le reliquie sottratte dai Mori. La vicenda del Moro prigioniero di Carlo, nella regia di Stein, alterna momenti di stasi a intuizioni di un certo fascino (penso in particolare alla scena della torre nel secondo e terzo atto dell’opera). Tuttavia, la recitazione dei personaggi non appare curata nei dettagli e spesso si risolve in pose prevedibili, melodrammatiche nel senso deteriore del termine, e in una certa distrazione generale, anche da parte del coro. Molto belli sono i costumi di Anna Maria Heinreich, giocati sulle tonalità del bianco e del nero: il primo, acceso di riflessi argentei, associato a Carlo Magno, ai suoi paladini e alla sua corte, il secondo invece quale colore proprio dei Mori. Funzionali a tale impostazione sono le luci di Joachim Barth.

Dal podio, Daniel Harding delude: anche la sua è una direzione in bianco e nero, nitida, asciutta e senza grandi colori. Il maestro inglese dirige Schubert come se fosse l’ultimo Mozart o il primo Beethoven, con una generale severità di impostazione che non rende ragione della ricchezza di scrittura. Ma soprattutto, dimostrando di non avere compreso (o voluto comprendere) la dimensione più romantica e sognante di questa magnifica partitura. Per di più, Harding spinge molto sui bassi e si attesta spesso su dinamiche di mezzoforte e forte, coprendo anche le voci. Peccato, perché gli strumentisti della Scala sono eccellenti.

Il cast è nel complesso all’altezza del compito, anche se non ci sono voci che fanno gridare al miracolo. Il basso Tomasz Konieczny è un Carlo Magno imponente, dotato di un bel colore di voce, che è ampia e tonante; sua figlia Emma è il soprano Anett Fritsch, interprete attenta e partecipe, con voce chiara ed estesa, di bella consistenza timbrica. Non altrettanto può dirsi dell’altro soprano, Florinda, interpretata da Dorothea Röschmann: la voce risulta corposa al centro ma tende a stimbrarsi nelle note gravi e a perdere morbidezza in quelle acute. Il protagonista (che tale è solo per il titolo, dato che nel secondo atto dell’opera non compare e nel terzo ha un ruolo marginale) è il tenore Bernard Richter, la cui prestazione è più che sufficiente: il timbro non è memorabile, ma l’interprete è abbastanza incisivo. Lo stesso può dirsi dell’Eginardo di Peter Sonn, l’altro tenore tra i protagonisti. Markus Werba è un Orlando fiero e solido, così come convincente risulta il Boland del basso Lauri Vasar. Apprezzabile il contributo offerto dagli altri: Marie-Claude Chappuis (l’ancella Maragond), Martin Piskorski (il paladino Ogier), Gustavo Castillo (Brutamonte, comandante dei Mori).
Il coro, come sempre istruito da Bruno Casoni, assolve bene al suo compito (molto intensa la breve pagina patriottica del secondo atto, cantata a cappella), anche se sconta l’impostazione generale scelta da Harding e talvolta fatica a seguire il direttore.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
FIERRABRAS
Opera eroico-romantica in tre atti
Libretto di Josef Kupelwieser
Musica di Franz Schubert

Emma Anett Fritsch
Florinda Dorothea Röschmann
Maragond Marie-Claude Chappuis
Fierrabras Bernard Richter
König Karl Tomasz Konieczny
Roland Markus Werba
Eginhard Peter Sonn
Boland Lauri Vasar
Ogier Martin Piskorski
Brutamento Gustavo Castillo*
*Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Harding
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Peter Stein ripresa da Bettina Geyer e Marco Monzini
Scene Ferdinand Wögerbauer
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Joachim Barth
Produzione Salzburger Festpiele
Milano, 15 giugno 2018

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino