Un’opera di Verdi che mancava alla Scala da 35 anni meritava senza dubbio tutt’altra considerazione nonché un allestimento dallo spirito, se non proprio celebrativo, quantomeno rispettoso.
Con la messinscena di Ernani, Sven-Eric Bechtolf manca clamorosamente il bersaglio. Il regista del bellissimo Hänsel und Gretel della scorsa stagione (nel quale aveva tenuto fede allo spirito fiabesco della storia, inserendola in una cornice onirica e contemporanea) opta qui per una soluzione fortemente metateatrale, scelta che, a giudicare dal risultato, appare più come una scappatoia per non doversi confrontare in modo serio con una vicenda per molti aspetti improbabile ed eccessiva. Bechtolf, come molti addetti ai lavori di formazione germanica, o in senso più lato anglo-sassone, calca sul pedale dell’ironia, con quella sorta di “sopracciglio alzato” tipico di chi si sente tutelato dall’avere alle spalle la tradizione di un teatro musicale che affonda le sue origini in Mozart, passando da Wagner per arrivare a Strauss. Ed è così che l’idea di mettere in scena Ernani, mostrando un gruppo di teatranti girovaghi contemporanei di Verdi che tentano a loro volta di mettere in scena Ernani, naufraga sin dalla prima apertura di sipario. Ma si badi: non è il contenitore in sé a essere il vero oggetto della critica, quanto l’insolenza di un’ironia beffarda e distaccata che, oltre a costringere i cantanti a movenze esagitate e ridicole, dentro costumi tendenzialmente pacchiani, qua e là perfino caricaturali (nella prima scena, l’effetto “Robin Hood nella foresta di Sherwood” è dietro l’angolo), stride pesantemente con lo spirito romantico di cui il soggetto e la musica sono pervasi. Ad acuire la sensazione di disagio dello spettatore contribuiscono alcune trovatine che, in un paio di occasioni, vedono comparire sulla scena due malcapitate danzatrici, agghindate da ballerine di can-can, le quali, loro malgrado, si ritrovano sommerse dalle contestazioni provenienti dal loggione e indirizzate agli autori dell’allestimento: “Vergogna!”, “Pagliacci!”, “Questo sarebbe Verdi, eh?!”…
Sul versante musicale, le cose vanno decisamente meglio, ma non è tutto rose e fiori. Ádám Fischer dirige assai bene un’Orchestra in grande forma. Tempi e sonorità sono ovunque azzeccati; l’agogica perlopiù spedita e sempre d’effetto. Manca forse quel quid nell’atmosfera, per la quale si vorrebbe una tinta più notturna e avvolgente, ma il senso del dramma viene comunque colto e veicolato efficacemente. Non del tutto riuscita, invece, la concertazione con le voci, come dimostra qualche incomprensione occorsa nei momenti più rapidi e concitati.
Dal punto di vista vocale, Ildar Abdrazakov è l’elemento più convincente di tutto il cast. Il suo Silva promana nobiltà e autorevolezza sin dalla cavatina d’ingresso, salutata dal pubblico con un’ovazione unanime e prolungata. La voce di basso compatta e l’emissione sicura si mantengono tali fino alla conclusione dell’opera, senza che si possa avvertire alcun cedimento.
Francesco Meli è un Ernani a tutto tondo: indossa con sicurezza e slancio i panni del tenore romantico e, nel caso specifico, verdiano, di cui possiede i giusti accenti e il senso del fraseggio. La dizione è chiarissima, così come l’articolazione delle parole, che suonano sempre ampie e generose. “Come rugiada al cespite” non fa magari dimenticare l’interpretazione di alcuni grandi del passato anche recente, ma viene cesellata con cura e padronanza di stile. Più interlocutori risultano i momenti di canto sfumato, uno fra tutti il duetto con il soprano, dove l’emissione tende a sbiancarsi e a retrocedere dalla maschera. Inoltre, rispetto a prove passate, oggi non è possibile fare a meno di notare quanto l’ispessimento della vocalità, soprattutto nel medium, abbia reso il registro acuto un po’ meno facile e le modulazioni del vibrato più laboriose.
Luca Salsi, vestendo qui i panni di Don Carlo e in contemporanea quelli del protagonista del Macbeth in scena a Parma, dimostra in maniera abbastanza inequivocabile che tale impresa riesce soltanto in rarissime occasioni. Questo Carlo difatti, essendo prima di tutto un sovrano e poi l’unico dei tre personaggi maschili a provare sentimenti sinceri di amore e pietà, ha in realtà ben poco di regale, a giudicare dalla linea di canto prevalentemente stentorea e dallo stile piuttosto grossolano. I tentativi di smorzare qua e là ci sono, ma si traducono in suoni a volte non perfettamente intonati. Si ha come l’impressione che il cantante non abbia voluto, o magari potuto, dedicare il tempo necessario alla preparazione del ruolo. La voce però è tanta e di bella qualità, per non parlare del timbro autenticamente baritonale e molto omogeneo.
Resta da dire dell’Elvira di Ailyn Pérez, per la quale parlare di preclaro esempio di miscast sarebbe quantomeno riduttivo. Non occorrono che poche battute del recitativo che precede la sublime “Ernani, involami” per accorgersi di un’organizzazione vocale totalmente inadatta a sostenere quelle arcate di così ampio respiro che concorrono a definire la cavata verdiana. Allo strumento del soprano messicano semplicemente mancano sia il peso che la risonanza (ma anche qualche nota in alto come in basso) per rendere giustizia alle caratteristiche vocali del personaggio. Ma non si vuole infierire oltre, tanti sarebbero i rilievi negativi da elencare.
Funzionali le parti di fianco: la Giovanna di Daria Chernyi, il Don Riccardo di Matteo Desole e lo Jago di Alessandro Spina. Buona la prova del coro diretto da Bruno Casoni, a eccezione di un paio di tenori con smanie di protagonismo vocale.
Al termine della recita, un loggione abbastanza compatto negli intenti si è scagliato molto sonoramente contro il soprano e i responsabili della parte visiva, mentre gli applausi più convinti da parte del pubblico in sala sono stati riservati a Ildar Abdrazakov e a Luca Salsi.
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
ERNANI
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Ernani Francesco Meli
Don Carlo Luca Salsi
Silva Ildar Abdrazakov
Elvira Ailyn Pérez
Giovanna Daria Chernyi
Don Riccardo Matteo Desole
Jago Alessandro Spina
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Ádám Fischer
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Sven-Eric Bechtolf
Scene Julian Crouch
Costumi Kevin Pollard
Luci Marco Filibeck
Video Filippo Marta
Coreografia Lara Montanaro
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 29 settembre 2018