Tradizionale, oleografica, faraonica. Stantia. L’Aida di Franco Zeffirelli (e anche un po’ di Giuseppe Verdi, sia chiaro), in scena alla Scala per rendere omaggio al 95° compleanno del regista, accusa tutto il peso dell’età. Concepita per la stagione 1962-‘63, questa Aida, ripresa da Marco Gandini, è davvero uno spettacolo che viene dal passato, un po’ come i reperti che si ammirano nei musei. E forse, come tale va considerata: come un esempio, interessante e a suo tempo riuscito, di un modo di fare teatro che pare tuttavia non corrispondere più alla mutata sensibilità di critica e pubblico.
Nelle note di sala, Zeffirelli professa il suo amore sincero e profondo per Verdi e per quest’opera, spiega la genesi del suo rapporto con Aida e confessa che “il (…) segreto (di questa Aida, ndr) è che non c’è nulla di complicato: è solo l’illustrazione della musica di Verdi che prende forma”. Più oltre, aggiunge: “questo (…) allestimento è un atto d’amore per un’idea tradizionale della messinscena operistica. La sua conservazione contribuisce a realizzare il sogno di trasmettere e consegnare al mio pubblico la testimonianza del mio operato, la cifra stilistica e il denominatore comune che unisce i miei spettacoli, grazie ai quali ho potuto conquistare le platee di tutto il mondo”.
Ciò detto, nella recita alla quale ho assistito, la gestualità dei cantanti era davvero convenzionale e a tratti sciatta, come se non ci fosse stata un’adeguata preparazione. A ciò si deve aggiungere un uso delle luci non in grado di valorizzare le pur belle scene firmate da Lila De Nobili, che è anche autrice dei ricchissimi costumi. Le coreografie di Vladimir Vasiliev, riprese da Lara Montanaro, ben si inseriscono nell’ambito di un così sontuoso spettacolo: brillano in tale contesto Marta Romagna, altera Akhmet (sacerdotessa danzante introdotta da Zeffirelli) e la coppia di “selvaggi” (definizione oggi poco politicamente corretta) interpretata da Maria Celeste Losa e Mick Zeni; bravissimi i giovani allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia della Scala.
Aida era Krassimira Stoyanova e la sua è stata un’interpretazione notevole per la bellezza e l’omogeneità di un timbro chiaro e corposo, per la puntuale attenzione alle sfumature e la costante concentrazione espressiva: ne sortisce il ritratto di una donna vittima dolente degli eventi, più che di una fiera principessa. Fabio Sartori, pur dotato di una voce importante, non ha pienamente convinto in Radames: al di là dell’impaccio scenico, il tenore veneto si è assestato su una gamma dinamica dal mezzoforte al forte, arrivando a sfumare di più solo nella scena finale. Discontinua anche la prova di Violeta Urmana quale Amneris: il mezzosoprano lituano esibisce ancora una calda e sensuale brunitura nelle note centrali della tessitura, ma i gravi non sono sempre pieni e corposi e gli acuti appaiono talvolta sfocati. Sotto il profilo interpretativo, poi, la Urmana non va oltre un impeto generico che non sempre si adatta a un personaggio comunque regale e che è di fatto il centro gravitazionale dell’intreccio. Incisivo per contro l’Amonasro di George Gagnidze, con la sua voce ampia e omogenea, acuti sicuri e bel piglio interpretativo. La voce di Carlo Colombara (il Re) appare depauperata in armonici rispetto al passato, ma il fraseggiatore è come di consueto intelligente. Sufficientemente altero il Ramfis di Vitalij Kowaliow. Ottima la prova dei due giovani allievi dell’Accademia della Scala, Francesca Manzo (una sacerdotessa) e Riccardo Della Sciucca (un messaggero).
Resta da dire di Daniel Oren che, dal podio, propone una lettura in linea con la regia (e con la sensibilità tardo romantica dell’epoca in cui l’opera vide la luce): ricca di sfumature, mollemente decadente nella sensualità dei timbri di archi e legni, impetuosa nei passaggi più trionfali, duttile nel fraseggio, attenta alle ragioni del canto. Di livello, come sempre, la prestazione del coro istruito da Bruno Casoni.
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
AIDA
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re Carlo Colombara
Amneris Violeta Urmana
Aida Krassimira Stoyanova
Radames Fabio Sartori
Ramfis Vitalij Kowaljow
Amonasro George Gagnidze
Sacerdotessa Francesca Manzo
Messaggero Riccardo Della Sciucca
Danzatori:
Akhmet Marta Romagna
Coppia selvaggi Maria Celeste Losa, Mick Zeni
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Franco Zeffirelli ripresa da Marco Gandini
Scene e costumi Lila De Nobili
Luci Marco Filibeck
Coreografia Vladimir Vasiliev ripresa da Lara Montanaro
Allestimento Teatro alla Scala
Milano, 15 maggio 2018