Dimenticare Bellini. E abbandonarsi all’ascolto di una musica bella, colta, a vestire quella che possiamo definire “la” storia d’amore per eccellenza della letteratura universale. Tuttavia, Giulietta e Romeo di Nicola Vaccaj, in scena al Festival della valle d’Itria di Martina Franca, rimanda necessariamente ai Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. E così, Bellini dimenticare non si può. Non solo perché l’autore del libretto è lo stesso, l’ottimo massimo Felice Romani (che proprio a partire da quanto scritto per Vaccaj nel 1825, cinque anni dopo predispose il testo per il catanese), ma soprattutto perché, come tutti i melomani sanno, la celebre Maria Malibran usava sostituire il finale dei Capuleti con quello di Giulietta e Romeo. Tanto che Ricordi, pubblicando la partitura belliniana, incluse in appendice il finale di Vaccaj. Questo avveniva perché il finale di Bellini non venne allora compreso dal pubblico per il suo taglio anticonvenzionale, ma soprattutto dalle primedonne, per il suo marcato antivirtuosismo.
Dunque, a molti di coloro che, come il sottoscritto, hanno ascoltato a Martina Franca per la prima volta l’opera dal vivo, venivano alla mente le parole e la musica del capolavoro belliniano. Tuttavia, la prima riflessione che si impone è che Giulietta e Romeo di Vaccaj è decisamente una bella opera, che meriterebbe di tornare stabilmente in repertorio. Perché, se è vero che Bellini viaggia su un livello superiore per sublime ispirazione lirica, è anche vero che Vaccaj (e Romani con lui) confeziona un lavoro coeso ed efficace dal punto di vista drammaturgico, vario nell’articolazione delle scene, con pagine di ottima fattura musicale e altre decisamente affascinanti (penso al duetto tra i protagonisti del primo atto o a quello tra Giulietta e Lorenzo nel secondo, non senza dimenticare la già citata scena finale). Non mancano brani più convenzionali e moduli compositivi che alludono al rossinismo all’epoca imperante, ma, nel complesso, si tratta di pagine che non compromettono la piena godibilità dell’insieme.
Le linee vocali delineano i personaggi con precisione, secondo una scrittura raffinata, in equilibrio tra cantabilità e virtuosismo, sorretta da un’orchestra che, per quanto nutrita, non sovrasta mai le voci ma sembra quasi respirare col dramma. Peraltro, come sa bene chi studia canto, Vaccaj fu un grande esperto di tecnica vocale e scriveva in modo da aiutare i cantanti anche nei passaggi più rischiosi (nel 1864 Rossini scrisse che “nessuno più di lui ha saputo comporre per le voci umane”).
La ripresa a Martina Franca avviene a 22 anni dal primo tentativo fatto a Jesi, con una importante differenza: qui si sono ascoltati per la prima volta in tempi moderni i recitativi accompagnati al posto di quelli secchi, ritenuti dagli organizzatori più congeniali a un’opera di così profonda intensità drammaturgica. Realizzati per una ripresa scaligera dell’opera nel 1835, i recitativi accompagnati sono stati ricostruiti da Carmen Santoro e dal direttore Sesto Quatrini.
Alla guida dell’orchestra dell’Accademia della Scala, il giovane maestro romano ha mostrato di conoscere bene la partitura e, soprattutto, di amarla. La sua interpretazione si è mossa nel segno di un respiro più romantico che classico, con un’opportuna sottolineatura dei contrasti dinamici e delle finezze timbriche, valorizzando l’afflato lirico e malinconico di tante pagine. Una direzione precisa, teatrale, molto attenta ai cantanti. Che nel complesso erano ottimi.
Magnifica per liliale purezza della linea di canto la Giulietta di Leonor Bonilla, la cui gentile e minuta figura ha contribuito a un’identificazione pressoché totale con la sfortunata eroina. Un ritratto commovente, complice il suo timbro luminoso, esteso, usato con estrema proprietà (stupendi i filati) da un’interprete appassionata ma al contempo controllata. La scrittura vocale di Romeo è forse un po’ troppo bassa per la voce del mezzosoprano Raffaella Lupinacci, che tuttavia ha risolto il ruolo da grande artista qual è trovando accenti e inflessioni sempre coerenti, sia nei recitativi che nei cantabili, con l’aggiunta di una presenza scenica importante. Incisivo il Capellio del tenore Leonardo Cortellazzi, qui nel ruolo del padre “cattivo” di Giulietta, dotato di voce interessante e di bel piglio interpretativo (peccato per alcuni nasaleggiamenti nella sua aria nel secondo atto). Ottimo il Lorenzo del baritono Christian Senn, voce ampia e interpretazione a fuoco, mentre ha deluso il Tebaldo di Vasa Stajkic. Una menzione speciale merita il ruolo di Adele, madre di Giulietta (poi espunto da Bellini per la sua opera), qui affidato a un’interprete di lusso, una Paoletta Marrocu con voce intatta e carisma scenico da vendere. Apprezzabile il contributo del coro del teatro Municipale di Piacenza, istruito da Corrado Casati.
A completare il successo di questa ripresa di “Giulietta e Romeo” ha anche concorso l’allestimento di Cecilia Ligorio, perfettamente in linea con lo spirito del dramma di Vaccaj e, in fondo, di Shakespeare. Un allestimento “tradizionale”, direbbe qualcuno, se questo aggettivo non suscitasse le solite reazioni contrastanti tra sostenitori delle sperimentazioni più ardite e sdegnati sacerdoti del passato. Dunque, cosa significa in questo caso tradizionale? Quel che si è detto: uno spettacolo che restituisce lo spirito più autentico di una vicenda senza tempo che tutti conosciamo e amiamo, accarezzando anche le aspettative del pubblico, ma senza per questo cadere nella banalità. Tutt’altro. Costruendo invece un’azione scenica coerente, intelligente e varia, grazie anche ai magnifici costumi di Giuseppe Palella, alle luci di Luciano Novelli e all’impianto scenografico semplice ma funzionale di Alessia Colosso, che si lega armonicamente all’architettura del Palazzo ducale.
Un grande muro taglia in obliquo la scena ed è quel muro di Verona evocato da una celebre citazione del testo shakespeariano (“There is no world without Verona walls, / But purgatory, torture, hell itself”). Questo muro segna lo spazio dell’incontro e della separazione, del conflitto e della consolazione, dell’amore e della morte. Vi si affaccia, da un lato, la camera dalla quale Giulietta assiste allo svolgersi delle vicende. Quella stessa camera che, nel secondo atto, con una originale intuizione, diventa anche tomba della protagonista. Qui, poi, la regista decide di far entrare sei figuranti abbigliati come grigie statue che vanno a comporre un quadro cimiteriale di singolare potenza iconica, sfondo quasi foscoliano al consumarsi del dramma.
44° Festival della Valle d’Itria
GIULIETTA E ROMEO
Dramma in due atti di Felice Romani
Musica di Nicola Vaccaj
Revisione sull’autografo di Ilaria Narici e Bruno Gandolfi
Capellio Leonardo Cortellazzi
Giulietta Leonor Bonilla
Romeo Raffaella Lupinacci
Adele Paoletta Marrocu
Tebaldo Vasa Stajkic
Frate Christian Senn
Orchestra Accademia Teatro alla Scala
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia Cecilia Ligorio
Scene Alessia Colosso
Costumi Giuseppe Palella
Luci Luciano Novelli
Martina Franca, Palazzo ducale, 31 luglio 2018