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Genova, Teatro Carlo Felice – La rondine

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E così con la primavera astronomica che, come tutti sappiamo, è salutata dal ritorno delle rondini, è arrivata sulle scene del Teatro Carlo Felice di Genova anche La rondine. Tempistica astronomica rispettata, ma pur sempre tardiva: la commedia lirica di Puccini avrebbe dovuto inaugurare la passata stagione della Fondazione genovese, costretta all’epoca a un rinvio sulle cui motivazioni sarebbe inutile e sterile insistere. L’opera mancava da Genova da moltissimo tempo: nella cronologia riportata sul programma di sala si rinviene un solo precedente nel lontano 1917, anno della prima esecuzione assoluta. Ben venga dunque la riproposta di un titolo che sarebbe ingiusto considerare un caposaldo del teatro musicale, ma che non merita l’oblio e la scarsa attenzione che da sempre lo circonda. La rondine è opera di buona fattura in cui Puccini dimostra di conoscere bene il proprio mestiere, di dominare l’arte dell’orchestrazione e della timbrica, di sapere tenere presenti i ritmi e i balli più in voga all’epoca della composizione, di saper confezionare un lavoro capace di intrattenere piacevolmente il pubblico. E se il segreto per apprezzare fino in fondo La rondine stesse proprio nell’evitare troppe aspettative? Se consistesse nella volontà dell’ascoltatore di abbandonarsi a timbriche, a melodie, a ritmi, ora leggeri, ora ironici, ora spensierati, ma senza la pretesa di trovare il capolavoro misconosciuto? Insomma, speriamo che il pubblico genovese non debba aspettare altri cento anni per la prossima produzione.

In ogni caso l’operazione Rondine realizzata a Genova desta qualche perplessità. In primo luogo per la scelta della versione: il programma di sala parla espressamente di “seconda versione” dell’opera, quella che Puccini avrebbe rappresentato prima a Palermo e poi a Vienna nel 1920 e che, oltre al passaggio del ruolo di Prunier alla corda baritonale e all’inserimento di un’aria nel primo atto per il personaggio di Ruggero, vede una modifica sostanziale del finale, in cui Magda convinta da Prunier, abbandona Ruggero per tornare alla vita di mantenuta parigina, senza alcun struggente addio nei confronti del baldo giovinotto tanto profumato di lavanda. L’allestimento genovese presenta l’aria di Ruggero nel primo atto (“Parigi è la città dei desideri”), ma per il resto mantiene intatte le caratteristiche della prima versione: il poeta Prunier tenore rimane e il finale dell’opera è quello che si conosce, con la lettura della lettera della madre che consente al matrimonio e il conseguente abbandono di Magda che sente di non essere tagliata per la vita della buona madre di famiglia.
Lascia perplessi anche l’allestimento che per espressa ammissione del regista, Giorgio Gallione, è costruito «tematicamente e scenograficamente sullo stesso impianto scenico della Traviata presentata nella scorsa stagione, a ribadirne una simmetria narrativa spietata e affascinante». Il regista e i suoi collaboratori (Guido Fiorato per scene e costumi e Luciano Novelli per le luci), spostano la scena dal Secondo Impero francese a una dimensione tutto sommato atemporale, ma molto vicina ai giorni nostri, quasi a voler sottolineare che viviamo nell’era della volgarità e del kitsch. Nelle note di regia, Gallione espone la sua visione dell’opera: «Inquieto affresco che dipinge un mondo di persone infelici, irrisolte, depresse, che calzano una maschera sociale di falsa, frivolezza, futile e ambigua»: infelicità, irresolutezza, depressione che traspaiono in particolare da un gesto di Magda che non conclude la canzone di Doretta con l’espressione dell’estasi di un amore passato e rimpianto, ma rompendo un calice di cristallo sbattendolo a terra con gesto rabbioso. Le intenzioni registiche sono realizzate calcando la mano sull’aspetto cromatico: dominano infatti colori violenti, quasi ossessivi, luci accecanti. È una linea che ha indubbiamente una sua coerenza e forse anche un fondo di verità. Ci sono eccessi: come l’enorme mezza luna luminescente che scende dal soffitto del salotto e sulla quale Magda si accomoda per poi essere elevata a cantare la canzone di Doretta, con tanto di pioggia di coriandoli; o come l’albero abbattuto, bianco e gelido, simbolo di morte e di distacco, ripreso appunto dall’allestimento di Traviata. L’atto del Bal Bullier spinge luce e colori all’eccesso estremo, risultando infine troppo pesante, troppo carico, pur essendo innegabile la maestria nel movimento dei personaggi e nella gestualità dei danzatori. Ma la perplessità maggiore è la mancanza di leggerezza, di charme, di souplesse che l’opera di Puccini ha in sé e che da questo allestimento traspare poco o nulla.

Alvise Casellati dirige con impeto e con intenzioni interessanti, anche se qualche colore e qualche chiaroscuro in più non guasterebbe. La mano si dimostra sufficientemente sicura nel complesso secondo atto, in cui il maestro non perde la quadra della situazione, mentre si deve notare qualche scompenso tra buca e palcoscenico soprattutto nel primo atto, in cui si percepisce una dinamica non proprio a fuoco. Mancano, forse per scelta consapevole e in accordo con la messa in scena, quella leggerezza e quella levità che la partitura richiederebbe. Professionale, come al solito, il coro diretto da Franco Sebastiani.

Sufficiente, ma senza punte di eccellenza, la compagnia di canto. La prova di Elena Rossi, nel ruolo di Magda de Civry, è in crescendo: dopo un primo atto che lascia perplessi in particolar modo per la gamma acuta piuttosto spinta, la sua Magda trova buoni accenti nel secondo atto e in particolar modo nel terzo, con un finale di buona suggestione. Il tenore Arturo Chacón-Cruz ha indubbiamente figura e timbro per la parte di Ruggero Lastouc, che affronta con appropriatezza e buon fraseggio: gli acuti sono un po’ troppo “sparati”, ma con qualche aggiustamento potrebbe risultare un buon Ruggero. Giuliana Gianfaldoni, Lisette, sfoggia un luminosissimo e facile registro acuto, mentre la zona grave risulta piuttosto arretrata e quasi costantemente coperta dall’orchestra; Marius Brenciu ricopre il ruolo di Prunier con esperienza e con buoni risultati sia sul piano vocale sia su quello scenico. Numerosi i ruoli di contorno sostenuti con professionalità da tutti gli interpreti: Stefano Antonucci, Giuseppe De Luca, Didier Pieri, Davide Mura, Marta Leung, Marina Ogii, Loris PurpuraFrancesca Benitez. La coreografia di Giovanni Di Cicco e il gruppo di mimi e danzatori Deos, seguono con coerenza le idee del regista e conferiscono alla scena del Bal Bullier il giusto sapore della trasgressione.
Presenza in sala di una folta compagine di autorità locali e nazionali, ma anche molti posti vuoti. Il pubblico ha tributato un discreto successo senza punte di autentico entusiasmo.

Teatro Carlo Felice – Stagione lirica 2017/2018
LA RONDINE
Commedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Adami
Musica di Giacomo Puccini

Magda Elena Rossi
Lisette Giuliana Gianfaldoni
Ruggero Arturo Chacón-Cruz
Prunier Marius Brenciu
Rambaldo Stefano Antonucci
Périchaud Giuseppe De Luca
Gobin Didier Pieri
Crébillon Davide Mura
Yvette/Georgette Francesca Benitez
Bianca/Gabriella Marta Leung
Suzy/Lolette Marina Ogii
Un maggiordomo Loris Purpura
Un cantore Francesca Benitez

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Alvise Casellati
Maestro del coro Franco Sebastiani
Regia Giorgio Gallione
Scene e costumi Guido Fiorato
Luci Luciano Novelli
Coreografia Giovanni Di Cicco
Mimi/danzatori Deos
Nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova
Genova, 25 marzo 2018

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