Dopo aver indagato la libertà dell’artista in Cardillac, e quella dei popoli con La battaglia di Legnano, l’81° Festival del Maggio Musicale Fiorentino prosegue con una delle opere più claustrofobiche del Novecento italiano: Il prigioniero di Luigi Dallapiccola, composto a cavallo della seconda guerra mondiale e che proprio a Firenze ebbe la sua prima mondiale in forma scenica nel 1950. Il concetto stesso di libertà, con tutte le sue contraddizioni, diventa motore di tutta l’azione; il protagonista infatti anela a uscire dal carcere ma nel profondo sa benissimo che ciò non è possibile, rifugiandosi così in una illusione rappresentata dall’ambiguo rapporto col carceriere, che sarà la sua vera condanna, prima del grande e spiazzante interrogativo finale.
Per questa sua sesta comparsa nel capoluogo toscano, si è scelto di abbinare l’opera di Dallapiccola ai Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi, in una nuova produzione firmata dal coreografo Virgilio Sieni, con le scene e i costumi di Giulia Bonaldi, le luci di Mattia Bagnoli, e la presenza fissa dei danzatori della Compagnia Virgilio Sieni. I due lavori formano insieme un dittico della sofferenza laica e sacra giocato su una contrapposizione visiva tra i due pezzi.
Il prigioniero è infatti ambientato in un vasto spazio vuoto e oscuro, eccetto un muro di fredde mattonelle sporche che emerge nella terza scena, mentre prologo e finale si svolgono al proscenio davanti a un velario calato sul quale vengono proiettate ombre e giochi di luce che veicolano un’idea di lontananza ovattata. I personaggi rappresentano delle sorte di archetipi: la madre è a metà tra una divinità ctonia e una Maddalena penitente di Donatello, il prigioniero un novello Cristo pierfrancescano, che incarna su di sé un dramma individuale elevato a paradigma di tutte le sofferenze e i soprusi del mondo, mentre il carceriere è l’aguzzino per eccellenza, vestito solamente di un lungo grembiule nero. L’azione viene dipanata in movimenti coreografici fluidi in cui gli interpreti sono sempre accompagnati da uno o più danzatori; il tutto sembra sospeso in un liquido dalla densità cangiante. Anche se l’inizio appare poco incisivo nella reiterazione di movimenti apparentemente fini a se stessi, non mancano momenti di grande efficacia teatrale, come tutta la scena ambientata di fronte al muro, in cui il protagonista mostra sofferente gli effetti delle piaghe della carne da lui cantati, fino a quando i danzatori non lo sollevano in alto come in una moderna Crocifissione.
A questo ambiente freddo e senza speranza si contrappone la nitidezza dei Quattro pezzi sacri. In un bianco spazio illuminato da luci calde, il coro su una pedana nella classica posizione da concerto assiste e commenta, attraverso il canto e i gesti, il dramma degli ultimi inscenato da danzatori argillosi, terragni come le statue dei Compianti emiliani di Niccolò dell’Arca e Antonio Begarelli. Tra giubbetti di salvataggio, passeggini, e un gommone, questi sembrano ripercorrere il viaggio dei migranti al centro delle cronache ormai da anni, come se la Passione di Cristo cantata venisse replicata innumerevoli volte nelle esperienze dei singoli che ci circondano. Il coro nelle sue candide vesti ricorda una schiera angelica lontana dall’eventuale intervento, o la semplice comunità che commenta i fatti come nel teatro classico.
L’esito di questo dittico è uno spettacolo di forte impatto visivo, che difficilmente lascia lo spettatore indifferente, nonostante il simbolismo gestuale perennemente oscillante tra il criptico e il didascalico, memore di alcune acclamate produzioni di Romeo Castellucci.
Al posto del previsto Zubin Mehta, Michael Boder arriva a dirigere un’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino piuttosto in forma. Il direttore tedesco imprime un andamento energico e spigoloso a Dallapiccola, tutto teso a cercare gli aspetti avanguardistici, dimenticandosi in buona parte il tardoromanticismo di cui è imbevuta la partitura. Tuttavia l’obiettivo è perseguito e centrato con proprietà, in una lettura analitica che sfiora il virtuosismo, ma che arriva a infondere anche una certa teatralità nella seconda parte dell’opera. Boder riesce inoltre a sostenere le voci e a respirare con loro, nonostante il suono aguzzo e tagliente creato. I Quattro pezzi sacri sono invece eseguiti con correttezza e una ricerca di maestosità che punta molto sui grandi suoni tesi a marcare la terribilità michelangiolesca di alcuni passaggi. Pur nella buona coesione di insieme, manca una ricerca delle sfumature per rendere l’esecuzione più morbida e meno tonante. Il coro, preparato da Lorenzo Fratini, ben si disimpegna in tutti i suoi momenti, fornendo un’ottima prova soprattutto nello Stabat Mater.
Il cast offre invece prestazioni oscillanti. Nel Prigioniero, Levent Bakirci si cala nei panni del protagonista con uno strumento non dirompente, ma duttile e appropriato. Pur essendo un po’ affaticato nel finale, soprattutto quando la scrittura si fa più impervia, costruisce un personaggio interessante grazie al buon fraseggio e alla varietà dei colori. La dizione e il conseguente scavo della parola italiana rimangono perfettibili, ma ciò non scalfisce una prova convincente, anche a fronte del notevole impegno fisico e scenico richiesto.
Anna Maria Chiuri affronta il ruolo della Madre con un mezzo non cristallino e una linea poco omogenea. Gli acuti suonano inoltre un po’ al limite, ma l’interprete si distingue soprattutto per la creazione del personaggio attraverso un fraseggio accurato. John Daszak fornisce una prestazione sfocata nell’ambivalente ruolo di Carceriere e Grande Inquisitore. La voce passa l’orchestra con fatica e gli acuti risultano appannati. Il tenore cerca di sostenere una scrittura che non sembra appartenergli del tutto, vanificando così anche eventuali buone intenzioni interpretative. Ben centrate le prestazioni di Antonio Garés e Adriano Gramigni nei loro brevi ruoli di Sacerdoti. Buona, nel Te Deum dei Quattro pezzi sacri, anche la prova del soprano solista Thalida Marina Fogarasi.
Il pubblico della prima tributa alla fine applausi convinti, manifestando tuttavia qualche dissenso verso i responsabili della messa in scena.
Teatro del Maggio – 81° Maggio Musicale Fiorentino
IL PRIGIONIERO
Un prologo e un atto
Libretto e musica di Luigi Dallapiccola
La madre Anna Maria Chiuri
Il prigioniero Levent Bakirci
Il carceriere/Il Grande Inquisitore John Daszak
Primo sacerdote Antonio Garés
Secondo sacerdote Adriano Gramigni
QUATTRO PEZZI SACRI
Per coro e orchestra
Musica di Giuseppe Verdi
Soprano solista Thalida Marina Fogarasi
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Compagnia Virgilio Sieni
Direttore Michael Boder
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia e coreografia Virgilio Sieni
Scene e costumi Giulia Bonaldi
Luci Mattia Bagnoli
Nuovo allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 19 giugno 2018