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Festival di Salisburgo 2018 – L’italiana in Algeri

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A partire dal 2012 il Salzburger Festspiele ripropone ogni estate, in piena sintonia con il direttore artistico della kermesse, una coproduzione con la sezione di Pentecoste del festival salisburghese. Dopo Giulio Cesare in Egitto, Norma, La Cenerentola, Iphigénie en Tauride, West Side Story e Ariodante, quest’anno la scelta è ricaduta su L’italiana in Algeri, in occasione del centocinquantesimo anniversario di morte di Gioachino Rossini, andata in scena con successo alla Haus für Mozart.

Protagonista indiscussa, nei panni di Isabella, è il direttore del Pfingsten Festspiele, l’italiana a Salisburgo: Cecilia Bartoli. In possesso di una vocalità ben proiettata, luminosa nel registro acuto, vigorosa e incisiva in quello medio-grave, il mezzosoprano si distingue per l’estrema facilità con la quale sciorina colorature, nonché per la raffinata sensibilità musicale. L’interprete è, poi, magnetica e trascinante, un vero animale da palcoscenico in grado di rendere appieno le sfaccettature del personaggio, regalando di volta in volta un’Isabella caparbia, ironica, civettuola e sensuale. Sin dalla cavatina “Cruda sorte! Amor tiranno!”, la Bartoli esibisce con gusto, nei da capo, fantasiose variazioni; colpisce, infine, la pregnanza del fraseggio, come emerso in particolare nel recitativo e rondò “Amici, in ogni evento […] Pensa alla patria”. Accanto a lei, il Mustafà del basso Ildar Abdrazakov emerge per uno strumento vocale debordante, corposo e di pasta scura, saldo nell’emissione e tonante nelle note alte, come pure per la buona tenuta dei fiati. Ineccepibile la dizione e curata e disinvolta la recitazione: l’artista russo dà vita a un bey volutamente macchiettistico, un sempliciotto bonario e pasticcione, soggiogato dal fascino della bella italiana. Edgardo Rocha veste con scioltezza i panni di Lindoro. Sebbene la voce, emessa con grazia e timbricamente cristallina, non sia voluminosa, corre bene nella sala; scenicamente credibile e agile, il tenore uruguayano delinea uno schiavo fresco ed eccentrico, a suo agio nella cavatina “Languir per una bella”. Di forte impatto teatrale risulta il Taddeo di Alessandro Corbelli. In possesso di una vocalità baritonale di colore chiaro, omogenea nei vari registri e morbida nell’emissione, Corbelli dipinge un cicisbeo buffo ma mai grottesco o sopra le righe, convincente nell’aria “Grazie: obbligato. Ho un gran peso sulla testa”, dove primeggia per la naturalezza nel sillabato. Puntuta e penetrante in acuto l’Elvira del soprano Rebeca Olvera, non sempre a fuoco nella dizione; centrato l’Haly del basso José Coca Loza, dallo strumento pastoso; corretta la Zulma di Rosa Bove. Puntuali gli interventi del Philharmonia Chor Wien, guidato da Walter Zeh.

Come spesso accade con la Bartoli, vengono proposte soluzioni atipiche e filologiche, con l’utilizzo di strumenti antichi; in quest’occasione, in buca suona l’Ensemble Matheus. Con mano sapiente e gesto sicuro, Jean-Christophe Spinosi ottiene, dalla valida compagine orchestrale, sonorità vaporose e ovattate, screziate nelle tinte e mai soverchianti. L’agogica è poi variegata; propendendo perlopiù per tempi rapinosi, scattanti e briosi, per meglio rendere l’idea di “follia organizzata” di stendhaliana memoria, in alcuni casi Spinosi opta per tempi maggiormente dilatati, in special modo durante la cavatina “Per lui che adoro”, facendo così emergere alla perfezione il languore che permea il brano.

Il duo registico Moshe Leiser e Patrice Caurier collabora da anni con Cecilia Bartoli, firmando spettacoli più o meno riusciti (basti ricordare la frizzante edizione zurighese del 2012 de Le Comte Ory o, a Salisburgo, la struggente Norma del 2013 e la discutibile Iphigénie en Tauride del 2015). Con l’ausilio di Christian Fenouillat (scene), Agostino Cavalca (costumi), Christophe Forey (luci), Étienne Guiol (video) e Christian Arseni (drammaturgia), la vicenda è trasposta nell’Algeria dei giorni nostri. Con abile perizia tecnica sul palcoscenico si susseguono, di volta in volta, la camera da letto, il salotto di Mustafà e un vivace spaccato di un rione popolare di Algeri, con la veduta di un condominio con panni stesi e parabole sui terrazzi. Nell’ottica dei due registi, Mustafà è un maschilista panciuto, un malavitoso rozzo e sciatto, trasandato nel vestire (spesso è in scena con canottiera, slip, calzini bianchi e ciabatte), a capo di un clan di criminali che, tra le altre cose, rubano elettrodomestici; Lindoro è un giovane rasta stravagante e anticonformista che fuma spinelli e fa le pulizie nella casa del bey; Taddeo è visto come il tipico turista in camiciola, sandali e calze: fin qui, nulla di scandaloso. Leiser e Caurier calcano, però, troppo la mano in direzione di un’ironia greve e grossolana, ben accolta dal pubblico presente in sala, sovraccarica di gag e banali luoghi comuni: a titolo esemplificativo, durante l’ouverture una vogliosa Elvira tenta di sedurre sotto le coperte il reticente marito, mentre sopra di loro vediamo il cartone animato di due cammelli innamorati che copulano; Isabella entra in scena in groppa a un dromedario affetto da problemi di aerofagia; gli schiavi italiani sono vestiti come la nazionale di calcio e mangiano spaghetti mentre la protagonista intona “Pensa alla patria”. Non mancano, tuttavia, idee simpatiche: Haly canta la sua aria da sorbetto “Le femmine d’Italia” contemplando la proiezione della celeberrima scena della Fontana di Trevi tratta dal film La dolce vita (una domanda sorge però sua sponte: con tutte le bellezze cinematografiche italiane dell’epoca, perché sceglierne una scandinava?); nel finale, Isabella e Lindoro a bordo di una nave imitano spiritosamente Jack e Rose nella clip della prua di Titanic.
Teatro esaurito e prolungato successo al calor bianco per tutti gli interpreti, con punte di maggiore entusiasmo per Cecilia Bartoli.

Salzburger Festspiele 2018
L’ITALIANA IN ALGERI
Dramma giocoso per musica su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini

Isabella Cecilia Bartoli
Mustafà Ildar Abdrazakov
Lindoro Edgardo Rocha
Taddeo Alessandro Corbelli
Haly José Coca Loza
Elvira Rebeca Olvera
Zulma Rosa Bove

Ensemble Matheus
Philharmonia Chor Wien
Direttore Jean-Christophe Spinosi
Maestro del coro Walter Zeh
Regia Moshe Leiser, Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Video Étienne Guiol
Drammaturgia Christian Arseni
Salisburgo, Haus für Mozart, 16 agosto 2018

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