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Bologna, Teatro Comunale – Dialogues des Carmélites

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Opera quanto mai dirompente, foriera di messaggi sociali e umani di preponderante forza, Dialogues des Carmélites indaga la realtà, da sempre oggetto di curiosità, della vita claustrale con l’ulteriore declinazione, in questo caso, dei rapporti con la politica rivoluzionaria francese. Lo spirito critico di Francis Poulenc coglie le innumerevoli sfumature psicologiche offerte dall’estremo lascito artistico di Georges Bernanos il cui testo deriva direttamente da una novella di Gertrude von Le Fort e da una sceneggiatura di Philippe Agostini e Raymond Bruckberger.
L’iniziale idea proposta da Casa Ricordi per un balletto cede presto il passo alla più ampia concezione operistica, percorso privilegiato per il linguaggio, innestato nella tradizione, dell’autore francese. I tormenti della protagonista, combattuta tra il dover vivere in un mondo prossimo alla catastrofe, ormai movimentato da cambiamenti sempre più rapidi, e l’abnegazione di sé, in una incessante e sofferta ricerca della redenzione, della grazia e del superamento delle paure umane, offrono al compositore il tema ideale sul quale costruire l’impalcatura sonora destinata a evidenziare il contrastante clima emotivo. I dialoghi, in cui prendono forma le inquietudini delle consorelle, lasciano spiragli aperti sui molteplici significati del testo, con interrogativi profondi sul senso dell’esistenza e sulle scelte irrazionali.

In questa direzione si muovono le scene di Pierre-André Weitz, curatore anche dei costumi, che dematerializza lo spazio cercando nei vuoti quei significati profondi espressi dai silenzi musicali e dalle riflessioni testuali. Non c’è una precisa collocazione temporale, in particolare per la fattura delle vesti, ma l’ambientazione persegue un linguaggio lineare dove riflessione e ascetismo hanno un forte riscontro visivo. Tra i momenti più suggestivi ed emozionanti vanno registrati il quarto quadro del primo e del terzo atto. L’agonia della Priora, che nel delirio mette in discussione la sua fede e profetizza un futuro granguignolesco, proietta lo spettatore direttamente all’interno della scena, e precisamente nell’infermeria del convento. Il letto, il comodino e la sedia, giacciono su un piano perpendicolare al palcoscenico, trovata tecnica di profondo impatto che al senso di straniamento abbina un forte fascino. Ugualmente il finale, con il lento percorso verso il supplizio, accompagnato dall’intonazione del Salve Regina, culmina nell’esecuzione capitale sullo sfondo di un cielo stellato pronto ad accogliere le anime delle religiose.
Le fascinazioni iconografiche legate all’arte sono numerose: in particolare, durante gli interludi orchestrali, le monache si predispongono in scena, con alcune sagome (riconoscibili l’agnello, la colomba, i gigli, il teschio di Adamo), a ricreare l’annunciazione, la natività, la Madonna col bambino, l’ultima cena e la crocifissione. Le luci di Bertrand Killy, molto accurate, colgono con sagacia gli aspetti legati al credo cristiano. Su tutti s’impone la mano acuta di Olivier Py. La sua visione registica è improntata allo scavo psicologico, attraverso le molteplici sfumature offerte da testo e musica. Anche nei gesti più contenuti si legge il tormento profondo, dovuto alla riflessione incessante, e la serenità al cospetto della morte. Le scritte tratteggiate sulle pareti mobili, Liberté en Dieu ed Égalité devant Dieu, sono un’ulteriore messaggio del profondo dissidio, creatosi sul finire del XVIII secolo, tra Stato e Chiesa. Py offre la propria lettura di questa profonda frattura sociale, come anche delle controversie interne al monastero, ma lascia le varie possibili interpretazioni, favorite dal testo, agli spettatori che sono chiamati in causa dalle sofferenze descritte in scena.

In questo senso si muove anche la concertazione di Jérémie Rhorer. Il direttore, forte della propria attività compositiva, scruta a fondo la partitura di cui coglie le più sottili increspature. Il rarefatto clima monastico, con i suoni legati alle funzioni religiose, la solitudine portata al costante confronto e scontro con le proprie debolezze, trovano, nella sua concertazione, un perfetto equilibrio tra tensione espressiva e repentina distensione ultraterrena, caratteristiche che pervadono la partitura di Poulenc fin dal principio, in un continuo crescendo smorzato solo dall’ascetica conclusione. Lo assecondano l’ottima e attenta Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, compatta nel dar corpo alle pulsioni della partitura, e il Coro, preparato con dovizia da Andrea Faidutti.

Nonostante l’annuncio iniziale di una lieve indisposizione, Hélène Guilmette affronta senza evidenti difficoltà il ruolo di Blanche de la Force. La limpida linea canora assicura un solida empatia con gli interrogativi esistenziali, senza tralasciare il sottile nervosismo che pervade la scrittura a lei affidata. La vocalità rotonda, brunita e scolpita di Sylvie Brunet conferisce alla Priora Madame de Croissy quella statura imponente, ma pervasa da dubbi interiori, che ben coglie le caratteristiche ancien régime della sua devozione, messa in discussione, alla soglia della morte, dall’imminente stravolgimento storico-politico.
Qualche ruvidezza d’emissione, specie nell’ascesa all’acuto, è percepibile in Sophie Koch, pur efficace per fraseggio accurato e controllo dei mezzi, e Marie-Adeline Henry. La prima, interprete di Mère Marie de l’Incarnation, è del tutto credibile in scena, tanto nell’icastica rappresentazione delle rigide norme monastiche, quanto nel repentino turbamento di fronte alla libertà, in seguito alla soppressione degli ordini clericali. La seconda è del pari attendibile nei panni della nuova Priora, Madame Lidoine.
Sandrine Piau, Soeur Constance, mette al servizio della scrittura di Poulenc la sua raffinata preparazione barocca che le consente di accostare con convinzione il carattere semplice, ma mosso da fede incrollabile, della giovane religiosa. La naturalezza attoriale contribuisce a dare rilievo alla sua interpretazione, basata sulle riflessioni proposte da testo e narrazione.
Sul versante maschile si impone il Chevalier de la Force di Stanislas de Barbeyrac, tenore attento alle sfumature e sicuro in scena. Valida la prova di Nicolas Cavallier, nonostante alcune forzature nel canto, e convincenti gli interventi di Loïc Félix, L’Aumônier du Carmel. Egregie le prestazioni di Matthieu Lécroart nelle vesti di Le Geôlier / Thierry / Javelinot, Sarah Jouffroy, Mère Jeanne, Lucie Roche, Soeur Mathilde, e dei due commissari Jérémie Duffau e Arnaud Richard.
L’attenzione del pubblico, emotivamente partecipe durante l’intera serata, è comunicata al termine con applausi convinti e prolungati per questa coproduzione (Théâtre des Champs-Élysées, Parigi e La Monnaie, Bruxelles) che fa uscire da teatro arricchiti, come troppo raramente accade.

Teatro Comunale – Stagione d’opera 2018
DIALOGUES DES CARMÉLITES
Opera in tre atti e dodici quadri dalla pièce di Georges Bernanos,
adattata con l’autorizzazione di Emmet Lavery,
basata su una novella di Gertrude von Le Fort
e una sceneggiatura di Philippe Agostini e Raymond Bruckberger
Musica di Francis Poulenc

Le Marquis de la Force Nicolas Cavallier
Blanche de la Force Hélène Guilmette
Le Chevalier de la Force Stanislas de Barbeyrac
L’Aumônier du Carmel Loïc Félix
Le Geôlier / Thierry / Javelinot Matthieu Lécroart
Madame De Croissy Sylvie Brunet
Madame Lidoine Marie-Adeline Henry
Mère Marie Sophie Koch
Soeur Constance Sandrine Piau
Mère Jeanne Sarah Jouffroy
Soeur Mathilde Lucie Roche
1er Commissaire Jérémie Duffau
2ème Commissaire Arnaud Richard

Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Jérémie Rhorer
Maestro del coro Andrea Faidutti
Regia Olivier Py
Scene e costumi Pierre-André Weitz
Luci Bertrand Killy
Coproduzione Théâtre des Champs-Élysées, Paris e La Monnaie, Bruxelles
Bologna, 14 marzo 2018

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