Un esordio frizzante sul palcoscenico operistico. Il debutto teatrale di Gaetano Donizetti, Enrico di Borgogna, applaudita al Teatro Vendramin San Luca di Venezia esattamente duecento anni fa, è uno dei due titoli (l’altro è il più maturo Castello di Kenilworth) del festival Donizetti Opera in corso a Bergamo. Si tratta di un’opera semiseria, un lavoro godibile, animato da una freschezza melodica e da una indubbia padronanza tecnica nella scrittura, naturalmente debitrice dei modelli all’epoca imperanti, ossia Rossini, ma soprattutto Mayr, che di Donizetti fu maestro e che probabilmente fece da tramite per questa prima scrittura. Anche se la strada che portava alla Fenice era ancora lunga, Venezia costituiva ancora nei primi decenni dell’Ottocento il grande miraggio di un operista esordiente. Su un non eccezionale libretto di Bartolomeo Merelli, anche lui alla scuola di Mayr prima di diventare celebre impresario alla Scala e a Vienna, l’opera debuttò con successo il 14 novembre 1818. L’ingarbugliata vicenda parla di figli perduti e ritrovati, di troni contesi, di nozze interrotte ed altre celebrate, con tanto di lieto fine e coronamento del sogno d’amore dei protagonisti Enrico ed Elisa. La Gazzetta privilegiata del 19 novembre parlò di uno “spettacolo superbo” e aggiunse: “Novello, se non nuovo il cosiddetto poeta; nuovo affatto il compositore, che, di buoni talenti provvisto, si cimenta ora per la prima volta in questi ardui lavori”. Un riconoscimento importante per il maestro Donzelletti (così storpiato il nome appariva negli avvisi…).
L’allestimento bergamasco è nel complesso felice, affidato alla vivace regia di Silvia Paoli e alla direzione di Alessandro De Marchi, alla guida dell’Academia Montis Regalis, compagine che fa uso di strumenti antichi. Scelta, quest’ultima, che il nuovo direttore musicale del festival Riccardo Frizza conferma anche per i prossimi anni, nell’intento di restituire all’ascolto del pubblico di oggi sonorità quanto più vicine a quelle originali. Si tratta di un proposito lodevole, che tuttavia può generare qualche perplessità nell’ascoltatore per l’effetto di straniamento che certe scelte dinamiche e agogiche, abitualmente associate al Barocco, causano quando sono applicate a un repertorio che ai nostri orecchi suona “romantico”. Ciò detto, al netto di qualche imprecisione nell’intonazione, la lettura offerta da De Marchi alterna momenti di tensione ad altri nei quali i tempi si distendono notevolmente; il direttore, poi, tiene sempre bene il contatto col palcoscenico, riuscendo a sostenere adeguatamente i cantanti.
Nel cast, brillano per temperamento, precisione e stile le due primedonne: Anna Bonitatibus, protagonista en travesti nei panni di un amoroso e volitivo Enrico, e l’amata Elisa interpretata da una elegante Sonia Ganassi, la cui pasta vocale più chiara ben si sposa con il timbro scuro di Bonitatibus. Autorevole e convincente il Gilberto di Luca Tittoto, che ha bella voce ampia e profonda di basso, mentre i due tenori, sebbene molto diversi, peccano entrambi di eccessiva leggerezza: il Pietro di Francesco Castoro, dalla voce tonda nei centri, e il giovane Levy Sekgapane, agilissimo e molto chiaro. Ottimo per colore e interpretazione il Brunone di Lorenzo Barbieri, così come molto bravi sono Matteo Mezzaro (Nicola) e Federica Vitali (Gertrude).
Piace e diverte l’impostazione registica di Silvia Paoli che ricorre all’espediente del “teatro nel teatro” senza tuttavia essere prevedibile. L’idea è semplice ed efficace: una strampalata compagnia allestisce proprio al Teatro San Luca l’Enrico di Borgogna, con tanto di palco girevole, attorno al quale, tra quinte e scena, si svolge l’azione, condita con simpatiche trovate (un orso ammaestrato che interagisce con i personaggi, le “aurette” evocate dal canto ottenute con nastri agitati da mimi, che poi, scuotendo lunghe lenzuola, ricreano un effetto mare…). Non mancano i fondali dipinti calati dall’alto, le pose affettate del teatro tardo barocco, nonché intelligenti riferimenti al momento storico in cui l’opera va in scena, con il coro in veste carbonara che contesta l’austriaco oppressore. Contributo importante alla resa complessiva lo conferiscono le scene fiabesche di Andrea Belli, i bellissimi costumi di Valeria Donata Bettella e le luci cangianti di Fiammetta Baldiserri. Ottimo anche l’apporto del coro Donizetti Opera, istruito da Fabio Tartari. Vivo il successo di pubblico, giusto riconoscimento per un festival che, finalmente, sembra avere imboccato la strada giusta.
Teatro Sociale – Donizetti Opera 2018
ENRICO DI BORGOGNA
Melodramma per musica di Bartolomeo Merelli
Musica di Gaetano Donizetti
Revisione critica a cura di Anders Wiklund (2018)
Enrico Anna Bonitatibus
Pietro Francesco Castoro
Elisa Sonia Ganassi
Guido Levy Sekgapane
Gilberto Luca Tittoto
Brunone Lorenzo Barbieri
Nicola Matteo Mezzaro
Geltrude Federica Vitali
Academia Montis Regalis
Coro Donizetti Opera
Direttore Alessandro De Marchi
Maestro del coro Fabio Tartari
Regia Silvia Paoli
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento e produzione della Fondazione Teatro Donizetti in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
Bergamo, 23 novembre 2018