Tutto si può dire di Tosca, tranne che sia un’opera di ardua decifrazione. Ogni particolare è previsto e scritto in partitura. Basandosi sulla pièce di Sardou, che mescola dramma storico e intrigo da giallo d’azione, colpi di scena da thriller psicologico ed effetti grand guignol, Giacomo Puccini compie un miracolo di genialità sinfonica e montaggio teatrale. Mette a punto un melodramma violento, fosco dall’inizio alla fine, condotto con ritmo rapido e coinvolgente. Un racconto incalzante e moderno che, sulla scia della Fedora di Giordano (sempre da Sardou), introduce nel teatro lirico l’intreccio poliziesco e un linguaggio quasi cinematografico.
Giovanni Agostinucci, regista, scenografo e costumista dell’allestimento realizzato per la Fondazione Arena nel 2004 e riproposto in questi giorni al Teatro Filarmonico (fino al 30 marzo), sembra invece non avere molta fiducia nelle indicazioni di Puccini. Ricordo che, all’epoca del debutto, le numerose incongruenze e trovate di cui lo spettacolo era disseminato suscitarono vivaci contestazioni da parte del pubblico veronese. Questa volta nessuna protesta: alla “prima” tutto è filato liscio, anche perché Agostinucci ha apportato alla messinscena alcuni aggiustamenti che, per esempio, hanno reso meno ridicoli certi risvolti sadomaso e fetish connessi al personaggio di Scarpia. Restano però alcune soluzioni discutibili, così come resta invariato l’assunto su cui si basa l’allestimento, ambientato in una Roma lugubre, dove prevalgono atmosfere sinistre e pulp che intendono dare risalto al cupo dominio poliziesco-clericale che incombe sull’opera.
Il brutale apparato oppressivo incarnato da Scarpia viene filtrato visivamente attraverso le suggestioni di alcuni dipinti di Théodore Géricault. La camera del secondo atto è una specie di sala di tortura avvolta da una atmosfera inquietante, emblematica di una gestione del potere fondata sulla repressione e sulla violenza fisica e psicologica. A questa visione oppressiva dell’ancien régime, si oppongono i rimandi alla pittura di Jacques-Louis David che Agostinucci lega invece al personaggio di Cavaradossi, a rappresentare i fermenti libertari e rivoluzionari che contrassegnano il passaggio tra Sette e Ottocento.
Tuttavia se la cornice scenografica risulta funzionale all’idea di fondo, la regia non riesce a convincere del tutto nonostante le modifiche apportate. Sussistono non solo sparse incongruenze, ma anche una serie di trovate fine a se stesse: vedere Scarpia che assiste a incontri di lotta greco-romana, Cavaradossi fucilato fuori scena, o Tosca che invece di gettarsi da Castel Sant’Angelo si suicida lanciandosi sulle baionette dei soldati, non offre prospettive inedite, né una lettura davvero alternativa dell’opera. La drammaturgia, le psicologie e i rapporti fra i personaggi non risultano realmente approfonditi e tutto resta in superficie.
I cantanti risentono di questa incertezza drammaturgica e scenicamente non rendono quanto potrebbero, soprattutto tenore e baritono. Fiorenza Cedolins, invece, ha un’esperienza e una padronanza del ruolo tali che le permettono di muoversi in piena autonomia. La sua Tosca domina la scena fin dall’inizio, quando appare nei panni della diva capricciosa e frivola, per poi tirare fuori le unghie nel ritratto della donna gelosa, volitiva, e tuttavia minata da una fragilità interiore, anzi, da una lacerazione dell’io che la rende vulnerabile. Il personaggio concepito dalla Cedolins è un’anima malata che prova la fascinazione del male e che proprio per questo viene coinvolta in una spirale di violenza, passione e perversione che la trascina nel baratro. Certo, rispetto al debutto areniano del 1999 e ad altre esibizioni veronesi, qui la voce appare a tratti ingrossata e che abbia perso qualcosa in termini di morbidezza timbrica e duttilità è inevitabile. Nondimeno, siamo di fronte a una Tosca completa, di cui l’interprete coglie puntualmente tutti i complessi passaggi psicologici.
Nei panni di Cavaradossi, Murat Karahan non sfoggia una dialettica espressiva altrettanto approfondita. Il tenore turco si preoccupa più che altro di esibire le risorse di una vocalità interessante e senza problemi di estensione nel registro acuto. Il si naturale di “La vita mi costasse” e il la diesis di “Vittoria!!” sono addirittura sfacciati per tenuta e volume. Sennonché bisogna anche rilevare che i suoni sono sì voluminosi, ma risultano quasi sempre “aperti” e quindi non squillano come dovrebbero. Per il resto Karahan, quando necessario, si sforza di cantare piano e di sfumare le emissioni, anche se alla fine resta l’impressione di un fraseggio e di un accento da approfondire ulteriormente, oltre che di una dizione da affinare.
Giovanni Meoni delinea uno Scarpia nell’insieme corretto sotto il profilo vocale. Gli manca tuttavia la statura del cantante-attore in grado di sfoggiare particolari sottigliezze espressive, o di rendere, a maggior ragione in un contesto come questo, la forza perversa e il sadismo sessuale che animano il personaggio. Una prova decorosa, insomma, ma poco incisiva e coinvolgente.
Tra i comprimari, spicca la prova singolare di Mikheil Kiria, che con vocalità ben timbrata tratteggia su indicazione del regista un Sacrestano quasi serioso, estraneo a concessioni caricaturali. Funzionali le prove di Gianluca Lentini, Angelotti, e Stella Capelli, un pastore.
Dall’Orchestra dell’Arena di Verona Antonino Fogliani ricava sonorità ampie, sontuose, che valorizzano al meglio alcuni momenti sinfonico-corali della partitura, ma altrove risultano eccessive in rapporto alle esigenze delle voci soliste, specie nelle scene di conversazione. La lettura restituisce l’opera nella sua dimensione più sanguigna e avvincente, nella sua teatralità tesa come un arco, mettendo qua e là in secondo piano le preziosità coloristiche e le raffinatezze di certi climi che comunque Puccini insinua fra l’enfasi drammatica e gli empiti vocali. Nemmeno le novità linguistiche sembrano interessare particolarmente a Fogliani, che a ogni modo riesce ad assicurare all’esecuzione una discreta tenuta sul piano drammatico e narrativo.
Teatro Filarmonico – Stagione Lirica 2016/2017
TOSCA
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
tratto dal dramma di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca Fiorenza Cedolins
Mario Cavaradossi Murat Karahan
Scarpia Giovanni Meoni
Il sagrestano Mikheil Kiria
Angelotti Gianluca Lentini
Spoletta Antonello Ceron
Sciarrone Andrea Cortese
Un carceriere Daniele Cusari
Un pastore Stella Capelli
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del coro Vito Lombardi
Coro di voci bianche A.d’A.MUS. diretto da Marco Tonini
Regia, scene, costumi Giovanni Agostinucci
Light designer Paolo Mazzon
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
Allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 19 marzo 2017