Quel diavolo d’un Puccini. Con Tosca apre il Novecento portando nel teatro lirico l’intreccio poliziesco e inventandosi un linguaggio dalle suggestioni quasi cinematografiche. A dispetto dei suoi librettisti, che ritenevano la pièce di Sardou inadeguata per un’opera, mette a punto con infallibile senso del teatro un melodramma a tinte fosche, violento. Un racconto dal ritmo incalzante, moderno, che la musica potenzia con effetti spettacolari. Un tempo in questo capolavoro si era soliti individuare soprattutto l’espressione di un erotismo arroventato, inframmezzato da trovate teatrali di schietto stampo melodrammatico. Oggi la prospettiva è cambiata e Tosca viene vista come un’opera a sfondo politico-religioso. Lo strapotere di Scarpia e il clima dominante di oppressione, ansia e violenza, inducono per esempio molti scenografi e registi ad accostare la vicenda ai regimi totalitari del XX secolo.
Hugo de Ana, nel fortunato allestimento visto più volte nell’ultimo decennio e ripreso come ultimo titolo del 95° Opera Festival dell’Arena di Verona, valorizza questo tipo di teatralità trasformando l’opera in un thriller: una sorta di noir che mescola politica e religione, passioni e perversioni. L’impostazione è sostanzialmente antiverista e tutto procede per simbolismi. Con una prevalenza netta di quelli religiosi. Il vero filo conduttore dell’allestimento consiste infatti nella presenza insistente di simboli della fede cattolica e tocca i contrasti fra virtù e peccato, redenzione e dannazione. D’altra parte, il limite tra ‘verità di fede’ e irrazionalismo, tra pratiche di abiezione e pratiche di venerazione è sempre stato labile. Di qui il legame strettissimo tra la componente cattolica e l’aspetto irrazionale-istintuale di personaggi come Scarpia e Tosca.
A questi temi si rifanno diversi elementi dello spettacolo: l’angelo incombente dalla prima all’ultima scena, il grande crocifisso, il Noli me tangere del Correggio con l’apparizione di Cristo risorto a Maddalena, il visionario fasto liturgico del finale primo. E ancora: l’ingombrante, pesantissimo vestito di Tosca del secondo atto (che allude alla personale Via Crucis della primadonna), la fucilazione di Cavaradossi legato a una croce e, dulcis in fundo, l’apparizione postuma di Tosca assunta al cielo come martire.
L’altra chiave di lettura di de Ana è legata invece alla componente erotica (in Tosca il sesso è oggettivamente la molla di tutto) e all’individuazione nei confronti/scontri tra i personaggi di implicazioni patologiche. Tuttavia se i risvolti freudiani e, in particolare, l’accento sul legame sadomasochistico di attrazione e odio-amore stabilito fra la protagonista e Scarpia erano nitidamente percepibili nell’edizione del 2006, qui tutto risulta annacquato, vuoi per la minore accuratezza della ripresa registica, vuoi soprattutto per le interpretazioni poco approfondite del soprano e del baritono.
Certo lo scandaglio della psicologia del profondo si manifesta sempre con suggestione nel fastoso Te Deum, trasformato con la sua spettacolare moltiplicazione di cardinali in una allucinata proiezione della sete di potere e della megalomania di Scarpia. L’impianto scenico, di impatto suggestivo, favorisce del resto l’incrocio fra realismo e narrazione simbolica. Una colossale testa d’angelo – quello del Castello di Roma, ovviamente – con un braccio spezzato e la spada sguainata si staglia contro una piattaforma ferrigna, a rappresentare l’ineluttabilità del destino tragico che incombe sui personaggi. Ai lati, cannoni e soldati in trincea ricordano il contesto bellico che fa da sfondo alla vicenda. De Ana rispetta rigorosamente la collocazione storica dell’opera anche negli elaborati, bellissimi costumi di età napoleonica.
La Tosca di Susanna Branchini denota una concezione tradizionale del ruolo e un’adesione ai moduli veristi più scontati. Pur con qualche forzatura, il soprano esibisce un registro acuto ben timbrato e di volume consistente, mentre altrove l’emissione è disomogenea e nei momenti in cui deve legare e sfumare, come nel “Vissi d’arte”, non è certo fluida e impeccabile. L’interprete può contare su un buon temperamento drammatico, ma il suo personaggio non ha quasi niente da spartire con quello concepito originariamente da de Ana.
Discorso analogo per lo Scarpia di Ambrogio Maestri, che pur senza cadute volgari privilegia l’effetto verista a scapito della misura stilistica e dei fraseggi sfumati e insinuanti. L’impostazione è lontana rispetto a quella cui si era attenuto nel 2006 Ruggero Raimondi. Maestri canta con il consueto, imponente spessore vocale anche se le emissioni, qua e là, risultano meno timbrate e rotonde del solito; la declamazione riservata da Puccini al sadico personaggio andrebbe poi ulteriormente scavata e approfondita.
Nei panni di Cavaradossi, Carlo Ventre non rinnova l’esito sorprendente del Radamès areniano di qualche settimana fa. La voce è meno omogenea nei vari registri, per quanto gli acuti risultino per lo più squillanti. L’aridità timbrica che a tratti emerge nelle emissioni centrali non aiuta inoltre il tenore a rendere al meglio il lirismo tipico dell’amoroso pucciniano. Tuttavia la tenuta è professionale, il fraseggio espressivo, il personaggio nell’insieme credibile.
Tra i comprimari, Nicolò Ceriani delinea un Sagrestano di buon smalto vocale, ben cantato, ma – evidentemente non per colpa sua – anche piuttosto esagitato e invadente nel tratteggio scenico. Tra gli altri, segnalo l’Angelotti efficace di Romano Dal Zovo e il pastorello puntuale di Emma Rodella. Bene il coro diretto da Vito Lombardi.
Alla guida dell’Orchestra dell’Arena, Antonino Fogliani garantisce in questo contesto una buona tenuta narrativa, scandendo puntualmente tutti i momenti espressivi previsti in partitura: dalla brillantezza di certi passi di conversazione alla morbidezza sentimentale, alla perorazione drammatica. Rispetto all’edizione ascoltata la scorsa stagione al Filarmonico di Verona, si nota anche un maggior equilibrio nelle sonorità e nel rapporto con le voci, per quanto le condizioni acustiche siano oggettivamente molto diverse. A ogni modo, Fogliani affonda nella lussuosa partitura pucciniana ricavandone sonorità ampie e accattivanti sotto il profilo sinfonico e sinfonico-corale, e assecondandone la teatralità con senso della tensione unitaria.
Alla prima, in un’arena climaticamente bollente, il successo di pubblico è stato molto caloroso.
Arena di Verona – 95° Opera Festival 2017
TOSCA
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
tratto dal dramma di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca Susanna Branchini
Mario Cavaradossi Carlo Ventre
Scarpia Ambrogio Maestri
Il sagrestano Nicolò Ceriani
Angelotti Romano Dal Zovo
Spoletta Antonello Ceron
Sciarrone Marco Camastra
Un carceriere Omar Kamata
Un pastore Emma Rodella
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del coro Vito Lombardi
Coro di voci bianche A.d’A.MUS. diretto da Marco Tonini
Regia, scene, costumi Hugo de Ana
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
Allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 5 agosto 2017