Come quarto titolo del 95° Opera Festival dell’Arena viene riproposto, dopo Rigoletto, un altro spettacolo gradito agli amanti della tradizione: l’allestimento di Madama Butterfly realizzato da Franco Zeffirelli nel 2004 e visto più volte nel corso delle stagioni veronesi. Quando lo concepì, il regista-scenografo aveva già compiuto ottant’anni e, curiosamente, si cimentava per la prima volta nella sua carriera con il capolavoro di Puccini.
È uno spettacolo che non riserva sorprese. A Zeffirelli poco importa che Butterfly sia, a rigore, un’opera minimalista. Fin dal fugato che apre l’azione musicale, la scena d’ambiente è quella che ci si aspetta: una marea di chimoni policromi e figurine made in Japan, un andirivieni di marinai, geishe e varia umanità. Una cornice improntata a un esotismo oleografico e divulgativo che viene comunque bilanciato dalla filologica eleganza dei bei costumi firmati da Emi Wada (premio Oscar nel 1985 per Ran di Kurosawa). Ne esce il ritratto di una Nagasaki operosa e pullulante, mentre la collina che occupa il centro della scena – un gruppo di rocce collocate a semicerchio – diventa un colorito quartiere del piacere a ridosso del porto. Poi, con un colpo di teatro tipico degli spettacoli di Zeffirelli, la collina si apre e, in una specie di dissolvenza cinematografica, appare la casa di Cio-Cio-San: una nicchia, quasi una grotta, destinata ad accogliere la tragedia amorosa della giapponesina sedotta e abbandonata da un ufficiale poco gentiluomo. La collina ritorna quindi a racchiudere la casa alla fine del duetto d’amore, mentre sullo sfondo le gradinate areniane brillano di una luce che rievoca i riflessi del mare nelle notti stellate e di luna piena.
Non manca nessuno degli appuntamenti canonici e dei luoghi comuni legati all’opera. Tuttavia, sotto il profilo registico, non si registrano eccessi didascalici. Bisogna riconoscere che Zeffirelli, al di là di certe esteriorità, non riversa fiumi di sentimentalismo a buon mercato, sa comprimere per quanto possibile il racconto e contenere ad esempio certe ridondanze gestuali. L’azione drammatica, nel secondo e terzo atto, è asciutta, priva di cadute melense. Romanticismo, esotismo e tragedia psicologica si fondono con equilibrio all’insegna della tradizione, per lo meno nella concezione originaria dello spettacolo. In questa ennesima ripresa, com’è inevitabile, la mancanza dell’intervento di Zeffirelli in prima persona si fa sentire. I movimenti di massa, infatti, non sono così precisi e la stessa recitazione dei singoli, soprattutto quella della protagonista, risulta a tratti più enfatica e convenzionale di quanto ricordassi.
Dal podio, Jader Bignamini ricava una gamma di colori orchestrali debitamente ampia e varia. La sua lettura ha un taglio per così dire sinfonico: tende ad assecondare il volubile trascolorare e la levigata raffinatezza di una partitura percorsa da un estetismo decorativo e a tratti crudele. Allo stesso tempo, riesce a creare una cornice che non guarda solo a se stessa ma anche al teatro e al palcoscenico, senza mai sacrificare i fraseggi vocali. Bignamini alterna inoltre indugi e sospensioni a tempi più nervosi ma non rapinosi o convulsi: nella sua ottica Butterfly è una tragedia intimista percorsa dalla nevrosi dell’incertezza e del dubbio.
La protagonista è Oksana Dyka, che avrebbe sia i mezzi vocali che la caratura drammatica adeguati al ruolo di Cio-Cio-San. Per ovvi motivi il personaggio non è del tutto a fuoco nel primo atto, dove le caratteristiche da lirico-spinto non aiutano il soprano ucraino a esprimere grazia, ingenuità e slanci adolescenziali. Anche nel resto dell’opera, tuttavia, la discontinuità dell’emissione, la genericità della linea di canto, il fraseggio avaro di sottigliezze e la drammatizzazione non esente da eccessi veristi, condizionano l’esito complessivo della prova.
Nel più ingrato e antipatico dei ruoli maschili pucciniani c’è Marcello Giordani. Il suo è un Pinkerton estroverso, passionale e comunicativo, tratteggiato con una vocalità qua e là sfocata e dall’emissione non sempre limpida nel registro medio-grave, ma capace di acuti ancora generosi per quanto non esenti da qualche forzatura. Nel duetto d’amore del primo atto, inoltre, l’espressione è poco icline alle sfumature.
Alessandro Corbelli delinea uno Sharpless misurato e colloquiale. Sfoggia una dizione nitidissima e una innata propensione al canto di conversazione, ma l’accento, il modo di fraseggiare e le sue indubbie qualità di caratterista mi sembrano più adatti ad altro repertorio. Non ha inoltre il physique du rôle congeniale al personaggio e manca di credibilità scenica. Nell’insieme autorevole la Suzuki di Silvia Beltrami, insinuante il tratteggio di Goro offerto da Francesco Pittari. Tra gli altri comprimari, ricordo l’efficace Yamadori di Nicolò Ceriani.
Alla prima, caldo successo per tutti, ovazioni per Oksana Dyka.
Arena di Verona – 95° Opera Festival 2017
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San Oksana Dyka
Suzuki Silvia Beltrami
Kate Pinkerton Alice Marini
F.B. Pinkerton Marcello Giordani
Sharpless Alessandro Corbelli
Goro Francesco Pittari
Il Principe Yamadori Nicolò Ceriani
Lo zio Bonzo Deyan Vatchkov
Il Commissario imperiale Marco Camastra
L’Ufficiale del registro Dario Giorgelè
La madre di Cio-Cio-San Tamta Tarieli
La cugina di Cio-Cio-San Marina Ogii
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del coro Vito Lombardi
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Coordinatore del Corpo di ballo Gaetano Petrosino
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
Allestimento Fondazione Arena di Verona
Verona, 8 luglio 2017