Venezia, Teatro Malibran – Gina
Ci sono opere dimenticate, o di rara esecuzione, che a un certo punto vale la pena riproporre. La verifica teatrale stimola la curiosità e consente non solo di appurare la validità di una partitura e la sua capacità di comunicarci ancora qualcosa, ma spesso anche di comprendere meglio alcuni capitoli della storia del melodramma.
Nel caso di Gina, riportata dalla Fenice sulle scene del Teatro Malibran, si tratta di un titolo che non ha certo lasciato un segno nell’evoluzione del teatro lirico. È l’opera d’esordio di Francesco Cilea (1866-1950), concepita come saggio finale degli studi di composizione a Napoli e rappresentata il 9 febbraio 1889 nel teatrino del Conservatorio San Pietro a Majella. Il successo di pubblico e i riscontri critici positivi ottenuti nel corso di poche recite consentiranno al musicista ventitreenne di farsi notare e “arruolare” dall’editore Sonzogno. Dopo di che, Gina finirà nel dimenticatoio.
Considerato che il ripescaggio nel 2000 al Teatro Rendano di Cosenza e la ripresa dell’anno successivo a Roma (documentata dall’edizione discografica Bongiovanni) non hanno lasciato il segno, viene da chiedersi quale sia il reale motivo di interesse della riproposta veneziana. Perché riaccendere ancora i riflettori su una partitura che, al di là di una facile presa melodica, non ha molto da dire? Si è sottolineato che l’interesse di questo “melodramma idillico” consisterebbe nelle anticipazioni delle qualità liriche e di alcuni stilemi del Cilea più maturo. Il che è vero, ma il discorso vale per le opere prime di qualsiasi altro compositore. Inoltre, non si può dire che Cilea abbia avuto chissà quale evoluzione nel corso della carriera: le sue opere si contano sulle dita di una mano e l’unica rimasta in repertorio è Adriana Lecouvreur, mentre dell’Arlesiana si esegue abitualmente solo “Il lamento di Federico”. L’interesse, insomma, è relativo da questo punto di vista. Anche perché, dopo Gloria del 1907, Cilea sopravviverà a se stesso e per un quarantennio dovrà fare i conti con una creatività lirica inaridita.
Nondimeno, trovo che l’ascolto di Gina sia un’esperienza molto istruttiva. Ma per un altro motivo. Questa operina è infatti la prova provata, anzi, la fotografia nitida e spietata della crisi che attanaglia il melodramma italiano tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento. Dopo l’Otello di Verdi, frutto postumo del romanticismo, tutti i compositori brancolano nel buio, comprese le nuove leve che scalpitano per trovare un posto al sole: mentre Cilea si dedica all’idillio campestre, lo scapigliato Leoncavallo tenta la via del polpettone storico con I Medici, Giordano concepisce l’esile Marina e Puccini si crogiola nel tardo romanticismo del mediocre Edgar. Una situazione drammatica che troverà una via d’uscita grazie a Mascagni: il trionfo clamoroso di Cavalleria rusticana costringerà tutti (Cilea compreso) a riposizionarsi e a sintonizzarsi, almeno momentaneamente, con l’estetica del melodramma verista. Cavalleria va in scena nel 1990 e Gina, del 1889, si colloca senza volerlo al culmine di una crisi quasi ventennale del melodramma italiano. Ascoltarla oggi, riporta allo smarrimento e al totale vuoto di idee che contrassegnano quel periodo.
Ciò detto, bisogna riconoscere che Gina, composta su un modesto libretto di Enrico Golisciani tratto dalla commedia Catherine ou La croix d’or di Nicolas Brazier e Mélesville, è un’operina fragile ma decorosa, basata su un impianto tradizionale articolato in numeri chiusi. Ha una orchestrazione accurata, una vena melodica scorrevole ed effettivamente mostra in embrione aspetti tematici e musicali del futuro Cilea.
Va aggiunto peraltro che questa ripresa veneziana si inquadra in un contesto più ampio: la Fenice, infatti, sta indagando parallelamente il repertorio sinfonico del primo Novecento italiano, riproponendo, fra le altre, composizioni di autori attivi nel ventennio fascista e trascurati in sede esecutiva e musicologica spesso per un pregiudizio ideologico (lo stesso Cilea, in qualità di compositore “postumo”, cercherà l’appoggio di Mussolini per la ripresa delle sue opere).
Passando all’esecuzione, Francesco Lanzillotta riesce a individuare, alla guida dell’Orchestra della Fenice, il piano espressivo più consono alla partitura: punta tutto sulla leggerezza e la scorrevolezza, in modo da ammorbidire il fraseggio, distendere il colore orchestrale e valorizzare al meglio la linea della melodia. Il risultato è una lettura puntuale, che evita eccessi patetici e affondi drammatici di stampo romantico per restituire lo spirito brillante e l’intonazione lirico sentimentale che avvolgono l’opera e ne sono la caratteristica fondante. Una cornice strumentale ben definita, insomma, in cui i cantanti si calano con piena consapevolezza stilistica.
Nella scrittura da mezzosoprano acuto che Cilea riserva a Gina si muove agevolmente Arianna Vendittelli, già apprezzata l’anno scorso, sempre al Malibran, come ineccepibile protagonista del Segreto di Susanna. Ancora una volta la vocalità risulta interessante per impasto timbrico e ben gestita nell’emissione, mentre il temperamento e il fraseggio accurato vengono piegati al tratteggio di una figura femminile dolce e idealizzata. Anche i passaggi di coloratura del valzer del terzo atto sono risolti brillantemente.
Nel ruolo di Giulio, innamorato di Gina, Alessandro Scotto di Luzio canta con timbro gradevole e morbido al centro, espressione sfumata ed elegante, dimostrandosi efficace anche nei passaggi più appassionati. Il registro acuto non è molto squillante, a dire il vero, ma nell’insieme l’interprete è credibile e coglie a dovere la natura prevalentemente malinconica del personaggio.
Anche Armando Gabba restituisce la dimensione più consona a Uberto, parte assimilabile alla tipologia del baritono “confidente e affettuoso” del melodramma di fine secolo: la vocalità è funzionale, l’accento vario e il fraseggio adeguatamente calibrato.
Nella tessitura contraltile di Lilla si disimpegna decorosamente, pur con qualche acerbità, Valeria Girardello, mentre nel ruolo di Flamberge Claudio Levantino si salva per la divertente caratterizzazione, ma la voce in questo contesto risulta troppo leggera e, come si dice in gergo, non corre. Puntuali gli interventi del coro preparato da Ulisse Trabacchin.
La messinscena di questo idillio, ambientato in un imprecisato paesino francese all’epoca di Napoleone, nasce nell’ambito del progetto Atelier della Fenice al Malibran, riservato agli allievi della Scuola di scenografia dell’Accademia di belle arti di Venezia e coordinato da Bepi Morassi, che cura come sempre la regia. Le scene di Francesco Cocco e i costumi di Francesca Maniscalchi sono garbatamente realistici e rispettano la collocazione cronologica del libretto. L’azione si svolge dapprima in un’aia occupata da lenzuola stese ad asciugare, poi utilizzate per rappresentare una caserma e infine sostituite da bandiere tricolori francesi che, oltre al palcoscenico, invadono anche la sala del Malibran. Tutto si muove nel solco della tradizione, compresa la regia, particolarmente attenta alla dimensione corale dell’opera e impostata con linearità e ritmo adeguatamente vivace: Morassi costruisce infatti un racconto giocato per lo più sull’ironia e, pur con qualche concessione a gag che ricordano quelle di altre sue produzioni, evita eccessi caricaturali e stravolgimenti.
Alla “prima”, accoglienze calorose per tutti gli artefici della produzione. [Rating:3.5/5]
Teatro La Fenice – Stagione lirica e balletto 2016/17
GINA
Melodramma idillico in tre atti
libretto di Enrico Golisciani
dalla commedia “Catherine ou La croix d’or” di Nicolas Brazier e Mélesville
Musica di Francesco Cilea
Uberto Armando Gabba
Gina Arianna Vendittelli
Lilla Valeria Girardello
Giulio Alessandro Scotto di Luzio
Flamberge Claudio Levantino
Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Accademia di Belle Arti di Venenzia
Scene Francesco Cocco
Costumi Francesca Maniscalchi
Costruzioni Marta Zen, Laura Zollo
Luci Vilmo Furian
Direzione laboratorio progettazione costumi Paola Cortelazzo
Direzione laboratorio costumi Giovanna Fiorentini
Direzione laboratorio progettazione scene Lorenzo Cutùli
Direzione laboratorio scene Franco Daniele Venturi, Gino Copelli
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con
Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia
progetto “Atelier della Fenice al Malibran”
Venezia, 10 febbraio 2017