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Venezia, Teatro La Fenice – Tannhäuser

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L’Orchestra del Teatro La Fenice non suonava Tannhäuser dal 1969 perché vent’anni fa al PalaFenice l’opera fu proposta con organici tedeschi ospiti. L’altra sera, però, si aveva la sensazione che con questo lavoro giovanile di Richard Wagner ci fosse quasi una sorta di felice consuetudine. Certo, in anni recenti sono stati eseguiti Tristano e Isotta o L’anello del Nibelungo, ma qui il compositore tedesco elabora il materiale tematico sottoponendolo a continue variazioni, in funzione dei cosiddetti “motivi conduttori”; nella scrittura orchestrale di Tannhäuser, invece, concatena i materiali sonori per blocchi melodici ben scolpiti, combinandoli con eccezionale incisività.

In questo senso, l’apporto del direttore d’orchestra Omer Meir Wellber è stato significativo. Rispetto a precedenti prove, specie nel repertorio del primo Ottocento (Bellini, Donizetti), nelle quali non era apparso così a suo agio, Wellber ha fatto “cantare l’orchestra”. È questa un’espressione tipica di Wagner, che nel suo trattato sulla direzione esalta la capacità che deve avere un interprete d’individuare il melos, riprendendo un termine greco dimenticato da secoli. Melos, dunque, come essenza della composizione, corretta articolazione melodico-ritmica, giusto colore. Ciò, alla Fenice, è stato reso possibile grazie anche alle prime parti dell’orchestra che con i loro soli hanno fornito un contributo musicale rilevante, suggerendo ai cantanti la via per non cadere nelle trappole di un canto wagneriano greve e stentoreo.

Una via che non è stata seguita da tutti perché quella di un canto altisonante e monocorde, che fraintende le indicazioni dell’autore, apparentemente sembra sempre quella più facile. La parte di Tannhäuser, per esempio, costruita su una tessitura scomoda, non per estensione ma perché, quantomeno nei primi due atti, costantemente nella zona di passaggio, mette a dura prova i tenori che facilmente cedono alla tentazione di un’emissione priva di dinamiche, che limita ogni varietà d’accento. Stefan Vinke affronta questo ruolo alquanto ostico con un’intonazione non impeccabile e un timbro scabro che si ammorbidisce, poco, nel racconto del terzo atto, quando la scrittura diventa baritonale.
Una giovanile solidità vocale contraddistingue le prove di Ausrine Stundyte (Venere) e Liene Kinča (Elisabetta). Entrambe aderiscono con convinzione alle richieste del regista e appaiono credibili nel contesto scenico tanto da poter essere quasi intercambiabili. Venere, dunque, non punta a sedurre con il canto così come Elisabetta non ricerca il musicale e sereno candore della ragazzina. Timbro morbido, emissione legata connotano, invece, il Wolfram von Eschenbach del baritono Christoph Pohl. La sua aria del terzo atto (“O! du, mein holder Abendstern”) è stata uno dei momenti più nobili dell’esecuzione alla Fenice. Nell’insieme funzionale Pavlo Balakin come langravio di Turingia e complessivamente equilibrati gli altri ruoli minori. Adeguatamente preparato il coro da Claudio Marino Moretti e gradevole l’apporto dei giovanissimi solisti del Kolbe Children’s Choir.
Del Tannhäuser, che ebbe un’elaborata gestazione, vi sono due versioni fondamentali: quella poco fortunata di Dresda del 1845 e quella di Parigi del 1861, che scatenò violente reazioni. Il compositore non giunse mai a una stesura definitiva. Alla Fenice si è ascoltata una partitura mista dell’opera, con il primo atto di Parigi, il secondo e il terzo di Dresda.

La regia di Calixto Bieito è per certi versi un’esaltazione del pansessualismo freudiano: ogni comportamento sembra seguire, infatti, l’istinto sessuale. Bieito, tuttavia, preferisce citare Jung e supponiamo l’influenza dell’inconscio collettivo. Comunque sia, ci presenta una Venere che indossa una sottoveste nera che confusamente vaga in un bosco capovolto, con piante appese e girevoli. Mancano baccanti, ninfe e in una cupa nebbia tutto appare opprimente. Tannhäuser non può che sperare di allontanarsi da quel luogo e, quando scompare il Venusberg, si ritrova con gli antichi compagni. Svolge con loro un rito d’iniziazione goliardica: si dipingono tutti con una vernice rossa quasi a stringere un patto di sangue. Il secondo atto è incorniciato da una struttura geometrica tripartita (le scene sono di Rebecca Ringst) con una luce iniziale abbagliante. Elisabetta, che dovrebbe essere il simbolo dell’amore celeste, della purezza, è trasformata in un’altra Venere, ugualmente in sottoveste nera, e i cantori-poeti ne abusano senza ritegno. Bieito non ama mai alludere sottilmente, ma predilige rappresentare con esplicita iterazione. Evidente è la sua critica a ogni ipocrisia sociale e così Tannhäuser, l’unico che apertamente esalta l’amore sensuale, diviene la vittima di una smisurata fustigazione generale. Nel terzo atto, infine, Wolfram, che rappresenta il personaggio integralmente positivo, tutto ciò che Tannhäuser non è, ha invece le sue stesse pulsioni. Vorrebbe addirittura strangolare Elisabetta, la donna che secondo il libretto di Wagner dovrebbe invece rispettare e ammirare.

Il pubblico, che ha accolto sostanzialmente con calore tutta la compagnia di canto e il direttore, ha riservato invece qualche isolato dissenso alla regia.

Teatro La Fenice – Stagione lirica e balletto 2016/17
TANNHÄUSER
Opera romantica in tre atti
Musica e libretto di Richard Wagner

Hermann, Langravio di Turingia Pavlo Balakin
Tannhäuser Stefan Vinke
Wolfram von Eschenbach Christoph Pohl
Walter von der Vogelweide Cameron Becker
Biterolf Alessio Cacciamani
Heinrich der Schreiber Paolo Antognetti
Reinmar von Zweter Mattia Denti
Elisabetta, nipote del Langravio Liene Kinča
Venere Ausrine Stundyte
Pastorello Chiara Cattelan, Martina Pelizzaro, Alice Cognolato *
Paggi Anastasia Bregantin, Laila D’Ascenzio, Emma Formenti, Veronica Mielli, Gianluca Nordio, Francesca Pelizzaro, Matilde Preguerra, Sebastiano Roson, Edoardo Trevisan *

Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Omer Meir Wellber
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
* Solisti del Kolbe Children’s Choir del Centro Culturale p.M.Kolbe di Venezia-Mestre
Regia Calixto Bieito
Scene Rebecca Ringst
Costumi Ingo Krügler
Light designer Michael Bauer
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con
Opera di Anversa, Teatro Carlo Felice di Genova e Konzert Theater Bern
Venezia, 20 gennaio 2016

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