Quando più di trent’anni fa John Eliot Gardiner incise L’Orfeo di Claudio Monteverdi per la Archiv, le accoglienze della critica italiana non furono molto favorevoli. A parte i rilievi mossi alla stessa direzione del maestro inglese, le riserve maggiori si concentrarono sulla scelta della compagnia, composta per lo più da cantanti anglosassoni che accusavano, oltre a sparse mende vocali, inerzia espressiva e scarsa familiarità con l’italiano.
In questi giorni, Gardiner ripropone L’Orfeo al Teatro la Fenice nell’ambito del progetto “Monteverdi 450” riscuotendo le ovazioni del pubblico e i consensi unanimi degli addetti ai lavori, almeno per quanto riguarda il primo dei tre titoli operistici monteverdiani proposti nell’arco di una settimana (gli altri sono ovviamente Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea). Il tutto coronato dall’assegnazione del prestigioso premio Una vita nella Musica 2017.
Cos’è cambiato rispetto a trent’anni fa? Direi che intanto la direzione di Gardiner nel corso del tempo si è fatta più incisiva e varia espressivamente, e poi che in questa edizione la compagnia annovera cantanti di varia provenienza, nessuno dei quali esibisce per fortuna un accento da romantica donna inglese: tutti, o quasi, hanno dizione nitida, incisiva, fraseggio chiaro e dimostrano dimestichezza con le inflessioni della lingua italiana: presupposto fondamentale in questo repertorio.
La scelta di Gardiner è di presentare in ordine cronologico le tre opere di Monteverdi – le uniche pervenute complete – utilizzando la forma semiscenica e un cast composto più o meno dagli stessi interpreti. I cantanti-attori si muovono così attorno e in mezzo all’orchestra collocata in proscenio: la recitazione e i movimenti assicurati dalla regia, curata dallo stesso direttore e da Elsa Rooke, sono adeguatamente animati e coinvolgenti. Nell’insieme Gardiner restituisce al meglio la cifra stilistica di una favola in musica che può considerarsi la prima vera opera della storia e che si differenzia in modo netto dai due lavori successivi non solo per la distanza cronologica (tra Orfeo e Poppea intercorrono 35 anni), ma anche per la diversità delle committenze.
Composto alla Corte dei Gonzaga su libretto di Alessandro Striggio, e rappresentato al Palazzo ducale di Mantova nel 1607, Orfeo esce dall’ambito sperimentale dello stile fiorentino: Monteverdi realizza una fusione fra lo stile madrigalistico del tardo Cinquecento, con la ricchezza scenica e orchestrale dei vecchi intermedi, e una nuova concezione delle possibilità del canto monodico. È il primo tentativo di applicare tutte le risorse della musica all’opera, senza alcuna limitazione: dal recitativo all’aria, dal madrigale al balletto, dal concerto strumentale al coro integrato nel dramma. Un lavoro destinato a un piccolo ambiente, qual è la sala di una corte, e che pertanto non ha bisogno di grandi mezzi, scenografie sfarzose e simili. L’impostazione scelta da Gardiner risulta dunque più che pertinente dal punto di vista scenico, oltre che ineccepibile per quanto riguarda le soluzioni filologiche e le scelte esecutive inerenti lo strumentale.
Alla guida degli English Baroque Soloists, il direttore valorizza la tenuta drammatica e la tensione, ininterrotta e varia, dell’azione teatrale. Dagli strumenti rigorosamente d’epoca ottiene sonorità brillanti e incisive per la Toccata introduttiva, per poi evocare con pennellate delicate, ma non leziose, l’atmosfera idillica e danzante dell’ambiente pastorale. Non manca, s’intende, lo spazio per l’intensità lirica e le passioni: i contrasti drammatici sono restituiti con suoni più tesi e vibranti, ma senza forzature o lacerazioni espressive.
La compagnia di canto è preparatissima sotto il profilo stilistico, anche se non tutti sono irreprensibili nella tecnica di emissione. Krystian Adam è un tenore dalla voce non particolarmente caratterizzata e preziosa nel timbro, ma molto agile nella coloratura, capace di modulazioni estatiche, oltre che di fraseggi e accenti drammatici: un Orfeo più che convincente.
Efficace Hana Blažiková impegnata nel doppio ruolo della Musica e di Euridice: voce chiara, melodiosa e, tolta qualche fissità, corretta. Notevole poi la presenza di Gianluca Buratto, che imprime ricca timbratura e incisività espressiva ai ruoli di Caronte e Plutone; bene la Ninfa di Anna Dennis e la Proserpina di Francesca Boncompagni. Credibili nella caratterizzazione dei personaggi, ma meno affidabili vocalmente gli altri interpreti, tra cui ricordo Lucille Richardot, Messaggera, Francisco Fernández-Rueda, Pastore I, Kangmin Justin Kim, Speranza, Furio Zanasi, Apollo. Ineccepibili gli interventi del Monteverdi Choir.
Teatro La Fenice – Stagione lirica e balletto 2016/2017
L’ORFEO
Favola pastorale in un prologo e cinque atti
Libretto di Alessandro Striggio
Musica di Claudio Monteverdi
Orfeo Krystian Adam
La Musica / Euridice Hana Blažiková
Messaggera Lucile Richardot
Proserpina Francesca Boncompagni
Caronte/ Plutone Gianluca Buratto
Speranza Kangmin Justin Kim
Apollo Furio Zanasi
Pastore I Francisco Fernández -Rueda
Pastore II /Spirito I/Eco Gareth Treseder
Pastore IV/ Spirito III John Taylor Ward
Pastore III Michal Czerniawski
Spirito II Zachary Wilder
Ninfa Anna Dennis
Monteverdi Choir
English Baroque Soloists
Direttore Sir John Eliot Gardiner
Regia Sir John Eliot Gardiner e Elsa Rooke
Costumi Patricia Hofstede
Light Designer Rick Fisher
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 19 giugno 2017