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Venezia, Teatro La Fenice – La sonnambula

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Questa volta l’ambientazione è sul cucuzzolo della montagna, in una stazione sciistica. Eppure, l’allestimento de La sonnambula ideato qualche anno fa da Bepi Morassi e ripreso in questi giorni al Teatro La Fenice di Venezia, non presenta particolari stravolgimenti o trasgressioni. L’opera di Bellini viene proposta con garbata semplicità e un sostanziale rispetto di quella tradizione che ha sempre fissato Sonnambula nel delicato idillio di un romanticismo da sogno.
Le scene gradevoli di Massimo Checchetto spostano la vicenda agli anni Trenta del Novecento, in un contesto paesaggistico d’alta quota, tra vette innevate e boschi svizzeri, tra terrazze panoramiche e grandi interni d’albergo: un’ambientazione accurata, dove fanno la comparsa pure una funivia e un pittoresco torpedone rosso stipato di villeggianti, al momento della partenza puntualmente applaudito dal pubblico.
Una cornice – completata dai costumi appropriati di Carlos Tieppo – che nonostante la trasposizione cronologica consente al regista di restare nell’alveo rassicurante della tradizione, delineando un mondo che aspira a un superiore equilibrio, magari solcato da inquietudini e passioni sopite, per le quali tuttavia Morassi non ritiene di dover scomodare Freud o Jung. Nessuna complicazione o ambiguità, dunque, nessuna volontà di alludere a desideri e impulsi latenti, o a sensi di colpa, come usa in certe riletture odierne. Non c’è nemmeno un’idea registica forte che possa far vedere la storia da una prospettiva inedita o particolare. Tra numerose, brillanti controscene, tutto resta avvolto da una piacevole patina idilliaca e tersa, come si conviene a una umanità pacifica e disimpegnata, abituata a superare facilmente i propri fuggevoli turbamenti.

La lettura di Fabrizio Maria Carminati, alla guida dell’Orchestra della Fenice, si dimostra tutto sommato complementare alle scelte teatrali di Morassi. Il direttore privilegia l’aspetto da idillio, sobrio, intimistico, e quindi tende a levigare il cantabile, ad ammorbidire il fraseggio, a distendere i colori. Carminati imprime al discorso orchestrale accenti drammatici calibrati, senza ricercare premonizioni o deliri romantici; caratterizza comunque l’estroversione delle cabalette, concedendo se necessario una maggiore esuberanza dinamica e cromatica a certi passaggi. Il tutto senza perdere di vista la necessità di dare opportuna preminenza al palcoscenico: del resto, che l’orchestra di Bellini in Sonnambula sia totalmente subordinata ai cantanti non è una novità.

Nel ruolo della protagonista, Irina Dubrovskaya si conferma un soprano leggero dai suoni poco timbrati e ammalianti al centro, dove l’emissione non sempre asseconda la floreale curvatura della melodia belliniana. In compenso, sale con molta facilità in zona acuta e sopracuta: qui, oltre a disimpegnarsi bene con la coloratura, la voce acquista un’ottima proiezione, e il soprano chiude il rondò “Ah! non giunge” con un effettistico fa5. L’interprete non è molo varia e, a tratti, tende a risolvere i contorni drammatici di Amina in termini di pura astrazione sonora, anche perché la dizione è poco chiara e l’accento generico.
Shalva Mukeria, da parte sua, convince più in questa ripresa che nell’edizione veneziana del 2012, dove si preoccupava più che altro di risolvere certe difficoltà della tessitura acuta. Qui l’emissione è fluida e controllata, il canto sempre sul fiato e se anche il timbro non ha il calore e l’affettuosità che si vorrebbero per Elvino, il tenore georgiano risulta ben immedesimato, fraseggia con gusto e varietà esprimendo soprattutto la malinconia patetica del personaggio.
Il Conte Rodolfo è Roberto Scandiuzzi, che dopo oltre trentacinque anni di carriera conserva ancora nel registro medio-grave la brunitura e la nobiltà di un timbro importante. Gioca un po’ di rimessa nelle emissioni, ma la cautela gli consente di evitare oscillazioni nella linea di canto e il personaggio esce misurato, efficace in particolare nell’esprimere, con accenti di nostalgica passione, il senso dei ricordi perduti e ritrovati.
Con un timbro leggero e brillante da soubrette, Silvia Frigato delinea una Lisa convincente, musicale, agile nei virtuosismi dell’aria “De’ lieti auguri”. Julie Mellor è invece una modesta Teresa. Funzionali i contributi di William Corrò, Alessio, e Roberto Menegazzo, un notaro. Apprezzabili gli interventi del coro preparato da Claudio Marino Moretti.
Alla prima, successo pieno con grandi festeggiamenti per i principali interpreti vocali.

Teatro La Fenice – Stagione lirica e balletto 2016/17
LA SONNAMBULA
Melodramma in due atti su libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini

Il conte Rodolfo Roberto Scandiuzzi
Teresa Julie Mellor
Amina Irina Dubrovskaya
Elvino Shalva Mukeria
Lisa Silvia Frigato
Alessio William Corrò
Un notaio Roberto Menegazzo

Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Bepi Morassi
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Light designer Vilmo Furian
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 30 giugno 2017

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